Morte di un’impresa: la dinamica in 7 punti

di Roberto Nardella (ARS Puglia)

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10.000 fallimenti nei primi 9 mesi del 2013

1) Azienda tipo: piccola impresa familiare PMI, ramo qualsiasi, clientela nazionale o vicinale selezionata. Buona marginazione e nessun problema di liquidità. I ricavi sono costantemente investiti in azienda e/o in immobili. Da 30 o più anni sulla piazza. Buona esperienza e conoscenza del mercato, buona clientela e fatturato in crescita costante sino al 2000. Fatturato stazionario o in decrescita lenta ma costante a partire dal 2003.

2) Dal 2008 cominciano a scendere in maniera preoccupante i fatturati e scarseggia la liquidità: si usa l’affidamento bancario per mandare avanti l’attività. L’imprenditore cerca di capire le cause circa la perdita di fatturato, cercando di porvi rimedio. Si pensa di essere diventati poco “attrattivi” e generalmente si da vita ad una svendita degli stock esistenti per rinnovare il “look” e/o la gamma dei prodotti. Con il ricavato che è spesso il prezzo di acquisto o anche meno, si rinnovano gli investimenti, cercando di “aggiustare” il tiro. Questo periodo dura grosso modo 12/18 mesi. Siamo alla seconda metà del 2009.

3) Nei primi tempi che seguono la ristrutturazione, che spesso è foriera di nuovi debiti contratti per investimenti fissi e non, le vendite migliorano ma ben al di sotto delle aspettative. Il nuovo ciclo viene accompagnato da promozioni a prezzi speciali che fanno perdere marginazione all’azienda. Intanto le scadenze cominciano implacabili ad arrivare e si aggiungono alle spese correnti che nel frattempo sono costantemente aumentate a causa della voracità della Pubblica Amministrazione. Siamo alla fine del 2010.

4) Sperando che arrivi una imminente e robusta crescita si chiede altro affidamento sullo scoperto di conto. Si porta a ZERO il magazzino, monetizzandolo. In azienda aumentano le preoccupazioni e l’aria si fa pesante. Tutto il 2011 passa tra alti e bassi. Le banche cominciano a mettere un freno al credito. vengono messe in vendita proprietà immobiliari che sempre di più diventano un peso: le offerte sono troppo basse e si tentenna ancora. L’imprenditore e la sua famiglia cominciano ad intaccare i risparmi personali pregressi, immettendo liquidità nell’impresa. Si fa ricorso agli ammortizzatori sociali per i dipendenti.

5) Inizi del 2012: le commesse non arrivano: fax e telefono sono muti e comincia il panico. Le banche oramai telefonano tutti i giorni chiedendo un rientro più o meno immediato del 30/40/50% dell’affidamento sino ad allora concesso: non credono più nel tuo business. La depressione derivante dal senso di impotenza aumenta ogni giorno di più. Le liti familiari si susseguono. La cassa integrazione sta per finire. Si prende una decisione forte: vengono a malincuore licenziati dei dipendenti e si riducono all’osso le spese correnti. I risparmi personali stanno finendo. Si decide di non pagare tasse, contributi e nei casi più gravi l’IVA. Si pagano regolarmente solo i fornitori. I dipendenti rimasti cominciano a riscuotere a singhiozzo.

6) Siamo agli inizi del 2013: si svendono gli immobili, anche di pregio, ad un prezzo ancora più basso e si cerca di tamponare con le banche. Di ripresa neanche l’ombra. I dipendenti oramai non riscuotono regolarmente da diversi mesi e anche i fornitori cominciano a richiedere pagamenti in contrassegno. Le cartelle di equitalia arrivano a cadenza mensile. Il 2013 sta finendo ma di ripresa neanche l’ombra. Il terrore del fallimento comincia a prendere prepotentemente corpo.

7) 2014: tutte le risorse pregresse sono terminate. Si cerca in qualsiasi modo di salvare la casa dove si vive, ricorrendo a qualsiasi escamotage: è tutto vano: è la FINE, il game over. Ai più fortunati si presenta un radioso futuro da emigrante, magari in Germania.

Roberto Nardella, commerciante.

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