La storica svolta della Merkel

di  Fabrizio Tringali

Il mainstream si affanna a descrivere con enfasi la svolta di Angela Merkel: la Germania è favorevole a che l’Europa si avvii verso l’unione politica. Si legga, per esempio, qui e qui.

Si sa però che i giornali nostrani sono spesso un pochino distratti ed anche appena appena superficiali. Non si sono accorti, quindi, di un piccolo dettaglio: la Merkel non fa altro che ribadire la stessa identica linea che la Germania tiene dall’inizio della crisi.

Ciò che la Germania non vuole, semmai, è che l’eventuale unione politica si traduca nella costruzione di Istituzioni che ne diminuiscano la capacità di influenza. In altre parole, non vuole né gli “Stati Uniti d’Europa”, cioè una sorta di federazione, né qualsiasi altro tipo di unione che garantisca agli Stati membri un accesso paritario ai luoghi decisionali.

Per il resto, la Germania è da tempo assolutamente favorevole a maggiori cessioni di sovranità dagli Stati agli organismi europei, anzi questo è proprio ciò che vuole imporre agli altri, i quali, qualche volta, ne limitano le pretese, come ci ricorda Il Sole 24 Ore, nel finale di questo articolo.

Il motivo è abbastanza evidente: spogliare gli Stati della sovranità nazionale, senza modificare troppo gli attuali assetti istituzionali della UE significa garantire alla Germania la possibilità di determinare le politiche economiche e sociali degli altri. Il che è quel che avviene già adesso, ma i governi nazionali dei PIIGS incontrano qualche problema di consenso, dato che stanno massacrando le rispettive popolazioni, e soprattutto dato che hanno appena cominciato ad eseguire gli ordini. Il peggio deve ancora arrivare, quindi serve dotare la UE delle competenze necessarie per imporre le decisioni senza essere intralciati dalla necessità di fare i conti col consenso popolare. Si sa che per l’Unione Europea la democrazia è un fastidioso orpello. Almeno lo è quella sostanziale. Va bene invece quella formale, che serve per far credere ai cittadini che ciò che viene loro imposto dai ceti dirigenti sia stato invece liberamente scelto dal popolo. E infatti, accanto al tena della “unione politica dell’Europa” sentiremo parlare sempre più di “democratizzazione” delle istituzioni europee, ed in particolare di elezione diretta del Presidente della UE……

P.s.: per chi non l’avesse ancora capito, lo scontro fra le élite europee riguarda gli assetti istituzionali della UE. La Germania vuole mantenere la leadership, gli altri vogliono la federazione, in modo da aumentare il proprio peso negli organismi decisionali e limitare la forza tedesca. Insomma, l’idea della Merkel si scontra con quella, per esempio, di Romano Prodi, espressa qui. Quest’ultima è quella caldeggiata dagli USA, che in una UE più “collegiale” vedono, giustamente, un ridimensionamento della Germania.

Si tratta in ogni caso di progetti delle élite, ricalcati sui propri interessi, e distruttivi per i ceti medi e popolari. Discutere, per esempio, di quale fra i due sia migliore per le popolazioni europee, è quanto di più insensato si possa fare. Entrambi i progetti infatti conducono, comunque, alla totale perdita di sovranità degli Stati e quindi all’impossibilità, per i cittadini, di esercitare qualunque forma di controllo democratico sui decisori, ed alla distruzione del welfare, dei beni comuni, delle condizioni di vita e di lavoro negli Stati economicamente più deboli, tra cui l’Italia.

Fonte: http://www.main-stream.it/

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Una risposta

  1. Gustavo Cecchini ha detto:

    Il problema di fondo è: nella piramide delle specie noi siamo quelli dominanti (almeno nella nostra era..i nuovi dinosauri..ma molto più piccoli). Uno dei dogmi della religione cattolica è quello che siamo stati fatti ad immagine e somiglianza del Creatore..ecco che allora nel nostro piccolo ci sentiamo autorizzati a considerarci quasi tali e quindi la natura deve essere a noi “strumentale”. In altre religioni non esiste o è molto relativo arrivando addirittura alla reincarnazione con un “animale”. Nelle “tribù” che ancora oggi cercano di sopravvivere la religione è ancora simbolica, spesso totemica e politeista e la natura per loro è la vita e la loro cultura è come diremmo noi “evoluti” quella della sostenibilità, cioè quella di permettere alle loro generazioni future la possibilità di godere delle stesse risorse e opportunità. In questo modo riescono ad essere vincenti nella ricerca dell’equilibrio locale dell’ecologia umana, cioè fra l’uomo e i suoi manufatti e la natura con le sue risorse. Il ciclo produzione-consumo sempre crescente e diversificato per la necessità di misurare un Pil anch’esso obbligato a crescere per una misura del “benessere”, che però ad un certo punto non può essere uguale per tutti. L’aumento demografico soprattutto dei popoli in via di sviluppo complica ulteriormente il quadro globale. Se fossimo in un’isola si potrebbe dire che la crescita della popolazione in breve tempo provocherebbe la crisi delle risorse naturali e quindi per la sopravvivenza e la necessità di “sicurezza” l’accaparramento delle rimanenti risorse da parte di una èlite dominante anche con la “forza” che quindi imporrebbe o giustificherebbe l’eliminazione degli altri e la schiavitù dei superstiti. Questo è già avvenuto nella storia anche attraverso le guerre oltre che delle carestie e della peste. Oggi l’uomo con le sue “tecnologie” è in grado anche di modificare alcuni elementi del ciclo naturale e al nostro interno profondo del Dna quindi potrebbe non avere più bisogno di grandi conflitti mondiali ma di “perturbazioni” locali anche di tipo ambientale, psicologico” e soprattutto economico-finanziario per modificare gli equilibri mondiali. Ovviamente all’interno della nostra specie dominante quella che sopravviverebbe del cosiddetto benessere diffuso sarebbe quella della concentrazione di capitale economico, finanziario e tecnologico che in complicità con diversi poteri politici potrebbe raggiungere, certo con maggiore dispendio di tempo e di costo, l’obiettivo di ricondurre indietro nello sviluppo parecchi popoli e quindi anche a una lenta riduzione del carico demografico sul pianeta. Ci potrà essere un’alternativa a queste possibili conseguenze? Sicuramente un’autosostenibilità che partisse da una presa di coscienza delle Comunità locali e anche una loro difesa d’identità collettiva e di coesione interna con l’acquisizione di specifici diritti di gestione autonoma e federata. Per rispondere poi a una svolta epocale in cui ci stiamo avviando nel nuovo secolo dovrebbe formarsi una nuova ideologia socio-economico-politica che dovrebbe permeare il nuovo “proletariato terziario” verso una nuova forma di “socialismo” per evitare che la reazione porti al bisogno di sicurezza e quindi ad una nuova forma di dittatura “psicologica”, economico-finanziaria e di interventi “a tecnologia avanzata” per distruzioni a piccole dosi con un “controllo” a strategia globale. Certo passare da un’Europa ad Euro unificato ad una Federazione di Stati ci permetterebbe intanto nel breve periodo di risolvere la grave crisi finanziaria di molte nazioni purtroppo “mediterranee” e la cosa dovrebbe farci riflettere. Ma occorrerebbe poi un’Europa democraticamente organizzata. Le Comunità locali potrebbero essere a livello maggiore le Macro-regioni europee federate??

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