Dalla proprietà pubblica delle banche all’Unione Bancaria: un attacco trentennale alla Costituzione Repubblicana
di Andrea Franceschelli (ARS Abruzzo), da Appello al Popolo
E’ notizia di ieri l’accordo per la definizione della “Unione Bancaria” all’interno della Unione Europea.
L’ultimo paragrafo di un brutto capitolo della storia della Repubblica italiana è stato scritto.
Perché dico che è l’ultimo paragrafo? Beh, perchè la stesura del “capitolo” relativo alla distruzione del sistema bancario italiano è iniziata circa 30 anni fa. E’ storia. E questa storia ve la voglio raccontare attraverso un documento scritto da Anna Maria Tarantola, che oggi ricopre il ruolo di Presidente della RAI, grazie all’amico Mario Monti, ma che ha una lunga carriera all’interno della Banca D’Italia arrivando a ricoprire ruoli molto importanti come quello di “Direttore Centrale per la Vigilanza creditizia e finanziaria“.
Ed è proprio in quella veste che intervenne a Mosca nel luglio del 2007 alla conferenza internazionale “The Perspectives of the European banking and Financial Sector” con una relazione dal titolo “Dalla proprietà pubblica a quella privata: concorrenza ed efficienza del sistema bancario italiano”.
Nel luglio del 2007 le varie bolle finanziarie stavano raggiungendo la loro massima dimensione, ma il 15 settembre del 2008 era ancora lontano e la Lehman Brothers era ancora una banca di investimenti affidabile, per cui si poteva parlare in libertà e magari dire anche la verità (o quasi).
Anna Maria Tarantola, nella sua relazione esordisce così: “In molti paesi dell’Europa continentale, a partire dagli anni ottanta, si è avviata una intensa fase di ristrutturazione dell’industria bancaria e finanziaria, che ha interessato anche gli assetti proprietari. Fattori determinanti sono stati la crescente integrazione dei mercati, l’innovazione tecnologica e finanziaria e il processo di internazionalizzazione. La ristrutturazione ha incentivato, a sua volta, l’integrazione e la concorrenza. Il processo è stato favorito dalla ridefinizione del ruolo dello Stato nel settore bancario. La presenza pubblica negli assetti proprietari delle banche si è ridotta, rilevanti cambiamenti si sono registrati nella struttura dei mercati e nell’organizzazione degli intermediari. La regolamentazione creditizia e le prassi operative delle Autorità di vigilanza sono state rimodulate.”
L’esordio non lascia dubbi, si prende atto del fatto che dagli anni ’80 spirava il vento delle “riforme” che pretendevano la riduzione del ruolo dello STATO in favore del MERCATO. “Viva il neoliberismo e la globalizzazione!!! Stato brutto e cattivo sei uno strumento vecchio e decrepito che non puoi stare al passo con i tempi!!!” sembrerebbero gli slogan che ci hanno accompagnato dalla fine degli anni ’70.
Dopo questa premessa la Tarantola (nomen omen?) compie l’excursus storico relativo al sistema bancario italiano: “Dalla legge bancaria del 1936, per quasi sessant’anni, la disciplina dell’attività creditizia e finanziaria è rimasta sostanzialmente inalterata. L’impianto normativo, concepito come risposta alle crisi bancarie degli anni trenta, si basava sui principi di separatezza tra banca e industria e di specializzazione temporale e funzionale. La proprietà pubblica di molte banche garantiva la separatezza, riconduceva allo Stato la funzione di controllo e di indirizzo dei finanziamenti. Analogamente a quanto accadeva in altri paesi (ad esempio negli Stati Uniti con il “Glass-Steagall Act”), la specializzazione dell’operatività fu ritenuta funzionale a isolare l’attività bancaria dalle tensioni che potevano originarsi in altri settori del mercato. In presenza di un sistema bancario fragile e frammentato, questo modello attribuiva unico rilievo all’obiettivo della stabilità; nel dopoguerra, esso consentì il finanziamento della crescita economica, sopperendo all’inadeguatezza del mercato dei capitali; evitò il razionamento del credito destinato alle imprese di piccola e media dimensione. L’articolazione del sistema bancario e la protezione degli istituti di dimensione contenuta furono ritenuti obiettivi prioritari. Con le riforme dell’immediato dopoguerra (1945-1952), veniva definito l’apparato di controllo sull’attività creditizia e sulla funzione valutaria. In tale ambito, la funzione di vigilanza bancaria veniva sottratta a un organo politico-amministrativo, l’Ispettorato per la difesa sul risparmio, e attribuita definitivamente alla Banca d’Italia; veniva istituito il Comitato interministeriale per il credito e il risparmio, presieduto dal Ministro per il Tesoro, per l’esercizio dell’alta vigilanza del settore.“
Mi viene da dire: “ben detto Anna Maria!!!” Ci hai praticamente confermato che l’impianto normativo che strutturava il sistema bancario funzionava, e funzionava anche molto bene visto che è stato uno degli strumenti che ci ha permesso di diventare la sesta potenza economica al mondo. A ciò si aggiunga che il sistema bancario appena descritto coincideva con il modello contenuto nella nostra Costituzione e che quindi altri modelli sono incostituzionali, come ci ha calorosamente ricordato ieri il Prof. Stefano D’Andrea.
La Tarantola prosegue il suo racconto e arriva ai maledetti anni ’80. “Negli anni ottanta, il rafforzamento degli intermediari e il progressivo affinamento degli strumenti di vigilanza rendevano possibile la restituzione al mercato delle sue fondamentali funzioni; ciò si rendeva tanto più necessario in presenza di una crescente apertura dell’economia italiana e dello sviluppo del sistema finanziario internazionale che richiedevano alle banche più elevati livelli di efficienza e l’offerta di nuovi servizi finanziari. Ne è seguita una complessa e articolata azione di riforma, i cui aspetti salienti possono essere rinvenuti nella netta affermazione del carattere d’impresa dell’attività bancaria, indipendentemente dalla proprietà pubblica o privata (il diritto della banca è stato ricondotto entro gli schemi del diritto commerciale applicati alla generalità delle imprese) e nell’avvio del processo di privatizzazione. L’evoluzione normativa e le privatizzazioni hanno costituito i presupposti per l’intensa fase di concentrazione che, avviata a metà degli anni novanta, è oggi ancora in corso. Intensa è stata la produzione normativa volta a modificare il quadro di riferimento nella direzione sopra delineata. Vi hanno concorso gli stimoli determinati dal processo di armonizzazione delle norme in ambito comunitario. Ricordo, in particolare, la prima e la seconda direttiva comunitaria in materia creditizia (Direttive n. 77/80 e 89/646) con cui è stato, tra l’altro, sancito normativamente il diritto di ingresso sul mercato a qualunque soggetto che presenti le qualità oggettive richieste dalla legge. In Italia costituiscono tappe importanti del processo la legge 287 del 1990, che ha introdotto nel nostro ordinamento la normativa a tutela della concorrenza, e la legge 218 del 1990 (cosiddetta legge Amato-Carli), che ha consentito alle banche pubbliche di adottare il modello della società per azioni. Il punto di arrivo di questo processo è il Testo Unico Bancario del 1993, dove si definiscono per la prima volta in modo esplicito le finalità dell’attività di vigilanza, identificate nella sana e prudente gestione dei soggetti vigilati, nella stabilità complessiva, nell’efficienza e nella competitività del sistema finanziario nonché nell’osservanza delle disposizioni in materia creditizia. Il disegno riformatore è stato completato con l’emanazione, nel 1998, del Testo unico della finanza, che ha portato a compimento il processo di modernizzazione del sistema finanziario. Innestandosi sulla scia del recepimento delle direttive comunitarie, esso ha operato una rivisitazione e un’armonizzazione, secondo criteri di delegificazione, di tutte le categorie di intermediari (con l’esclusione delle banche e degli intermediari finanziari disciplinati dal Testo unico bancario, nonché dei fondi pensione); ha consentito di arricchire l’offerta dei prodotti nel campo della gestione del risparmio, lasciando ampia autonomia agli intermediari nelle scelte organizzative; ha realizzato alcuni interventi di completamento della privatizzazione dei mercati; è intervenuto su alcuni rilevanti aspetti di corporate governance delle società quotate.”
Traduzione e sintesi: mercato bello, Stato cattivo, privatizzazioni necessarie, ce lo chiede l’Europa!!!!!!!!, compratevi i derivati che sono un prodotto di risparmio eccezionale!!!!
Insomma, non si sa per quale motivo (o meglio si sa, ma è meglio non dirlo), ma quando le cose andavano bene in un sistema in cui lo Stato faceva lo Stato, si è sentito il bisogno di : “restituire al mercato le sue fondamentali funzioni” e di ripristinare per filo e per segno il modello bancario che ha portato alla crisi del 1929 e allo scenario di povertà e tensioni sociali che ne è conseguito.
Posto quindi che il sistema bancario italiano è stato stravolto dalle “riforme“, perchè oggi si è sentito il bisogno di fare un’ulteriore riforma insistendo in UE, tramite Fabrizio Saccomanni (ministro tecnico ex Banca D’Italia), per “l’Unione Bancaria”? La risposta è semplice l’Unione Europea è la massima espressione del globalismo e del neoliberismo che vogliono la distruzione dello Stato e la creazione del “dio mercato”, l’Unione bancaria è l’ennesima cessione di Sovranità popolare ad un organo sovranazionale che risponde alle sole regole selvagge del mercato.
La Costituzione italiana continua ad essere pugnalata. La democrazia è in pericolo, ma ho fiducia nel Popolo italiano e penso che non è lontano il giorno in cui CI LIBEREREMO!!!