PROPOSTA DI RIFORMA DEL SISTEMA BANCARIO – Documento per l'assemblea nazionale dell'ARS-FSI (5 GIUGNO 2016)
PRIMA PARTE: L’ANALISI
1. L’evoluzione del sistema bancario italiano
a. Dalle origini alla fine della prima globalizzazione
Nel rincorrere le origini del sistema bancario è agevole riscontrare come tale istituzione, pur avendo inequivocabile funzione di interesse pubblico, nacque per impulso di privati cittadini i quali, nel tardo Medioevo, arrivarono paradossalmente a finanziare i sovrani europei.
Tale carattere privatistico venne mantenuto per diversi secoli in tutto il mondo. In Italia fu la crisi della prima globalizzazione e del liberismo, culminata con gli scandali bancari degli anni venti del secolo scorso, a mettere in discussione la gestione del sistema bancario da parte del capitale privato.
b. La Legge Bancaria del 1936
Il fascismo si trovò a dover fronteggiare i colpi di coda del morente sistema globalista e liberista, che stava andando in pezzi ovunque e di cui la crisi del 1929 segnò storicamente la fine. Così come fecero quasi tutte le nazioni in quel periodo, il regime fascista cercò di governare la finanza operando dapprima sulla leva valutaria (deflazione dell’economia, fissazione della nuova parità aurea della lira, ripristino della convertibilità in oro o in divise estere convertibili, “gold exchange standard” e obbligo di riserva aurea non inferiore al 40% del circolante), successivamente effettuando una serie di interventi che spostarono il baricentro della finanza dal privato al pubblico.
La Banca d’Italia venne ad assumere funzioni di vera e propria banca centrale e di organo di controllo del sistema creditizio. Nel pieno della Grande Depressione, la svalutazione della sterlina (settembre 1931) e di gran parte delle altre monete, equivalse, di fatto, a un’ulteriore rivalutazione della lira. La deflazione colpì pesantemente la politica economica italiana con importanti conseguenze sull’economia e la finanza.
A quel punto lo Stato si vide costretto a salvare dal tracollo le maggiori banche miste, gonfie di partecipazioni azionarie sempre più svalutate, che la insana commistione tra industria e settore creditizio aveva creato.
Vennero creati l’Istituto Mobiliare Italiano (IMI), con il compito di assicurare i finanziamenti di medio-lungo periodo e poi l’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI), che acquisì le partecipazioni azionarie delle banche in difficoltà e i pacchetti di controllo delle banche stesse.
A metà degli anni Trenta venne decretata la cessazione della convertibilità della lira in oro e fu sospeso l’obbligo di riserva aurea (che non verrà più ripristinato).
Nel 1936 vide la luce la legge di riforma bancaria. La Banca d’Italia venne definita “istituto di diritto pubblico” e si vide affidare definitivamente, per legge, la funzione di emissione; gli azionisti privati vennero espropriati delle loro quote, che furono riservate a enti finanziari di rilevanza pubblica; alla Banca fu proibito lo sconto diretto agli operatori non bancari, in modo da sottolinearne così la funzione di “banca delle banche”. Si definì, inoltre, un nuovo assetto della vigilanza creditizia e finanziaria. Venne ridisegnato l’intero sistema creditizio nel segno della separazione fra banca e industria e della separazione fra credito a breve e a lungo termine. Si sancì che l’attività bancaria doveva essere ritenuta funzione di interesse pubblico; fu costituito il nucleo delle BIN (Banche di Interesse Nazionale): Banca Commerciale Italiana, Credito Italiano e Banco di Roma a capitale pubblico; si concentrò l’azione di vigilanza nell’Ispettorato per la difesa del risparmio e l’esercizio del credito (organo statale di nuova creazione), presieduto dal Governatore e operante anche con mezzi e personale della Banca d’Italia, ma diretto da un Comitato di ministri presieduto dal capo del Governo.
«Alla fine del 1936 la svalutazione della lira, lungamente attesa, favorì la ripresa economica e il riequilibrio dei conti con l’estero. Contemporaneamente, per effetto di un semplice decreto ministeriale, fu rimosso ogni limite alla possibilità dello Stato di finanziarsi per mezzo di debiti verso la Banca centrale: l’autonomia di quest’ultima toccò il punto più basso» (Centro studi Banca D’Italia).
c. La Costituzione repubblicana e le banche nel trentennio glorioso (1948-1978)
I padri costituenti, ad eccezione del liberista Einaudi – messo subito all’angolo -, non ipotizzarono neanche di ridiscutere l’impianto normativo della legge bancaria, che, anzi, cristallizzarono nel dettato fornito dall’art. 47: «La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito.» Tale norma evidenzia, tra le altre cose, l’inequivocabile incorporazione della struttura di controllo ministeriale-governativa istituita dalla legge bancaria del 1936.
Vogliamo descrivere con le parole di Anna Maria Tarantola, allora importante funzionario della Banca d’Italia, l’evoluzione del sistema bancario italiano nel secondo dopoguerra: «Dalla legge bancaria del 1936, per quasi sessant’anni, la disciplina dell’attività creditizia e finanziaria è rimasta sostanzialmente inalterata. L’impianto normativo, concepito come risposta alle crisi bancarie degli anni trenta, si basava sui principi di separatezza tra banca e industria e di specializzazione temporale e funzionale. La proprietà pubblica di molte banche garantiva la separatezza, riconduceva allo Stato la funzione di controllo e di indirizzo dei finanziamenti. Analogamente a quanto accadeva in altri paesi (ad esempio negli Stati Uniti con il “Glass-Steagall Act”), la specializzazione dell’operatività fu ritenuta funzionale a isolare l’attività bancaria dalle tensioni che potevano originarsi in altri settori del mercato. In presenza di un sistema bancario fragile e frammentato, questo modello attribuiva unico rilievo all’obiettivo della stabilità; nel dopoguerra, esso consentì il finanziamento della crescita economica, sopperendo all’inadeguatezza del mercato dei capitali; evitò il razionamento del credito destinato alle imprese di piccola e media dimensione. L’articolazione del sistema bancario e la protezione degli istituti di dimensione contenuta furono ritenuti obiettivi prioritari. Con le riforme dell’immediato dopoguerra (1945-1952), veniva definito l’apparato di controllo sull’attività creditizia e sulla funzione valutaria. In tale ambito, la funzione di vigilanza bancaria veniva sottratta a un organo politico-amministrativo, l’Ispettorato per la difesa sul risparmio, e attribuita definitivamente alla Banca d’Italia; veniva istituito il Comitato interministeriale per il credito e il risparmio, presieduto dal Ministro per il Tesoro, per l’esercizio dell’alta vigilanza del settore» (“Dalla proprietà pubblica a quella privata: concorrenza ed efficienza del sistema bancario italiano” A.M. Tarantola, 2007).
Questo lo scenario del sistema bancario italiano durante il “trentennio glorioso”, periodo nel quale il dirigismo economico dello Stato, così come sancito dalla Costituzione Repubblicana del 1948, aveva dimostrato tutto il suo valore, testimoniato da una crescita incredibile e da benessere generalizzato e diffuso in tutto il Paese.
d. Sindona e Calvi: le banche private sono corrotte e falliscono, la liquidazione del Banco Ambrosiano, Bazoli e la propaganda contro le banche pubbliche
All’inizio degli anni ‘80 il sistema bancario italiano era uno dei più solidi al mondo. Tale solidità era garantita principalmente da due fattori:
1) una fortissima presenza di capitale pubblico nell’assetto proprietario delle principali banche italiane;
2) un regime di repressione finanziaria che teneva a bada le rendite e le speculazioni, con l’effetto di garantire stabilità e scongiurare bolle e crisi bancarie.
L’unico neo del sistema, che col tempo ne ha permesso lo smembramento, era rappresentato dalla tolleranza verso le banche a capitale privato, la cui spinta alla ricerca del profitto ne segnava la differenza con le banche a capitale pubblico, anche dette di “interesse nazionale”, il cui unico obiettivo era invece rappresentato dal corretto finanziamento della crescita dell’economia italiana, sia pubblica che privata.
Alcune di queste banche private colsero l’opportunità dell’apertura ai mercati esteri, sollecitata dal crescente vento europeista e globalista di fine anni ‘70, per farsi spregiudicate e portare a termine un gioco di tipo predatorio.
Da Sindona (Banca Privata Finanziaria) a Calvi (Banco Ambrosiano), quanto appena detto risulta agli atti della Storia.
Fu proprio il crack del Banco Ambrosiano (banca a capitale privato) a porre le basi per la capitolazione della proprietà pubblica delle banche italiane.
Beniamino Andreatta (all’epoca Ministro del Tesoro) e Carlo Azeglio Ciampi (Governatore della Banca D’Italia) colsero l’occasione fornita dallo scandalo del Banco Ambrosiano per mettere in moto la riforma del sistema bancario nazionale.
Il copione, più volte ripetuto in futuro per lo smembramento di altri pezzi dell’assetto istituzionale italiano, prevedeva di far leva sull’opinione pubblica – inorridita dalla martellante cronaca quotidiana di TV e giornali sullo scandalo bancario dell’Ambrosiano, nel quale si intrecciavano loschi figuri, intrighi internazionali, omicidi, il Vaticano e la massoneria – per far passare come NECESSARIE determinate riforme. I punti su cui si cercava di battere erano la presunta incapacità della politica di governare determinati settori dell’economia e della finanza, che sarebbe stato meglio (questo era il messaggio) lasciare al governo dei mercati, in quanto per loro natura efficienti.
Il sistema bancario si apprestava quindi a fare i conti con le “necessarie” privatizzazioni nel silenzio generale e senza che a nessuno venisse in mente di denunciare come, in realtà, i crack finanziari fino ad allora verificatisi avessero interessato solo le banche a capitale privato e mai le banche a capitale pubblico, confermando la visione dei Padri Costituenti dello Stato come banchiere più affidabile.
A distanza di 25 anni dal 1982, Giovanni Bazoli, l’uomo che fu incaricato da Andreatta e Ciampi di liquidare il Banco Ambrosiano, raccontò attraverso una intervista i retroscena di quella operazione e confessò il vero scopo che animò il “gesto coraggioso” dell’allora Ministro del Tesoro, il quale che preferì la liquidazione del Banco al suo salvataggio:
«Perché quella scelta fu così importante?»
«Perché il gruppo bancario costruito da Calvi, pur nelle condizioni di collasso in cui era venuto a trovarsi, rappresentava l’unico grande polo creditizio privato che in quel momento esistesse nel sistema creditizio italiano. Se il gruppo bancario ex Ambrosiano non fosse stato affidato al pool di istituti riuniti nel Nuovo Banco, sarebbe stato completamente smembrato ovvero assorbito dalla mano pubblica.»
«Parliamo di una stagione lontana anni luce da quella che viviamo oggi. Allora era la norma, lo Stato padrone imperversava ovunque.»
«Sì, allora non era affatto normale che l’autorità si preoccupasse di difendere il settore privato. In un certo senso si deve riconoscere che quell’operazione anticipò la stagione delle privatizzazioni. Il pool di banche che fu messo in piedi per rilevare e rilanciare le attività dell’Ambrosiano era infatti composto per il 50% da quattro banche private (Popolare di Milano, San Paolo di Brescia, Credito Romagnolo e Credito Emiliano) che fronteggiavano il 50% posseduto da tre grandi banche pubbliche (Bnl, San Paolo di Torino e Imi). Per ovviare alla grande sproporzione tra le forze in campo, furono sottoscritti accordi volti a tutelare il 50% della banche private. Ma talvolta la storia ha esiti imprevedibili. Certamente nessuno allora avrebbe potuto immaginare che, nel tempo, sarebbe prevalsa la componente privata» (da La Repubblica del 07 agosto 2005: Bazoli: “La mia vera storia all’Ambrosiano tra Calvi e la P2” di Massimo Giannini).
Il vento liberista e globalista, tornato a soffiare con le elaborazioni partorite dalla Trilateral Commission e dal Gruppo Bilderberg degli anni ‘70, si apprestava a travolgere gli anni ‘80 con la potenza dirompente di una tempesta.
e. Il 1981 e la commissione Monti-Cesarini-Scognamiglio istituita dal Ministro del Tesoro Beniamino Andreatta
Il 1981 – famoso per il “divorzio” tra Banca d’Italia e Ministero del Tesoro, che segnò un punto di svolta nella politica di finanziamento del debito pubblico – si aprì con la nomina, da parte del Ministro Beniamino Andreatta, di una commissione per la redazione di un “rapporto sul sistema creditizio e finanziario italiano”. Membri della commissione: Mario Monti, Francesco Cesarini e Carlo Scognamiglio.
Il rapporto, consegnato nel gennaio del 1982, si può definire come la “bibbia” liberista/globalista che “illuminò”, dieci anni più tardi, le riforme del sistema bancario italiano.
I redattori concludevano con una serie di raccomandazioni, suggerendo, tra le altre cose: la rottura del vincolo di favore al finanziamento pubblico e l’abbandono del regime di repressione finanziaria; una lotta indiscriminata contro l’inflazione; l’indicizzazione del debito pubblico; il rafforzamento da parte delle imprese degli strumenti di finanziamento mobiliare e di borsa; l’indipendenza della politica monetaria dal disavanzo pubblico; l’ampliamento dei canali di raccolta del risparmio; l’istituzione di un regime di concorrenza fra istituti di credito; l’abbandono dei vincoli alla circolazione di capitali; le agevolazioni fiscali sulle rendite finanziarie; l’abolizione del massimale sugli impieghi bancari e del vincolo di portafoglio e la revisione della riserva obbligatoria.
Il rapporto della commissione Monti/Cesarini/Scognamiglio fece il giro dei centri studi delle principali banche italiane e plasmò, nel corso degli ‘80, il pensiero del ceto bancario, il quale si fece convincere del fatto che una restituzione al “mercato” ed una apertura delle frontiere dei capitali si fosse resa necessaria dopo 60 anni.
f. Gli anni ‘90: Ciampi, Carli, Amato e la restaurazione del sistema bancario liberista e globalista sotto gli impulsi di Maastricht
Il decennio che, passando per Maastricht, riforme e record di privatizzazioni, portò l’Italia nella moneta unica, è mirabilmente raccontato da Anna Maria Tarantola nel documento già citato sopra: «Negli anni ottanta, il rafforzamento degli intermediari e il progressivo affinamento degli strumenti di vigilanza rendevano possibile la restituzione al mercato delle sue fondamentali funzioni; ciò si rendeva tanto più necessario in presenza di una crescente apertura dell’economia italiana e dello sviluppo del sistema finanziario internazionale che richiedevano alle banche più elevati livelli di efficienza e l’offerta di nuovi servizi finanziari.
Ne è seguita una complessa e articolata azione di riforma, i cui aspetti salienti possono essere rinvenuti nella netta affermazione del carattere d’impresa dell’attività bancaria, indipendentemente dalla proprietà pubblica o privata (il diritto della banca è stato ricondotto entro gli schemi del diritto commerciale applicati alla generalità delle imprese) e nell’avvio del processo di privatizzazione. L’evoluzione normativa e le privatizzazioni hanno costituito i presupposti per l’intensa fase di concentrazione che, avviata a metà degli anni novanta, è oggi ancora in corso.
Intensa è stata la produzione normativa volta a modificare il quadro di riferimento nella direzione sopra delineata. Vi hanno concorso gli stimoli determinati dal processo di armonizzazione delle norme in ambito comunitario.
Ricordo, in particolare, la prima e la seconda direttiva comunitaria in materia creditizia (Direttive n. 77/80 e 89/646) con cui è stato, tra l’altro, sancito normativamente il diritto di ingresso sul mercato a qualunque soggetto che presenti le qualità oggettive richieste dalla legge.
In Italia costituiscono tappe importanti del processo la legge 287 del 1990, che ha introdotto nel nostro ordinamento la normativa a tutela della concorrenza, e la legge 218 del 1990 (cosiddetta legge Amato-Carli), che ha consentito alle banche pubbliche di adottare il modello della società per azioni.
Il punto di arrivo di questo processo è il Testo Unico Bancario del 1993, dove si definiscono per la prima volta in modo esplicito le finalità dell’attività di vigilanza, identificate nella sana e prudente gestione dei soggetti vigilati, nella stabilità complessiva, nell’efficienza e nella competitività del sistema finanziario nonché nell’osservanza delle disposizioni in materia creditizia.
Il disegno riformatore è stato completato con l’emanazione, nel 1998, del Testo unico della finanza, che ha portato a compimento il processo di modernizzazione del sistema finanziario. Innestandosi sulla scia del recepimento delle direttive comunitarie, esso ha operato una rivisitazione e un’armonizzazione, secondo criteri di delegificazione, di tutte le categorie di intermediari (con l’esclusione delle banche e degli intermediari finanziari disciplinati dal Testo unico bancario, nonché dei fondi pensione); ha consentito di arricchire l’offerta dei prodotti nel campo della gestione del risparmio, lasciando ampia autonomia agli intermediari nelle scelte organizzative; ha realizzato alcuni interventi di completamento della privatizzazione dei mercati; è intervenuto su alcuni rilevanti aspetti di corporate governance delle società quotate» (Dalla proprietà pubblica a quella privata: concorrenza ed efficienza del sistema bancario italiano” A.M. Tarantola, 2007).
Negli anni ‘90 la restaurazione liberista/globalista del sistema bancario italiano era stata dunque completata e l’orologio della storia era stato riportato indietro di sessanta anni. L’Italia si apprestava ad incubare la stessa malattia che aveva portato al disastro bancario e finanziario degli anni ‘20 del XX secolo: le privatizzazioni erano state compiute, la banca universale era stata restaurata e si avviava la stagione delle concentrazioni degli istituti di credito, il tutto, imposto dal “CE LO CHIEDE L’EUROPA” delle direttive europee.
Lo Stato banchiere era stato ammazzato.
g. L’incubazione della crisi bancaria
Nel mutato sistema bancario aveva nel frattempo fatto il suo ingresso una nuova e pericolosissima forma di indebitamento: il credito al consumo.
Imposto agli Stati membri con la Direttiva 87/102/CEE del Consiglio del 22 dicembre 1986, era stato recepito nell’ordinamento italiano con la legge 19 febbraio 1992, n. 142.
L’adesione all’Unione Monetaria (sancita nel 1992 con il Trattato di Maastricht e operativa dal 1998) aveva contemporaneamente generato da un lato un clima di austerità sui conti pubblici – con conseguente stagnazione del reddito pro capite e impoverimento generalizzato dei ceti medio bassi -, dall’altro un enorme afflusso di capitali esteri in cerca di alti rendimenti nel mercato del credito, dando la stura al fenomeno del cd. credito facile, ovvero all’erogazione di finanziamenti, sia a consumatori che a imprese, senza adeguata valutazione dell merito creditizio e, quindi, della capacità di rimborso.
In questo clima di sovraindebitamento generalizzato, il decennio si chiudeva con l’ingresso nell’euro e con l’importazione, attraverso la legge n. 130 del 1999, del modello anglosassone delle “cartolarizzazioni”. Il legislatore degli anni ‘90, prono ai dogmi liberisti e globalisti, asservito agli interessi stranieri, ben conscio che la massa debitoria sarebbe andata in crisi, si preparava quindi a gestirla.
h. Da Lehman ai PIGS verso l’Unione Bancaria Europea: esplosione della crisi
Nel corso degli anni 2000 l’indebitamento privato è cresciuto a dismisura finché la bolla, innescata dalla crisi dei mutui subprime americani, è deflagrata nella economia italiana ed europea.
Gli organismi dell’Unione europea, che per lungo tempo hanno operato indisturbati lontano dal clamore mediatico, sono finiti sotto i riflettori durante la gestione di quella che è stata propagandata come una crisi del “debito sovrano”, ma che in realtà era solo una enorme crisi bancaria, voluta e prevista dagli architetti dell’Unione europea per terminare la costruzione dell’impianto della UEM e realizzare la recente Unione Bancaria, il cui seme ere stato tuttavia gettato molto prima.
Era il 1992 quando il trattato di Maastricht, modificando il TCE, introduceva con l’art. 105 n° 6 (poi traslato nell’attuale art. 127 n° 6 del TUE) la seguente norma: «Il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione della BCE, nonché previo parere conforme del Parlamento europeo, può affidare alla BCE compiti specifici in merito alle politiche che riguardano la vigilanza prudenziale degli enti creditizi e delle altre istituzioni finanziarie, escluse le imprese d’assicurazione.»
Dovranno passare esattamente 20 anni perché, nel 2012, in un periodo caldissimo della storia economico-finanziaria, nonché politica, nella DICHIARAZIONE DEL VERTICE DELLA ZONA EURO del 29 giugno 2012 venga sancito:
«Affermiamo che è imperativo spezzare il circolo vizioso tra banche e debito sovrano. La Commissione presenterà a breve proposte relative a un meccanismo di vigilanza unico fondate sull’articolo 127, paragrafo 6. Chiediamo al Consiglio di prenderle in esame in via d’urgenza entro la fine del 2012. Una volta istituito, per le banche della zona euro, un efficace meccanismo di vigilanza unico con il coinvolgimento della BCE, il MES potrà avere facoltà, sulla scorta di una decisione ordinaria, di ricapitalizzare direttamente gli istituti bancari. Questa procedura si baserà su un’appropriata condizionalità, ivi compresa l’osservanza delle regole sugli aiuti di Stato, che dovrebbe essere specifica per ciascun istituto, specifica per settore ovvero applicabile a tutta l’economia e sarà formalizzata in un memorandum d’intesa.»
Ecco spiegate le origini dell’Unione Bancaria Europea.
Il 29 giugno del 2012, oltre al vertice della zona Euro, si è tenuto il CONSIGLIO EUROPEO dalle cui conclusioni leggiamo al punto 4:
«La relazione “Verso un’autentica Unione economica e monetaria” presentata dal presidente del Consiglio europeo, in cooperazione con i presidenti della Commissione, dell’Eurogruppo e della BCE, illustra i “quattro elementi costitutivi essenziali” della futura UEM: un quadro finanziario integrato, un quadro di bilancio integrato, un quadro integrato di politica economica e il rafforzamento della legittimità democratica e della responsabilità. A seguito di aperte discussioni, durante le quali sono state espresse diverse opinioni, il presidente del Consiglio europeo è stato invitato a elaborare, in stretta collaborazione con il presidente della Commissione, il presidente dell’Eurogruppo e il presidente della BCE, una tabella di marcia specifica e circoscritta nel tempo per la realizzazione di un’autentica Unione economica e monetaria, che comprenda proposte concrete volte a preservare l’unità e l’integrità del mercato unico dei servizi finanziari e che tenga conto della dichiarazione sulla zona euro e, tra l’altro, dell’intenzione della Commissione di presentare proposte a norma dell’articolo 127. Essi esamineranno ciò che può essere fatto nell’ambito dei trattati vigenti e quali misure richiederebbero una loro modifica. Al fine di garantire la titolarità degli Stati membri, questi saranno strettamente associati alle riflessioni e regolarmente consultati. Sarà inoltre consultato il Parlamento europeo. Una relazione intermedia sarà presentata nell’ottobre 2012 e una relazione finale entro la fine dell’anno.»
E, puntualmente, alla fine del 2012, la tabella di marcia è stata rispettata.
Leggiamo infatti dalle conclusioni del CONSIGLIO EUROPEO del 13/14 dicembre 2012:
«Il meccanismo di vigilanza unico segna un passo qualitativamente importante verso un quadro finanziario più integrato. Il Consiglio europeo si compiace dell’accordo raggiunto in seno al Consiglio il 13 dicembre e invita i colegislatori a raggiungere celermente un accordo in modo da consentirne l’attuazione quanto prima possibile. Ribadisce altresì l’importanza delle nuove norme relative ai requisiti patrimoniali delle banche (CRR/CRD), che costituiscono una priorità assoluta ai fini dell’elaborazione di un corpus unico di norme, e chiede a tutte le parti di adoperarsi per un accordo al riguardo e una rapida adozione.
Il Consiglio europeo esorta i colegislatori ad approvare, prima di giugno 2013, le proposte di direttive sul risanamento e la risoluzione delle crisi nel settore bancario e sul sistema di garanzia dei depositi; da parte sua il Consiglio dovrebbe raggiungere un accordo entro la fine di marzo 2013. Una volta adottate queste direttive dovranno essere recepite dagli Stati membri in via prioritaria.
Il Consiglio europeo auspica che la Commissione dia rapido seguito alle proposte del gruppo di esperti ad alto livello sulla struttura del settore bancario dell’UE.
È imperativo spezzare il circolo vizioso tra banche e Stati. A seguito della dichiarazione del vertice della zona euro di giugno 2012 e delle conclusioni del Consiglio europeo di ottobre 2012, occorre convenire quanto prima possibile nel primo semestre del 2013 un quadro operativo, compresa la definizione delle attività preesistenti, cosicché, una volta istituito un efficace meccanismo di vigilanza unico, il meccanismo europeo di stabilità potrà avere facoltà, sulla scorta di una decisione ordinaria, di ricapitalizzare direttamente gli istituti bancari. Ciò sarà fatto nel pieno rispetto del mercato unico.
In un contesto in cui la vigilanza bancaria è trasferita effettivamente ad un meccanismo di vigilanza unico sarà necessario un meccanismo di risoluzione unico, dotato dei poteri atti ad assicurare che qualsiasi banca in uno Stato membro partecipante possa essere assoggettata a risoluzione mediante gli strumenti opportuni. Pertanto occorre accelerare i lavori concernenti le proposte di direttive sul risanamento e la risoluzione delle crisi nel settore bancario e sul sistema di garanzia dei depositi, in modo che possano essere adottate in linea con il punto 8. In tali questioni è importante assicurare un giusto equilibrio tra paesi d’origine e ospitanti. La Commissione presenterà, nel corso del 2013, una proposta relativa a un meccanismo di risoluzione unico per gli Stati membri partecipanti al meccanismo di vigilanza unico, proposta che sarà esaminata in via prioritaria dai colegislatori con l’intenzione di adottarla durante l’attuale mandato parlamentare. Questo meccanismo dovrà preservare la stabilità finanziaria ed assicurare un quadro efficace per risolvere gli inadempimenti degli istituti finanziari tutelando nel contempo i contribuenti in un contesto di crisi bancaria. Il meccanismo di risoluzione unico dovrebbe basarsi sui contributi dello stesso settore finanziario e comprendere adeguate ed efficaci misure di sostegno. Queste ultime non dovrebbero avere implicazioni di bilancio nel medio termine assicurando che gli aiuti pubblici siano recuperati attraverso prelievi ex post nel settore finanziario.»
Quanto fin qui riportato evidenzia come, già dal 2012, quando Mario Monti ricopriva l’incarico di Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica italiana e in quella veste rappresentava in seno al Consiglio Europeo gli “interessi” italiani, le sorti del sistema bancario italiano erano già state segnate.
i. Monti, Letta e l’assedio di Francoforte alle banche italiane
La storia recente ci racconta che il percorso di consolidamento del progetto di Unione Bancaria Europea è proseguito, sostanzialmente senza intoppi, fino ad oggi, senza che le elezioni politiche del febbraio 2013, i governi Letta e Renzi e l’opposizione volutamente sterile del M5S, abbiano in qualche modo interferito in detto processo palesemente penalizzante per il sistema bancario italiano. Nulla.
Tutto è arrivato al perfetto compimento, accompagnato da grottesche manifestazioni di giubilo.
Siamo arrivati, quindi, tra direttive europee e leggi di recepimento, ad avere la (quasi) piena operatività dell’Unione Bancaria Europea dal 01/01/2016, che in Italia ha avuto la sua prima applicazione e mietuto le prime vittime per effetto del Decreto Legislativo n. 180 del 16/11/2015 (cd. decreto “salva banche”), emanato per garantire il salvataggio di 4 banche italiane in dissesto (Banca delle Marche, Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, Cassa di Risparmio di Ferrara, CariChieti).
La portata della normativa europea, che ha un corpo di circa 600 pagine, viene spiegata nei suoi caratteri essenziali in due documenti ufficiali del Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, rilasciati in occasione di altrettante audizioni avute presso le due Camere del Parlamento italiano: alla 6a Commissione (Finanze) della Camera dei Deputati del 15 dicembre 2014 e alla 6a Commissione permanente (Finanze e tesoro) del Senato della Repubblica, avuta il 22 aprile 2015.
Riportiamo qualche stralcio che evidenzia da un lato la forte portata ideologica dell’intervento del Governatore e dall’altro i tratti caratteristici della riforma.
Dalla relazione alla Camera dei Deputati del 14 dicembre 2014:
«L’Unione bancaria rappresenta un segnale di ripresa e continuità del progetto europeo.
[…]
L’Unione racchiude in sé benefici di ampia portata: dalla ripresa del processo di integrazione finanziaria tra i paesi membri, al consolidamento transfrontaliero del sistema bancario, all’aumento del grado di concorrenza nel mercato del credito; con la necessaria gradualità, contribuirà ad allentare il legame tra banche ed emittenti sovrani. Questi benefici potranno essere colti pienamente e potranno tradursi in un maggior sostegno creditizio all’economia reale se si accompagneranno a un ritorno alla crescita e a una decisa accelerazione nel cammino di integrazione europea.
[…]
La situazione particolarmente difficile che l’economia italiana vive da sei anni ha pesato anche sul risultato degli stress test. Nello scenario avverso la caduta cumulata del PIL tra il 2008 e il 2016 (l’anno finale dello stress test) sarebbe per l’Italia di quasi 12 punti percentuali, più elevata di quasi 8 punti rispetto a quella registrata in media dall’area dell’euro dal picco pre-crisi. Sui risultati delle banche italiane, che posseggono un ammontare rilevante di titoli di Stato, hanno anche inciso le ipotesi particolarmente sfavorevoli circa le prospettive del mercato dei titoli pubblici, che prevedevano un immediato riacutizzarsi delle tensioni sui debiti sovrani dovuto al riemergere di timori sulla tenuta della moneta unica.
[…]
I risultati dello stress test hanno inoltre fortemente risentito della parziale rimozione della possibilità di sterilizzare – attraverso un apposito filtro prudenziale – l’effetto delle variazioni di valore dei titoli sovrani classificati nel portafoglio di attività disponibili per la vendita (available for sale, AFS); l’impatto sul patrimonio delle banche è risultato di circa quattro miliardi, di cui uno concentrato nella sola Banca Monte dei Paschi di Siena.
[…]
Non è stata invece effettuata alcuna “armonizzazione” delle altre discrezionalità nazionali, tra le quali figura, ad esempio, la possibilità di graduare nel tempo la deduzione degli avviamenti dal capitale di migliore qualità delle banche. È stato quindi adottato, con una decisione da noi non condivisa e contestata per le vie formali, un approccio asimmetrico alle discrezionalità nazionali. Va infine ancora una volta sottolineato che le banche italiane non hanno beneficiato del sostegno finanziario dello Stato, mentre per gli intermediari di altri paesi il supporto pubblico è stato significativo. Secondo i dati pubblicati dall’Eurostat, alla fine del 2013 l’impatto di questi aiuti sul debito pubblico ammontava a quasi 250 miliardi in Germania, quasi 60 in Spagna, circa 50 in Irlanda e nei Paesi Bassi, poco più di 40 in Grecia. In Italia il sostegno pubblico è stato di circa 4 miliardi, 3 dei quali restituiti nel corso del 2014. Gli interventi effettuati all’estero sono stati per lo più completati prima che fossero adottate le più stringenti regole europee previste, dal 2013, dalla disciplina sugli aiuti di Stato e dalla 7 direttiva sul risanamento e la risoluzione delle banche. Queste subordinano, di fatto, il sostegno pubblico al coinvolgimento dei creditori privati in caso di crisi (bail in). Regole di questa natura, contenute anche nel nuovo meccanismo di risoluzione delle crisi bancarie, avranno conseguenze sul costo della raccolta bancaria sotto forma di obbligazioni, con implicazioni per il costo e la disponibilità di credito.
[…]
Il credito a famiglie e imprese ha risentito pesantemente, non solo in Italia, della crisi finanziaria globale e di quella dei debiti sovrani.»
Dalla relazione al Senato della Repubblica del 22 aprile 2015:
«[…]
La creazione del Meccanismo di risoluzione unico (Single Resolution Mechanism, SRM) rappresenta un ulteriore, essenziale tassello nel processo di costruzione dell’Unione bancaria. Ad esso sono affidate sia le attività di pianificazione (la predisposizione dei cosiddetti piani di risoluzione) – dirette a individuare, ex ante, le modalità con cui la crisi di ciascuna banca può essere gestita – sia le attività di vera e propria gestione delle crisi, nel caso in cui si manifestino. È inoltre previsto un Fondo di risoluzione unico (Single Resolution Fund, SRF) destinato a partecipare al finanziamento degli interventi di risoluzione; il Fondo è alimentato da contributi, progressivamente mutualizzati, versati dalle banche dei paesi partecipanti. Il Meccanismo sarà pienamente operativo dal 1° gennaio 2016. Le attività preparatorie sono state avviate: il Comitato unico per la risoluzione (Single Resolution Board, SRB), al quale partecipano i rappresentanti delle autorità di risoluzione nazionali, è stato costituito; nel corso dei prossimi mesi sarà avviata la predisposizione dei piani di risoluzione, un compito che il regolamento istitutivo del Meccanismo prevede, infatti, già per quest’anno; si stanno definendo le modalità operative concrete. Anche il Meccanismo di risoluzione, come quello di vigilanza, è basato su una ripartizione di competenze fra l’autorità europea – il SRB – e quelle nazionali, in relazione alla tipologia degli intermediari. Il SRB avrà il compito di gestire le procedure di risoluzione delle banche qualificate come significative ai sensi del regolamento SSM e dei gruppi transfrontalieri; stabilirà la strategia di risoluzione e gli strumenti da utilizzare in concreto per gestire la crisi di questi intermediari; in questo ambito, le autorità nazionali svolgeranno un ruolo istruttorio e cureranno l’attuazione del programma di risoluzione. La decisione di avviare la risoluzione e la scelta degli strumenti da utilizzare sono di competenza del SRB, che dovrà sottoporre alla Commissione europea il programma di risoluzione. Quest’ultima può approvare le proposte del SRB oppure chiedere modifiche del programma di risoluzione; ove le modifiche riguardino due aspetti specifici – l’uso del Fondo di risoluzione e la presenza dell’interesse pubblico – la Commissione dovrà necessariamente interessare il Consiglio europeo, che sarà chiamato ad approvare o rigettare la proposta del SRB. Il coinvolgimento della Commissione e del Consiglio, in quanto istituzioni dell’Unione, tiene conto degli ineliminabili aspetti discrezionali delle scelte che riguardano la risoluzione; il loro ruolo è tuttavia limitato all’approvazione delle proposte che provengono dal SRB; se tali proposte non vengono accolte, dovrà essere lo stesso SRB a individuare una nuova soluzione sulla base delle ragioni esposte dalle due istituzioni. Il SRM rappresenta un passo ulteriore rispetto alla semplice armonizzazione prevista dalla direttiva in materia di risanamento e risoluzione degli enti creditizi (Bank Recovery and Resolution Directive, BRRD). Obiettivo dell’accentramento delle funzioni di gestione delle crisi previsto dal SRM è garantire omogeneità nella definizione delle politiche di risoluzione delle banche dell’area; una gestione unitaria della crisi dei grandi gruppi bancari a operatività transfrontaliera consentirà inoltre di superare le possibili sovrapposizioni o inefficienze connesse con l’intervento di molteplici autorità. Per l’efficacia dell’azione di risoluzione sarà necessario evitare che la complessa struttura decisionale, che comunque caratterizza l’SRM, ne rallenti i tempi delle decisioni. Per rendere possibile la risoluzione di intermediari molto grandi e complessi sarà necessario dotare il Fondo di risoluzione unico di un adeguato backstop pubblico europeo, attivabile in breve tempo. Le risorse comuni eventualmente anticipate al Fondo dovranno essere comunque recuperate ex post a carico degli intermediari, coerentemente con un quadro normativo che ha l’obiettivo di attribuire al settore privato l’onere di sostenere i costi delle crisi. Il SRM avrà a disposizione gli strumenti di risoluzione, alcuni dei quali innovativi, previsti dalla BRRD. Sarà possibile procedere al trasferimento dei rapporti della banca in crisi a terzi acquirenti o a veicoli appositamente costituiti dalle autorità, che potranno gestire temporaneamente tali rapporti in modo da preservare la continuità delle funzioni essenziali dell’intermediario (è il caso di una bridge bank) oppure acquisire le attività deteriorate dell’intermediario da sottoporre a procedure di realizzo e recupero (bad bank). Altri strumenti, utilizzabili in una fase preventiva, come le procedure di amministrazione straordinaria, già ampiamente sperimentati nel nostro ordinamento, sono ora riconosciuti e valorizzati dal nuovo quadro regolamentare europeo. Tra i nuovi principi stabiliti dalle regole europee sulla risoluzione quello certamente più innovativo è rappresentato dal bail-in, che prevede di mettere a carico degli azionisti e dei creditori dell’intermediario le perdite emerse a seguito della crisi, prima di ogni eventuale sostegno pubblico che potrà avvenire solo in casi estremi. Il passaggio da un mondo caratterizzato da un sostegno pubblico implicito a uno in cui sono in primo luogo gli azionisti e i creditori a sopportare le perdite limita gli oneri potenzialmente a carico della collettività. L’approccio adottato dalla BRRD prevede il potere di assoggettare a bail-in tutte le passività diverse da quelle espressamente escluse (essenzialmente i depositi protetti, le passività garantite da attivi emessi dalla stessa banca, i prestiti interbancari con scadenza originaria inferiore a sette giorni). In questo nuovo regime occorrerà evitare che si verifichino effetti indesiderati sulla stabilità finanziaria. Il bail-in potrà influire sui costi e sulle modalità di raccolta delle banche; la stessa struttura del passivo andrà modificata per assicurare che l’ammontare di passività potenzialmente oggetto di bail-in sia sufficiente ad assorbire le eventuali perdite, secondo quanto richiesto dalle regole e dalle prassi di risoluzione europee.
Le banche dovranno, inoltre, adottare un approccio nei confronti della clientela coerente con il cambiamento fondamentale apportato dalle nuove regole, che non consentono d’ora in poi il salvataggio di una banca senza un sacrificio significativo da parte dei suoi creditori. La clientela, specie quella meno in grado di selezionare correttamente i rischi, va resa pienamente consapevole del fatto che potrebbe dover contribuire al risanamento di una banca anche nel caso in cui investa in strumenti finanziari diversi dalle azioni, il che fa venir meno la certezza del mantenimento del valore del capitale investito fino ad ora radicata nella consapevolezza dell’investitore.
[…]
In una fase caratterizzata dall’inasprimento delle regole applicabili alle banche, lo sviluppo di fonti di finanziamento alternative al credito renderebbe il settore produttivo meno fragile. In questa direzione vanno le iniziative della Commissione europea, contenute nel libro verde sulla Capital Markets Union recentemente pubblicato, che intendono realizzare, entro il 2019, un mercato europeo dei capitali più ampio e diversificato. Per realizzarlo bisognerà anche porsi, almeno in prospettiva, obiettivi ambiziosi riguardo all’armonizzazione di norme societarie, fallimentari e fiscali. Rientrano tra le misure previste dal libro verde la rivitalizzazione del mercato delle cartolarizzazioni di prodotti finanziari semplici, trasparenti e di agevole valutazione, la facilitazione della negoziazione transfrontaliera di titoli, la definizione di standard comuni per i collocamenti privati di alcune tipologie di passività delle imprese […].»
In questo complicato scenario si va ad inserire la richiesta proveniente dalla Bundesbank di attribuire un rating ai titoli del debito pubblico, detenuti dalle banche europee, che obbligherebbe le stesse a ponderarne il valore attualmente iscritto in bilancio in base al rischio, con la conseguenza di diminuirne il valore nominale. È superfluo sottolineare che le banche italiane ne risulterebbero penalizzate, in quanto l’enorme mole dei titoli del debito pubblico detenuti dalle stesse, le renderebbe sottopatrimonializzate, con la conseguenza di esporsi a facili acquisizioni da parte di capitale straniero.
Sempre nella prospettiva di un definitivo ridimensionamento del carattere nazionale del sistema bancario, si inseriscono le recenti riforme delle cd. “banche minori”, banche popolari e banche di credito cooperativo che, pur godendo di miglior salute rispetto ai gruppi bancari di più grandi dimensioni, sia per le minori sofferenze in percentuale sugli impieghi, sia per il più contenuto tasso di copertura delle rettifiche, sono state ripetutamente accusate di essere inefficienti e clientelari, di avere debolezze strutturali derivanti dal modello di attività, particolarmente esposto all’andamento dell’economia del territorio di riferimento, ed anche dagli assetti organizzativi e dalla dimensione ridotta. Accuse che mal celano, invero, l’evidente scopo di legittimare un disegno di ristrutturazione (Decreto Legge n. 3 del 04/01/2015, convertito in Legge n. 33 del 24/03/2015 per le banche popolari; Decreto Legge n. 18 del 14/02/2016, convertito in Legge n. 49 dell’08/04/2016 per le banche di credito cooperativo) che tende a favorirne il controllo e l’acquisizione da parte dei gruppi maggiori, in un’ottica di crescente concentrazione ed internazionalizzazione degli istituti bancari.
j. Renzi-Padoan e le direttive del FMI targate Wall Street
Abbiamo già fatto notare come già dal 2012 era stato tutto già stabilito in seno al Consiglio Europeo su cosa fare del sistema bancario italiano.
Nel frattempo gli squali di Wall Street avevano già fiutato il sangue a miglia e miglia di distanza e si preparavano ad azzannare alla giugulare il sistema bancario italiano sanguinante sotto i colpi dell’Unione Bancaria Europea.
La voglia di speculazione delle banche d’affari straniere, in particolare quelle USA, sulle sofferenze bancarie italiane, si è chiaramente manifestata quando la Fortress ha acquistato, nell’agosto del 2014, 1 miliardo di tali sofferenze e nel 2015 ha addirittura assorbito il ramo di gestione crediti dell’Unicredit, che come sappiamo è una delle due principali banche italiane.
Ma anche BlackRock, il più grande fondo di investimento al mondo, ha palesato il suo interesse nel settore bancario italiano diventando il primo azionista Unicredit.
Risale al febbraio 2015, invece, un paper del Fondo Monetario Internazionale dal titolo inequivocabilmente orientato: “Una strategia per sviluppare un mercato per Crediti in sofferenza in Italia”.
Appare chiaro come dopo Wall Street – o forse su suo impulso – il FMI abbia ritenuto di intervenire nella vicenda del sistema bancario italiano mettendo nero su bianco dei “consigli” normativi al Governo italiano, il cui dicastero economico era all’epoca del paper, e ancora oggi, affidato ad una vecchia conoscenza del Fondo Monetario Internazionale: Pier Carlo Padoan.
Una buona sintesi di questi consigli li ritroviamo in un focus sul paper redatto da Nomisma, del quale riportiamo alcuni importanti passaggi:
«Una strategia per affrontare il problema della lunghezza delle procedure legali in modo da non penalizzare le banche. L’obiettivo di tali misure dovrebbe essere quello di rimuovere dai bilanci delle banche NPLs molto vecchi (ad esempio superiori a cinque anni). Inoltre tali politiche dovrebbero consentire di liquidare più facilmente le imprese non più vitali (che non generano più cash flow) e di ristrutturare quelle che, ancorché in difficoltà, siano considerate capaci di generare cassa per coprire il pagamento degli interessi. Per queste imprese le banche potrebbero cancellare parzialmente i loro debiti oppure trasformare i loro crediti in partecipazioni.
[…] Rimozione di impedimenti fiscali alla ristrutturazione dei crediti: l’innalzamento del limite di deducibilità fiscale introdotto nel 2013 ha rappresentato un importante passo nella direzione di incentivare gli accantonamenti. Il sistema fiscale potrebbe andare oltre consentendo rettifiche e svalutazioni fiscali pienamente deducibili nello stesso esercizio come succede in altri paesi (non proprio attuabile visti i nostri problemi di gettito fiscale ndr). Inoltre le istituzioni pubbliche (istituti previdenziali, Equitalia, etc.) che vantano crediti verso debitori insolventi dovrebbero partecipare alla ristrutturazione (giudiziale e stragiudiziale) dei debiti. Mettere sullo stesso piano pubblico e privato dovrebbe incentivare tutte le parti ad ottimizzare gli sforzi di recupero del credito e promuovere una più ordinata risoluzione delle insolvenze.
Riforme legali per promuovere ristrutturazioni del debito giudiziali e stragiudiziali: il pacchetto di riforme della giustizia proposto dal governo va nella giusta direzione. Tuttavia ulteriori provvedimenti potrebbero ridurre l’arretrato giudiziale ed accelerare le azioni esecutive. Per esempio si potrebbe ridurre il ruolo dei tribunali, attribuendo poteri di gestione della procedura di liquidazione ad amministratori senza la necessità di approvazione da parte del tribunale per quelle decisioni minori che non ledono i diritti dei creditori. I notai potrebbero essere abilitati a determinare i valori immobiliari e supervisionare le aste giudiziali, usando procedure standard e strumenti online. Seguire best practice guidelines per la ristrutturazione dei debiti potrebbe ulteriormente incentivare le soluzioni stragiudiziali. Come altri paesi hanno fatto, potrebbero essere utilizzati incentivi fiscali e di vigilanza per incentivare istituzioni finanziarie e debitori a raggiungere soluzioni stragiudiziali di ristrutturazione dei debiti. La conversione dei crediti in partecipazioni (debt equity swap) dovrebbe essere incentivata.»
Appare quindi cristallino quanto chiesto dal FMI al Governo Italiano per “risolvere” (virgolette d’obbligo) il problema del nostro sistema bancario: operare sulle procedure esecutive immobiliari e sui fallimenti “stribunalizzandoli”, permettere alle banche di fagocitare le aziende dei propri debitori e introdurre agevolazioni fiscali per chi opera nel mercato degli NPL.
Tutte le richieste del FMI sono state puntualmente attuate dal Governo italiano con una serie di norme:
– Decreto Legge n. 18 del 14/02/2016, convertito in Legge n. 49 dell’08/04/2016 (riforma delle Banche di Credito Cooperativo per favorire la concentrazione del sistema bancario; regime di garanzia statale sulle passività emesse nell’ambito di operazioni di cartolarizzazione realizzate a fronte della cessione da parte di banche italiane di portafogli di crediti pecuniari qualificati come sofferenze; imposta di registro agevolata per acquisti immobiliari giudiziari);
– Decreto Legislativo 20/04/2016 (“decreto mutui”, ovvero attuazione della direttiva 2014/17/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 04/02/2014 in merito ai contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali: sancita la possibilità di inserire nei contratti clausole di espropriazione agevolata senza passaggio dai tribunali in caso di inadempimento del debitore);
– Decreto Legge n. 59 del 03/05/2016 (“decreto banche”, ovvero disposizioni urgenti in materia di procedure esecutive e concorsuali, nonché a favore degli investitori in banche in liquidazione: introdotto il pegno non possessorio sui beni mobili inerenti l’esercizio dell’impresa; sancita la possibilità di inserire nei contratti di finanziamento fra istituti finanziari ed imprese, la cessione del bene immobile concesso in garanzia, che diviene efficace in caso di inadempimento del debitore; limitati i tempi delle aste giudiziarie e delle opposizioni nelle esecuzioni immobiliari e sancita la possibilità, dopo tre aste deserte, di un’ulteriore ribasso del prezzo base fino alla metà; istituito il registro digitale delle procedure esecutive e concorsuali).
Il tutto mentre sono attualmente in itinere le ennesime riforme della Legge Fallimentare (disegno di legge delega recante “Delega al Governo per la riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza”, elaborato dalla Commissione ministeriale istituita dal Ministro della Giustizia con Decreto 28 gennaio 2015 e successive integrazioni, c.d. Commissione Rordorf) e del processo civile (disegno di legge delega C. 2953 – S. 2284, a firma Orlando – Padoan, recante “Delega al Governo recante disposizioni per l’efficienza del processo civile”).
Se le sofferenze bancarie rappresentano un mercato estremamente appetibile per la finanza, non da meno, come i recenti provvedimenti governativi sopra elencati stanno a testimoniare, è l’altro grosso affare costituito dal collegato mercato immobiliare.
Si tratta, nello specifico, degli immobili posti a garanzia dei debiti contratti.
L’appetibilità è dovuta anche al fatto che la bolla immobiliare italiana si sta sgonfiando velocemente e la forte disponibilità di immobili in vendita, dei quali una fetta consistente nell’ambito delle numerosissime procedure esecutive e fallimentari pendenti presso tutti i tribunali del Paese, ne fa scendere il prezzo a livelli bassissimi.
In questo scenario i fondi di investimento possono fare incetta di immobili in un mercato, quello italiano, unico al mondo per storia cultura e, quindi, valore.
Comprare interi blocchi immobiliari a prezzi stracciati, magari approfittando di interventi normativi volti ad alleggerire il carico giudiziario delle aste e a favorire fiscalmente determinate procedure di vendita, rappresenta il miglior investimento per il capitale finanziario che vuole ancorare a solide fondamenta – è proprio il caso di dirlo – una rendita derivante dalla gestione degli immobili (affitto).
Questo scenario non è affatto lontano dalla sua realizzazione, in quanto già da tempo, chi deve fare consulenze agli investitori sta studiando al microscopio il mercato immobiliare italiano:
«Il contributo di Nomisma sulle transazioni immobiliari italiane alla piattaforma globale di RCA ha consentito di accendere un faro sull’attività di mercato. Dicembre è stato in Italia un mese inequivocabilmente ricco di transazioni immobiliari commerciali di alto profilo. Ciò rappresenta un importante passo nella giusta direzione al fine di rendere il mercato italiano più trasparente per la platea internazionale, che a sua volta rafforzerà le attività di investimento e l’afflusso di capitale.»
k. La nuova “fratellanza siamese”
Ciò che è importante capire è che in questa delicata fase storica il sistema bancario italiano si trova schiacciato tra:
– la voracità dei cannibali di Wall Street, che hanno da tempo fiutato il sangue versato nelle sofferenze bancarie, i cosiddetti NPL (no performing loan – crediti non performanti) e lo sgonfiamento della bolla immobiliare italiana che porterà capitali stranieri a saccheggiare il patrimonio immobiliare italiano;
– la bramosia tedesca di fagocitare il sistema bancario italiano (dopo aver fatto strage di quello industriale) ritornando a fare terrorismo sul nostro debito pubblico, attraverso i titoli di Stato detenuti dalle banche a fronte della propria capitalizzazione.
Questo scenario determinerà la creazione di un nuovo mostro finanziario, molto più potente e destabilizzante di quello degli anni ‘20 descritto dal banchiere Mattioli (Vera Zamagni, Dalla periferia al centro. La seconda rinascita economica dell’Italia. 1861-1981, Bologna, Il Mulino 1990, p. 375), che fagociterà il patrimonio delle famiglie e delle imprese regalandolo al capitale finanziario internazionale.
2. Brevi considerazioni
Il modello liberista e globalista, nonostante la sconfitta storica del 1929, ha ripreso vigore alla fine degli anni ‘70 su impulso di una élite organizzatissima e potentissima, formata da una manciata di uomini che, con pazienza e costanza, ha lavorato per oltre 30 anni al progetto restauratore. Questi signori, nemici della Costituzione, della Patria italiana, della libertà e della democrazia, hanno vinto su tutti i fronti: sono riusciti ad imporre, in modo subdolo ma efficace, tutte le riforme necessarie alla restaurazione di un regime liberista e globalista. Ciò hanno fatto da una parte distraendo il popolo con il miraggio del “sogno europeo”, dall’altra minando le fondamenta delle istituzioni democratiche, attraverso una propaganda che per decenni ha colpito deliberatamente lo Stato, individuato come capro espiatorio di responsabilità invero attribuibili alla classe dirigente da loro rappresentata e completamente asservita al potere privato.
Tra le tante riforme vi è stata, immancabilmente, anche quella del sistema bancario italiano.
Spetta ai Sovranisti, armati della stessa pazienza e determinazione dei loro nemici, l’arduo compito di rivoluzionare, per la seconda e si spera ultima volta, l’ordine delle cose e ricostruire il clima di progresso umano e sociale che ha animato il periodo del “Trentennio Glorioso”.
Ciò che i Sovranisti dovranno fare è già scritto nella nostra Storia, il cui studio, come sopra dimostrato, è presupposto fondamentale per comprendere come, quando e sotto quali spinte il percorso di attuazione della Costituzione, intrapreso e parzialmente compiuto non senza difficoltà e resistenze, sia stato deviato. Dalla nostra Storia potrà germogliare il nostro futuro e nella nostra Costituzione è indicata la strada per il raggiungimento degli obiettivi inderogabili assegnati alla Repubblica, al cui perseguimento la disciplina del sistema bancario deve essere necessariamente asservita.
SECONDA PARTE: LE PROPOSTE
Una disciplina costituzionalmente orientata del sistema bancario italiano sarà imperniata sul seguente principio: l’attività bancaria è una funzione pubblica, da svolgersi al servizio e nell’interesse esclusivo dell’economia nazionale, quale strumento attraverso il quale la Repubblica persegue gli obiettivi ad essa assegnati dalla Costituzione. Le banche non devono stare sul mercato e non possono svolgere attività speculative e di investimento, né detenere partecipazioni in altre imprese.
In attuazione di tale principio saranno adottate le seguenti misure.
1. Nazionalizzazione del settore bancario
Il sistema bancario dovrà essere nazionalizzato.
Lo Stato dovrà tornare dunque a fare il banchiere e, per non correre il rischio di ripetere errori ormai noti, dovrà farlo in regime di sostanziale monopolio: l’attività di iniziativa privata nel settore bancario, con la sola eccezione delle banche minori, non sarà più consentita.
Il regime di monopolio, ovviamente, colpirà anche gli istituti di credito stranieri operanti sul territorio italiano, i quali saranno obbligati ad abbandonare il mercato del credito nazionale e a restituire la clientela alle banche pubbliche, con le forme e modi reputati più opportuni dallo Stato.
Dal pubblico monopolio resteranno escluse solo le banche minori (banche popolari e banche di credito cooperativo), da sottoporre tuttavia a speciale vigilanza bancaria e specifica normativa, che ne circoscriva l’azione al territorio di riferimento, ne vieti l’acquisizione da parte di altre banche o la fusione con esse, sottoponga gli amministratori a stringenti controlli e a limitazioni dei compensi.
2. Dismissione del mercato estero del credito
Specularmente il processo di internazionalizzazione di alcune banche italiane verrà arrestato. Non sarà più consentito agli istituti di credito italiani di possedere quote di partecipazione, in qualsiasi forma detenute, di banche straniere.
3. Ritorno alla separazione bancaria
Presupposto imprescindibile per una vera azione di riforma del sistema bancario sarà il definitivo abbandono dell’ideologia della “banca universale”, attraverso l’adozione dei seguenti provvedimenti.
a. separazione temporale/funzionale
Verranno introdotte misure volte a separare gli istituti bancari dedicati all’erogazione del credito a breve termine, dagli istituti dedicati al credito a medio e lungo termine.
b. separazione settoriale
Appare altresì utile, ai fini di una crescita economica ordinata, vigorosa e sostenibile, la separazione settoriale dell’esercizio del credito. Ogni banca avrà il compito di accompagnare la crescita di determinati settori dell’economia: industria, commercio, agricoltura, turismo ed altri, saranno finanziati da banche di settore. Tale misura darà anche sostegno all’idea, non trascurabile, che la concorrenza nel settore bancario non dovrà più esistere.
4. Repressione del credito al consumo
Una politica di piena occupazione, abbinata ad una politica dei redditi esercitata in ossequio all’art. 36 della Costituzione, permetterà di spazzare via dall’ordinamento giuridico italiano le norme che hanno consentito l’indebitamento diffuso della popolazione attraverso il ricorso al credito al consumo.
5. Piani di sostegno finanziario
Affiancati da vigorosi investimenti pubblici, saranno previsti piani di sostegno finanziario da parte delle banche nei settori ritenuti strategici per la ripresa dell’economia italiana.
a. piano di sostegno per l’accesso alla proprietà immobiliare diffusa
Dovrà essere ritenuto prioritario un piano di sostegno finanziario risolutivo del problema abitativo. La casa è un bene primario che andrà sottratto alla rendita e restituito alle famiglie italiane, attraverso un lungo e delicato processo normativo che dovrà per forza di cose ricevere il supporto massiccio del sistema bancario italiano.
b. piano di sostegno alla reindustrializzazione
Le privatizzazioni dell’industria pubblica e le delocalizzazioni all’estero delle imprese private hanno devastato il settore produttivo nazionale che, pertanto, andrà ricostruito, potenziato e modernizzato sfruttando le nuove tecnologie. Anche questo processo avrà bisogno di supporto pieno da parte del futuro sistema bancario italiano.
c. piano di sostegno al settore commerciale
La distribuzione commerciale ha subito un durissimo colpo da parte delle riforme liberiste e globaliste. Ricostruire il settore del commercio sarà una delle sfide che attende il futuro legislatore sovranista. Una politica del credito capace di aiutare la ricostruzione di questo delicato settore dell’economia sarà una scelta obbligata.
d. piano di sostegno all’agricoltura
L’agricoltura italiana, messa in ginocchio da 40 anni di “politica comunitaria”, dovrà tornare a svolgere un ruolo primario nell’economia nazionale, trovando il naturale sostegno di politiche del credito adeguate a questa esigenza.
e. piano di sostegno al turismo
Il patrimonio culturale, artistico e paesaggistico italiano è uno dei più ricchi al mondo, forse il più ricco. Naturale corollario di questa enorme ricchezza è rappresentato dal turismo, risorsa fondamentale sulla quale la Nazione dovrà puntare per il rilancio della propria economia. Ci sarà quindi bisogno di una banca in grado di finanziare adeguatamente le esigenze di rilancio del settore turistico.
f. piano di sostegno all’ammodernamento energetico nazionale
Un’altra sfida che attenderà il futuro legislatore sovranista sarà la modernizzazione del sistema energetico italiano, parte di un più ampio piano energetico nazionale, che il sistema bancario dovrà accompagnare e sostenere, anche nel percorso di sviluppo e sfruttamento delle nuove tecnologie.
6. Restaurazione di rigorosi istituti nell’ambito delle procedure fallimentari ed esecutive
Un legislatore sconsiderato ha messo mano (ed ancora lo sta facendo) più volte, in maniera schizofrenica, al delicato settore delle procedure concorsuali. Fallimenti e procedure esecutive sono stati adattati al sistema di crisi creato dalle riforme liberiste e globaliste che hanno indebitato famiglie e imprese in maniera patologica e diffusa.
Una volta che sarà stato posto rimedio al problema dell’indebitamento diffuso, dovranno essere ripristinati i rigorosi istituti fallimentari, anche di rilevanza penalistica, sulla base del principio per cui l’insolvenza dell’impresa non deve rappresentare un’evenienza fisiologica nel ciclo vitale dell’impresa, bensì una eccezione patologica da prevenire e da scongiurare.
7. Banca centrale dipendente dal potere politico e rinvio al documento sulla repressione finanziaria
Al vertice del sistema composto da banche a capitale pubblico verrà posta la banca centrale nazionale (Banca d’Italia), munita di poteri di controllo, coordinamento e vigilanza sugli istituiti di credito.
Il potere della banca centrale non sarà in alcun modo indipendente dal potere politico. Le decisioni sulla politica monetaria e sul tasso di sconto saranno esercitate in maniera esclusiva dal Ministero del Tesoro, che affiderà alla Banca Centrale il mero compito di eseguire quanto stabilito dal potere politico.
Per le tematiche strettamente collegate e complementari a quanto fin qui proposto, si rinvia al documento “Reprimere la rendita finanziaria e instaurare un sistema finanziario nazionale“, approvato nell’Assemblea nazionale dell’Associazione Riconquistare la Sovranità in data 15/06/2013.
Andrea Franceschelli e Lorenzo D’Onofrio per “Associazione Riconquistare la Sovranità – Fronte Sovranista Italiano”
Regolamento per la proposizione degli emendamenti, da formulare mediante commento al presente post:
– a) saranno sottoposti all’Assemblea gli emendamenti presentati da almeno 10 soci, o che comunque ricevano l’adesione complessiva di almeno 10 soci, entro 12 giorni dalla pubblicazione;
– b) il Comitato Direttivo potrà accettare le proposte di emendamento inserendole direttamente nel testo da sottoporre all’Assemblea. Potrà altresì riformulare le proposte di emendamento, senza stravolgerne il significato, al fine di coordinarle con il testo da emendare. In tale ipotesi i soci proponenti e/o sostenitori dell’emendamento potranno chiedere che l’Assemblea scelga fra le due formulazioni;
– c) ogni emendamento sarà brevemente illustrato all’Assemblea, in massimo 5 minuti, da uno dei soci proponenti e/o sostenitori, con possibilità del comitato Direttivo, tramite uno dei suoi membri, di replicare sempre con un massimo di 5 minuti. Gli altri soci che intendessero appoggiare o contrastare la proposta di emendamento non potranno intervenire in Assemblea, ma dovranno previamente segnalare i propri argomenti rispettivamente ai soci proponenti e/o sostenitori o al Comitato Direttivo.
Una risposta
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