Il "divorzio" tra Banca d’Italia e Tesoro (1981)

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Beniamino Andreatta e Carlo Azeglio Ciampi

di Luca Cancelliere (ARS Sardegna)

 

La Repubblica Italiana, orfana della leva monetaria ceduta alla BCE già alla fine degli anni ‘90 e totalmente vincolata, per quanto concerne la leva fiscale, agli impegni improvvidamente assunti con il “Patto di Stabilità e crescita” del 1997, con il “Trattato di Lisbona” del 2007 e con il “Patto di bilancio europeo” o “Fiscal Compact” del 2012, da molti anni ha rinunciato a qualsiasi forma di sostegno alla domanda aggregata, con effetti macroeconomici deleteri.

È noto che secondo la dottrina di Keynes, per ogni punto di spesa pubblica in più il c.d. “moltiplicatore” incrementa il PIL in modo più che proporzionale rispetto allo stock di debito, di modo che il rapporto debito/PIL migliora. Per ogni punto di spesa pubblica in meno, invece, il c.d. “moltiplicatore” riduce il PIL in modo più che proporzionale rispetto allo stock di debito, di modo che il rapporto debito/ PIL peggiora.

Un recente studio del Fondo Monetario Internazionale a cura di Nicoletta Batini, Giovanni Callegari e Giovanni Melina conferma che un taglio della spesa pubblica dell’1% del PIL provoca un calo del PIL fino al 2,56% per l’Eurozona, del 2% per il Giappone e del 2,18% per gli Stati Uniti. Per l’Italia si va dall’1,4% all’1,8%. I dati storici della finanza pubblica italiana degli ultimi tre anni confermano decisamente questo assunto. Se il governo Berlusconi aveva lasciato un rapporto debito/PIL del 120,10%, le politiche di austerità dei governi Monti e Letta hanno sensibilmente peggiorato tale rapporto portandolo, secondo le stime OCSE per il 2014, al 134,2%.

Una politica economica espansiva, al contrario, non solo avrebbe prodotto effetti virtuosi sul rapporto debito/PIL, ma avrebbe anche cagionato un aumento del gettito tanto delle imposte erariali, quanto della contribuzione INPS, in conseguenza dell’accrescimento della base imponibile.

In tal modo, sarebbero stati superflui gli aumenti della pressione fiscale e i tagli alla spesa pubblica, in particolare le immancabili riforme della previdenza con relativo aumento dell’età pensionabile, nonostante un bilancio INPS la cui tenuta di lungo periodo è stata confermata anche nel febbraio 2014 dall’Istituto.

Le politiche di austerità, a livello teorico, su fondavano sul noto studio del 2010 di Rogoff e Reinhart sul rapporto tra crescita e debito pubblico, clamorosamente confutato dal successivo studio di Thomas Herndon, Michael Ash e Robert Pollin dell’Università di Amherst del Massachusetts.

In Italia, i sostenitori dell’austerità si sono basati anche sull’errato argomento secondo cui il debito pubblico dipende da un eccesso di spesa pubblica. Per quanto concerne, ad esempio, la spesa per il pubblico impiego, un recente studio ha dimostrato che la quota di dipendenti pubblici in Italia è solo del 5,8% sul totale della popolazione, contro il 9,2% del Regno Unito e il 9,4% della Francia. Ma l’argomento più forte è sempre fornito dai dati storici: dal 1991 al 2008, l’Italia ha costantemente registrato un “avanzo primario”, cioè una differenza tra entrate e spese dello Stato, al netto degli interessi, in attivo. L’attuale stock di debito pubblico si è formato negli anni ’80 esclusivamente in conseguenza di un evento storico ancora poco conosciuto, ma di fondamentale importanza nella storia economica e politica dell’Italia unitaria: il famigerato “divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro”.

Fino al 1981, l’Italia godeva di una piena sovranità monetaria garantita dalla proprietà pubblica dell’istituto di emissione, “ente di diritto pubblico” ai sensi della legge bancaria del 1936, controllato dallo Stato per il tramite delle “banche di interesse nazionale” e degli “istituti di credito di diritto pubblico”. Dal 1975 la Banca d’Italia si era impegnata ad acquistare tutti i titoli non collocati presso gli investitori privati. Tale sistema garantiva il finanziamento della spesa pubblica e la creazione della base monetaria, nonché la crescita dell’economia reale.

Lo Stato poteva attingere, fino al 1993, a un’anticipazione di tesoreria presso la Banca d’Italia per il 14% delle spese iscritte in bilancio e deteneva, fino al 1992, il potere formale di modificare il tasso di sconto. E’ peraltro degno di nota che fino al 1981, contrariamente al luogo comune che la vorrebbe “spendacciona” e finanziariamente poco virtuosa, l’Italia aveva la quota di spesa pubblica in rapporto al PIL più bassa tra gli Stati Europei: il 41,1% contro il 41,2% della Repubblica Federale Tedesca, il 42,2% del Regno Unito, il 43,1% della Francia, il 48,1% del Belgio e il 54,6% dei Paesi Bassi. Il rapporto tra debito pubblico e PIL era fermo nel 1980 al 56,86%.

Il 12 febbraio 1981 il Ministro del Tesoro Beniamino Andreatta scrisse al Governatore della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi una lettera che sancì il “divorzio” tra le due istituzioni.

Il provvedimento, formalmente giustificato dall’intento del controllo delle dinamiche inflattive generatesi a partire dallo shock petrolifero del 1973 e susseguente all’ingresso dell’Italia nel Sistema Monetario Europeo (SME), ebbe effetti devastanti sulla politica economica italiana.

Dopo il divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro, lo Stato dovette collocare i titoli del debito pubblico sul mercato finanziario privato a tassi d’interesse sensibilmente più alti. In conseguenza di ciò, durante gli anni ’80 si assistette a una vera e propria esplosione della spesa per interessi passivi. Se alla fine degli anni ’60 essa si assestava poco sopra il 5%, nel 1995 aveva raggiunto circa il 25%. Il tasso di crescita della spesa per interessi tra il 1975 e il 1995 fu del 4000%. In valori assoluti, la spesa per interessi passivi, sostanzialmente stazionaria fino a quell’anno, passò dai 28,7 miliardi di Lire del 1981 ai 39 dell’anno successivo, fino ai 147 del 1991. Negli anni ‘80 il rapporto tra spesa pubblica e crescita del PIL fu praticamente stabile. Il deficit salì invece, proprio nell’anno del divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro (1981), al 10,87 % rispetto al 6,97% del 1980, mantenendosi su tale valore per tutto il decennio successivo.

La crescita del deficit annuo rispetto al PIL, derivante dalla spesa per interessi passivi, portò in pochi anni il rapporto debito/PIl dal 56,86 del 1980 al 94,65% del 1990, fino al 105,20% del 1992. Tale rapporto, nonostante le politiche di austerità degli ultimi 20 anni, non è diminuito ma è rimasto stabile fino alla crisi finanziaria del 2008.

I dati macroeconomici della crescita del deficit e del debito rispetto al PIL, non dipendendo da aumenti della spesa corrente o per investimenti; essi sono interamente imputabili alla spesa per interessi passivi esplosa in conseguenza del divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro, il cui ruolo nella crescita dello stock di debito pubblico fu ammesso dallo stesso Andreatta nel 1981: “Naturalmente la riduzione del signoraggio monetario e i tassi di interesse positivi in termini reali si tradussero rapidamente in un nuovo grave problema per la politica economica, aumentando il fabbisogno del Tesoro e l’escalation della crescita del debito rispetto al prodotto nazionale. Da quel momento in avanti la vita dei ministri del Tesoro si era fatta più difficile e a ogni asta il loro operato era sottoposto al giudizio del mercato”.

Come riconosciuto da Andreatta, il divorzio nacque come “congiura aperta” tra Ministro del Tesoro e Governatore della Banca d’Italia, “nel presupposto che a cose fatte, sia poi troppo costoso tornare indietro”. Esso segnò una tappa importante in quel processo eversivo della nostra Costituzione economica, iniziato nel 1979 e culminato tra il 1992 e il 2002 con la firma del Trattato di Maastricht e la definitiva introduzione dell’Euro.

Una nuova concezione della politica economica non più indirizzata verso i valori sociali fondamentali del moderno Stato nazionale sovrano, ovvero la tutela della sovranità nazionale, la piena occupazione e l’estensione della sicurezza sociale, ma unicamente verso principi quali l’indipendenza delle banche centrali, la “stabilità dei prezzi”, il “pareggio di bilancio” e la “banca universale” dedita simultaneamente all’attività di deposito e risparmio da un lato, e di speculazione finanziaria dall’altro. Una concezione economica in cui il ruolo centrale non è più quello dello Stato Nazionale Sovrano, ma quello delle banche, ormai titolari incontrastate del controllo della leva monetaria in un sistema in cui la “moneta bancaria” soppianta la “moneta statale” e in cui la speculazione finanziaria muove un giro d’affari pari a molte volte il PIL delle principali Nazioni del mondo.

Nell’anno del fallimento di Lehman Brothers e dell’inizio della più devastante crisi economica della nostra storia, il rapporto debito/PIL italiano era al 106,09%, per poi superare in pochi anni il 130%. La crisi ebbe origine nell’espansione abnorme del mercato dei derivati, dei mutui immobiliari e della finanza speculativa privata, ormai affrancata dai vincoli che sotto il regime dell’abrogato “Glass-Steagall Act” americano e della legge bancaria italiana del 1936, vietavano l’esercizio congiunto dell’attività bancaria di deposito e risparmio da un lato e di speculazione finanziaria dall’altro. Immancabile fu il conseguente contagio nei confronti della finanza pubblica, indotto da un triplice ordine di fattori: la decisione dei governi occidentali e del Giappone di impiegare, a spese dei contribuenti, l’enorme somma di 30.000 miliardi di dollari per il salvataggio delle banche private; l’effetto “spread” sui titoli di Stato nei paesi periferici dell’eurozona, in conseguenza del c.d. “ciclo di Frenkel” generatosi a seguito dei differenziali inflattivi interni all’area valutaria non ottimale dell’Eurozona; i contraccolpi negativi delle politiche di austerità, con conseguente riduzione del PIL, della base imponibile e del gettito fiscale.

Si osservi per inciso che mentre ai Governi è preclusa ogni forma di spesa a deficit, in nome del controllo dell’inflazione e della stabilità dei prezzi, sull’altare del salvataggio delle banche si bruciano somme pari a diverse volte il valore del PIL di una grande Nazione industriale, senza che peraltro questo comporti spirali inflattive di sorta. Ed è opportuno rammentare che il controllo dell’inflazione fu il pretesto usato per il divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro nel 1981, benché fosse già allora chiaro che non è l’offerta di moneta a generare inflazione, almeno nella misura in cui l’incremento della base monetaria va a finanziare spese di investimento e a movimentare risorse economiche reali non utilizzate, ma è la crescita dei prezzi dovuta a fattori esogeni (negli anni ’70, lo shock petrolifero del 1973 e la nuova politica dell’OPEC) a generare una crescita della base monetaria. Senza tenere conto che un’inflazione non elevata, ma più alta di quella attuale consente allo Stato di finanziarsi in regime di “repressione finanziaria”, ovvero a un tasso più basso di quello di inflazione.

Gli Italiani devono prendere coscienza, come cittadini e come Nazione, che tutti i giudizi sommari e incompetenti sulla storia economica italiana recente, regolarmente propinati da stampa, televisione e politici alla popolazione, sono completamente smentiti dai reali dati storici e dalle statistiche macroeconomiche.

Dalla fondazione della Repubblica al Trattato di Maastricht, l’Italia fu per quasi cinquant’anni il primo Stato al mondo per crescita economica, diventando negli anni Ottanta la quinta potenza economica mondiale per Prodotto Interno Lordo in valori assoluti.

Ciò avvenne grazie alla proficua sinergia tra l’iniziativa imprenditoriale privata e gli investimenti pubblici nelle industrie a partecipazione statale, nelle grandi infrastrutture nazionali e nello stato sociale.

Ma la chiave di volta del miracolo italiano fu il pieno controllo della “leva monetaria” e della Banca d’Italia da parte del Ministero del Tesoro, nel quadro della normativa dettata dalla legge bancaria del 1936. Un sistema destinato a sgretolarsi nel trentennio successivo alla famosa lettera di Andreatta del 1981, con i drammatici risultati che oggi noi constatiamo.

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17 risposte

  1. GIUSEPPE ha detto:

    LA STRAGE DI BOLOGNA AVVENNE NEL 1980 E IL DIVORZIO TRA BANCA D’ITALIA AVVENNE NEL 1981 .E’ POSSIBILE CHE CI SIA UNA CORRELAZIONE ,CIOE’ CHE LA MAFIA SIONISTA ,TRAMITE CIA E MOSSAD ,IMPOSE ALL’TALIA,QUESTO MODO DI OPERARE FINANZIARIAMENTE ,PROPEDEUTICA ALL’INSTAURAZIONE DELL’EURO COME MONETA .E ANCORA LA MORTE DI ALDO MORO CHE FECE EMETTERE MONETA NON A DEBITO.TUTTE QUESTE STRAGI POSSNO ESSERE LETTE IN UNA NUOVA CHIA DI LETTURA :MAFIA SIONISTA?.GRAZIE

    • Matteo ha detto:

      Giuseppe, non diciamo cazzate, per piacere.

      L’articolo è abbastanza chiaro e cristallino, non rovinarlo scrivendo scemenze complottiste

    • Ciampi ha detto:

      Le tue perle non hanno eguali, probabilmente c’è anche un collegamento con la massaia di voghera che nel 1981 all’improvviso si ritrovò a pagare il burro a 300 lire l’etto e preferì passare alla margarina, forse avevano già pianificato 20 anni fa la truffa delle quote latte gli allevatori pluto-giudaico-sionisti.Forse hanno avvelenato il burro con sostanze nocive controllando la mente di Beniamino Andreatta fino al punto di spingerlo a sancire il divorzio per fermare gli allevatori, o forse perchè la domanda interna italiana era entrata in fase calante e l’eccessiva pressione sulle materie prime la rendeva troppo esposta agli shock (vedesi il petrolio) toccando una inflazione del 21% nel 1981, facendo guadagnare migliaia di miliardi allo stato italiano col fiscal drag (sovratassazione dei redditi per cause inflattive), i nostri politici che andavano tutte le domeniche a messa furono ostilissimi verso una manovra che li privava di tutti quei soldi, potevano darli in beneficenza agli orfanotrofi dello Zimbabwe visto che eravamo un paese virtuosissimo con la finanza pubblica negli anni 80.

      • Gior ha detto:

        E’ un fatto che il debito pubblico nel 1981 era pari al 60%. Dopo il divorzio bankitalia-stato del 1981, in 15 anni di “buon” mercato finanziario con tassi medi dei titoli di stato del 4-5% superiori all’inflazione, il debito e’ raddoppiato, in concomitanza con un quasi costante saldo primario positivo.

        Immagino che cio’ si accaduto per un caso del destino.

        Oggi questo

  2. antonimo ha detto:

    Articolo di una chiarezza cristallina. Rimane la domanda del perché Andretta abbia deciso il divorzio tra Tesoro e Banca d’ Italia che ha innescato il processo devastante che stiamo vivendo. Lo ha fatto per ignoranza, perché corrotto o perché costretto ? In tale ultima ipotesi, il riferimento di Giuseppe alla strage di Bologna ed all’assassinio di Moro è tutt’altro che peregrino, anche perché, come ha scritto il giudice Imposimato Presidente Onorario della Corte di Cassazione, nei suoi libri “L’italia delle stragi impunite” ed ” I 55 giorni che hanno cambiato l’Italia”, è ormai certo che sia la stagione delle stragi che il delitto Moro furono decisi, pianificati ed eseguiti dal Bilderberg e dalla cia-mossad. Il fatto poi che i governi successivi, fino ai nostri giorni, non osino più neanche parlare dei veri autori di quei delitti e delle vere cause della crisi, mostrando una totale sottomissione ai dictat della troika e della finanza anglo-sionista anche a costo di portare il Paese alla totale distruzione, la dice lunga sulla capacità corruttiva ed intimidatoria dei poteri oscuri che hanno preso in ostaggio il Paese.

    • Gior ha detto:

      C’e’ chi da’ al divorzio bankitalia-stato un’interpretazioe piu’ razionale e comprensibile rispetto a cio’ che sta accadendo oggi.

      Fase I – Il boom del debito dal 60% al 120% per la rapina di 1.500 miliardi di interessi da parte del sistema finanziario, attraverso l’applicazione delle leggi di mercato al debito dello stato. Chiunque, compreso un stato “non libero”, come lo potrebbe essere un’azienda, se ricattaìbile viene costretto a “scucire”. Cioe’ lo stato e’ cadto in mano ad un sistema basato sull’usura.

      Fase II – Della rapina vengono incolpati tutti, i poltici “in generale” (cosa certamente vera per i politici consenzienti e ladri), gli statali, i sindacati, le pensioni, quelli che timbrano il cartellino e non lavorano, i fannulloni, i meridionali, i rom, gli stranieri, ….tutti meno coloro che l’hanno compiuta: cioe’ il sistema dei ricchi nascosto dietro al “mercato”. Il debito e’ quindi diventato lo spauracchio da inalzare contro le masse per far loro accettare il “dimagrimento” dello stato, cioe’ la perdita progressiva dei servizi pubblici universita’, scuola, sanita’, pensioni,….e contemporaneamente farli stare buoni, poiche’ conviti di essere essi stessi CAUSA del debito.

      Insomma, siamo di fronte alla rivoluzione neolibersita dei ricchi contro i poveri.

  3. gianni ha detto:

    Mi chiedo dove fosse l’opposizione nel 1981 e seguenti. Eppure il PCI aveva stimatissimi economisti.

  4. beniamino ha detto:

    A nessuno viene in mente che probabilmente andreatta ha separato gli istituti perchè altrimenti l’acquisto di titoli da parte della bc avrebbe portato l’inflazione alle stelle? Di fatto l’operazione sui titoli era un modo per finanziare illimitatamente la spesa pubblica, quindi era un’ emissione di denaro mascherata. (eliminare i debiti è come creare altro credito)

    • Lorenzo D'Onofrio ha detto:

      Ti rispondo prendendo in prestito le parole (di 2 anni fa) del nostro socio Roberto Nardella, perché dopo 8 anni di crisi, dopo aver provato sulla nostra pelle i “vantaggi” della bassa inflazione ed esser finiti in deflazione nera, dopo aver visto le balle main stream smentite dramamticamente dai fatti senza che nessuno chiedesse scusa per gli errori commessi, di queste storie filoliberiste sulla criminalizzazione dell’inflazione ne ho le scatole piene: un normale tasso di inflazione è salutare per l’economia!

      TUTTE le BUGIE sull’INFLAZIONE
      (di Roberto Nardella)

      Ci hanno sempre raccontato che il divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia (BdI) fu necessario per “limitare e responsabilizzare” i politici a fare meno spesa pubblica che, a loro dire, era la maggiore responsabile dell’inflazione a due cifre degli anni ’70 e verso la metà degli anni 80 si presero il merito di esserci riusciti, come vedremo più avanti, questo “mantra” è un FALSO storico.

      All’epoca la BdI era obbligata per legge all’acquisto delle partite invendute dei titoli di debito Statali (BOT, BTP, CCT ecc.), ovvero, se il Tesoro, per esempio, aveva bisogno di 10 miliardi di Lire per finanziare la spesa pubblica, venivano emessi BOT (o BTP ecc) per pari valore, ad un interesse CONCORDATO tra le parti, e venduti al pubblico. Se tale vendita (asta) andava deserta la BdI comperava il TUTTO (per obbligo di legge) e gli interessi ritornavano al Tesoro, quindi, se il pubblico riteneva poco interessante l’investimento perchè poco remunerativo (pagava pochi interessi), INTERVENIVA la BdI ed EMETTEVA MONETA per PARI VALORE e priva di DEBITO.
      Gli interessi proposti su tali emissioni, in genere, erano qualche punto % SOTTO ai valori dell’inflazione reale, questo faceva in modo che i risparmi degli italiani venissero indirizzati in MODO PRODUTTIVO (attività, case e beni durevoli in genere), il lavoro abbondava e le paghe erano in linea con gli altri paesi industrializzati, se non superiori e la SCALA MOBILE, introdotta nel 1975, metteva al riparo i lavoratori dall’inflazione accreditando la stessa % nelle buste paga sotto indicazione di ISTAT.

      Il vero motivo per cui l’inflazione è letteralmente esplosa a partire dal 1973 è il prezzo del PETROLIO che quadruplicò a causa della guerra del Kippur e, nel 1979 triplicò a causa della rivoluzione komeinista in Iran a cui seguì la guerra Iran-Iraq (1980-88).
      A partire dall’inizio del conflitto il prezzo del gregge mano a mano cominciò a scendere poichè entrambi i contendenti INONDARONO di petrolio i mercati per finanziare la loro guerra, inducendo anche gli altri produttori a fare altrettanto e riportando l’ORO NERO a prezzi addirittura più BASSI del 1973 (il costo diminuì del 75%).

      La Storia dell’inflazione, prima salita e poi scesa, così come descritto, è comune a TUTTI i Paesi industrializzati dell’epoca ed è facilmente confutabile con una semplice ricerca.
      Con questa scusa noi tutti ci siamo trovati DEFRAUDATI dalla nostra SOVRANITA’ MONETARIA sostituita dalla rendita parassitaria che ha portato il nostro debito pubblico alla cifra stratosferica attuale: in sintesi, il debito pubblico, sono interessi cumulati ad altri interessi.
      Nel 1981 il rapporto debito/PIL era del 60% scarso, oggi siamo al 127%.
      La spesa per interessi è pari al 5% circa del PIL (nel 2012, 80 miliardi).
      Gli interessi pagati ogni anno sono più del 10% della SPESA PUBBLICA italiana.
      Dal 1981 ad oggi, a prezzi attuali, abbiamo pagato, direttamente o sotto forma di debito pubblico cresciuto, NON meno di 2300/2400 miliardi di euro che hanno, in pratica, cambiato tasche, passando dai lavoratori di OGNI CATEGORIA (tramite super-tassazioni ed imposte varie, SEMPRE AUMENTATE da 30 anni a questa parte) ai renditieri, ovvero al grande parassita.

      Il mio più GRANDE cruccio è che questo fatto ancora NON entri bene in testa alla maggior parte degli italiani, i quali hanno paura di abbandonare questo sistema MARCIO e a tornare indietro, verso una redistribuzione verso il basso che parte dall’uscita dall’euro con conseguente e ovvia nazionalizzazione della Banca d’Italia e al ripristino della legge che era in vigore sino al 1981. Senza che ciò avvenga vedremo sempre di più scendere le buste paga e salire la disoccupazione che farà da spinta per ancora maggiori riduzioni salariali, il tutto accompagnato da TAGLI LINEARI alla spesa sociale e al welfare, in pratica possiamo considerarci tutti morti-viventi.

  5. lollo ha detto:

    Per Matteo il terrorismo è autonomo….

  6. marco iacucci ha detto:

    marco iacucci x quale motivo non si porta a conoscenza il cittadino in maniera esaustiva di quanto è stato fatto da un ministro nel lontano 1981 ai suoi danni,e di conseguenza revocare quella legge.

  1. 13 Aprile 2014

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  2. 11 Giugno 2014

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  3. 22 Gennaio 2015

    […] D’altra parte Matteo Renzi era salito alla segreteria del PD, il maggiore partito della sinistra italiana, quel partito che aveva già da molto tempo dimostrato di essere il perno delle politiche neo liberiste, visto che era stato il protagonista, con i precedenti leaders, D’Alema, Prodi e gli altri, delle grandi privatizzazioni degli anni ’90, dello smantellamento dell’IRI (quello che era stato un Istituto di eccellenza del sistema delle imprese italiane), delle liberalizzazioni dei servizi pubblici, dell’abbattimento di tutti gli ostacoli per consentire il libero passaggio dei capitali finanziari e, di recente, della privatizzazione della Banca d’Italia, completando l’opera iniziata a suo tempo da Ciampi ed Andreatta (1981). Vedi: Divorzio fra Banca d’Italia e Tesoro . […]

  4. 16 Marzo 2016

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  5. 16 Settembre 2016

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  6. 17 Settembre 2016

    […] successivi – e di seguito all’adesione ai vari trattati europei di cui sopra – a un aumento esponenziale del debito pubblico italiano. Fino al 1981 – anno del divorzio – l’Italia godeva infatti di piena sovranità […]

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