LA SCUOLA SOTTO ATTACCO
Un articolo di Roberto Renzetti, pubblicato nel 2004 sul Giornale di Storia Contemporanea Anno VII n. 2, Dicembre 2004, denso di informazioni e riflessioni indispensabili non soltanto per chi sia interessato ai temi della scuola pubblica statale, bensì per tutti i sovranisti. Scoprire che tutto era progettato, che anche la trasformazione della scuola pubblica ha seguito direttive provenienti da elites imprenditoriali globaliste, da economisti liberisti e monetaristi e dall’Unione europea, è necessario per capire in profondità le origini dei nostri mali, per apprezzare ciò che avevamo e che ci siamo fatti togliere e per far crescere la volontà di reagire (SD’A).
Roberto Renzetti Fisicamente
“Le scuole saranno più efficienti se saranno sottoposte alle leggi del mercato capitalistico e, come tutte le aziende, entreranno in concorrenza le une con le altre per attirare i loro clienti: gli studenti. A questo scopo serve un sistema statale di buoni scuola emessi all’ordine dei genitori di un figlio in età scolare, buoni che potranno essere spesi in una scuola a scelta delle famiglie degli studenti, anche private e/o confessionali”(1955).
Milton Friedman (nobel per l’Economia 1976) http://www.friedmanfoundation.org/
Con l’implosione dell’ex URSS, l’Impresa, il Mercato, la Finanza, l’Economia si sono fatte sempre più invadenti. Fino a 15 anni fa la mediazione della politica era efficace per arginare e per garantire un minimo di difesa dei cittadini. Da allora le lobby del settore hanno preteso di intervenire sempre più nelle scelte strategiche del Paese fino al punto da avere ormai preso quasi completamente il timone delle grandi scelte nazionali e sovranazionali. La politica in senso stretto, nel contempo, risponde sempre meno ai cittadini nel loro complesso e sempre più alle richieste di tali lobby. Le politiche sono ormai più o meno neoliberiste, a seconda dello schieramento politico. Le scelte di fondo, che riguardano molto da vicino la vita di tutti, vengono fatte in riunioni riservate evitando che siano dibattute dai cittadini interessati. E’ quindi dalle scelte di economisti, imprenditori, finanzieri e manager che occorre partire per capire cosa si progetta per questo secolo e, per quel che ora interessa, per la scuola.
La scuola è una delle istituzioni alla base di una società democratica. Essa permette la crescita di tutti, senza distinzioni di sorta. Da quando si è capito che, attraverso la scuola, sono possibili grandi affari, essa è nelle mire di appetiti neppure nascosti. Con operazione di lobbying, sia a livello di governi nazionali sia a livello di Commissione UE, si sta tentando di mettere le mani in questo settore, ancora in massima parte vergine in Italia, per farlo diventare una azienda che deve dare profitto.
Intanto una indagine OCSE (1998) stima in 2000 miliardi di dollari l’investimento per la scuola nel mondo ed in 1000 miliardi negli Stati membri (circa: 4 milioni di insegnanti, 80 milioni di studenti, 315 mila istituti e 5 mila università). (1) Un vero gigantesco affare.
Si può allora capire che l’efficienza di cui parla Friedman, il consigliere economico di Reagan, l’ispiratore della Tatcher, di Pinochet e di Berlusconi, è legata allo sfruttamento della scuola a fini di mercato. Ma è possibile pensare una cosa del genere? Soprattutto in Europa? Se si, dove possiamo rintracciarne i sintomi, le linee di tendenza, gli eventuali iniziali successi?
Per capire di cosa si tratta occorre risalire a conferenze internazionali, ad accordi presi nel recente passato, a tutta una serie di documenti in gran parte sconosciuti agli addetti (e non) ai lavori o che non era utile diffondere. Vedremo cosa accade negli USA, cosa nella UE, cosa dice l’UNESCO e l’OCSE per passare ad una rapida rassegna delle cose italiane a livelli di governi e di organizzazione degli industriali.
Premessa
Una piccola considerazione è utile. Fino a qualche anno fa era impensabile disporre di una grande documentazione in tempi rapidi. Tutti noi abbiamo passato ore ed ore in biblioteca su riviste specializzate, aspettando il nuovo numero in uscita che comunque era edito qualche mese dopo … Oggi internet permette l’acceso ad una gran mole di documenti in tempo reale e, ciò che è d’interesse, fornisce la possibilità di trovare anche documenti che qualche anno fa non si sarebbero cercati. Ci vuole tempo, pazienza, … . Ordinare e discernere le cose non è troppo semplice. Se si tiene sempre presente che troppa informazione a volte equivale a nessuna informazione, si capiscono i rischi che si corrono. Ma è possibile fare dei lavori, comunque assolutamente criticabili e forse più fragili perché meno ponderati dal tempo, di storia quasi in contemporanea. E’ sempre vero che dietro ogni lettura vi è un criterio storiografico ma, è altrettanto vero, che è difficile il ribaltamento di tesi sostenute da così autorevoli fonti per di più primarie. Per quanto nelle mie possibilità e disponibilità ho ricercato documenti originali di associazioni, enti, organizzazioni … via via citati e li ho messi in ordine. Le mie considerazioni sono veramente poche e marginali.
La società 20:80 (2)
Al Fairmont Hotel di San Francisco, nel settembre 1995, si riunirono 500 persone, l’élite del mondo, il braintrust globale (Bush senior, M. Thatcher, G. Schultz, T. Turner, G. Rifkin (quello de La fine del lavoro piuttosto che de l’Economia all’idrogeno), D. Packard, J. Gage, Z. Brzezinski, …), sotto l’egida della Fondazione Gorbaciov, per “decidere delle prospettive del mondo nel nuovo millennio che porta ad una nuova civiltà”. Tutti furono d’accordo nel prefigurare un modello di società in cui solo il 20% dei cittadini del mondo sarebbe stata necessaria per mandarlo avanti. Il rimanente 80% sarebbe stata da considerarsi massa eccedente [“surplus people”: questa l’espressione utilizzata]. Si passava quindi dalle pur nere prospettive degli anni Ottanta, la società in cui 1/3 dei cittadini del mondo avrebbe avuto accesso al benessere, ad una società 1/5 con molta massa eccedente. Si prospettavano riforme selvagge ben anticipate da John Gage, dirigente di Sun Microsystem, “assumiamo i nostri operai con il computer, lavorano con il computer e li cacciamo con il computer!” (con lo scavalcamento completo di ogni legge a tutela del lavoro) e, naturalmente, progettando una società senza classe media, ci si poneva il problema di come farla accettare alla massa eccedente. Gage aggiungeva che in futuro si tratterà “to have lunch or be lunch”, di mangiare o essere mangiati. Fu Zbigniew Brzezinski che fornì una prima soluzione per tranquillizzare chi sarebbe stato mangiato: tittytainment, una parola coniata a proposito che sta per tits = tetta (nel senso di dispensatrice di latte) e entertainment = gioco, il panem et circenses della Roma imperiale. Ed a quelli che obiettavano che il circo sarebbe stato insufficiente per chi chiedeva autostima, il moderatore, R. Roy, rispondeva che volontariato, associazioni sportive, … “potrebbero essere valorizzate con una modesta retribuzione per promuovere l’autostima di milioni di cittadini“. I numeri della massa eccedente, continuava Roy, non dovrebbero comunque preoccupare perché, a breve, vi sarà nei Paesi Occidentali, una nuova richiesta di lavori precedentemente rifiutati: pulizia strade, collaborazioni domestiche, … Intanto occorre iniziare a colpevolizzare questa massa: non si lavora abbastanza, si guadagna troppo, la produttività è bassa, le pensioni vengono erogate troppo presto, sono troppo elevate, si è malati per troppo tempo, troppo assenteismo, la maternità, viviamo al di sopra delle nostre possibilità, servono sacrifici, troppe vacanze, troppi servizi gratuiti, vi è troppo spreco, le società asiatiche della rinuncia devono essere prese ad esempio … Insomma, “ad un tratto la partecipazione di massa dei lavoratori alla produzione generale di beni e valori economici appare solo come concessione che nel periodo della guerra fredda doveva sottrarre il fondamento all’agitazione comunista”.
In questo scenario (e nell’uso ormai irresponsabile di ogni bene comune) la scuola diventa funzionale a quanto si va delineando. La scuola così come è costa troppo ed è una spesa superflua per i fini che si vogliono conseguire. Occorre pensare una scuola che costi molto meno e che prepari dei cittadini a livello di buoni consumatori in questa società tecnologica. Occorre che i cittadini conoscano, ad esempio: digitale, satellitare, DVD, Laser, Hi Tech, PC, Internet, Provider, CD, masterizzatore, …; non è invece in alcun modo necessario che conoscano i meccanismi scientifico-tecnologici che sono dietro questi nomi. Per intenderci: occorre che si abbia la preparazione tecnologica sufficiente per essere consumatori ma non tale da essere creatori di scienza e tecnologia. Questo almeno a livello di impegno di scuola pubblica, di quella che è pagata dalla fiscalità generale. Vi è naturalmente necessità di cittadini preparati a livelli superiori, ma è del tutto inutile e soprattutto è un vero spreco di risorse pensare di formare tutti in modo che possano pensare all’accesso a queste superiori specializzazioni. Chi serve per tali fini verrà preparato in scuole speciali. La selezione per accedere a queste scuole la faranno: le stesse scuole private e le imprese. Non ha senso continuare a dissipare denaro nell’istruzione pubblica. Il mercato è buono e gli interventi dello Stato sono cattivi: derergulation anziché controllo statale, liberalizzazione di commercio e capitali, privatizzazione di ogni cosa abbia il sapore del pubblico (Friedman). Questa è la scuola che sta nello sfondo della tre giorni di stringenti dibattiti (due minuti ad intervento) della Fondazione Gorbaciov.
ERT: Tavola Rotonda Europea degli industriali (3)
L’Europa delle imprese, dovendo recuperare molto in deregulation, rispetto agli USA, era da tempo in fibrillazione. Già nel 1989 l’European Round Table of Industrialist, l’ERT (4), potentissima lobby di industriali europei, che ha da sempre grande influenza ed entratura presso la UE, aveva pubblicato un rapporto dal titolo: “Istruzione e competenza in Europa” in cui si sosteneva che “l’istruzione e la formazione (…) sono (…) investimenti strategici vitali per la competitività europea e per il futuro successo dell’impresa“e che “l’insegnamento e la formazione [sono purtroppo] sempre considerati dai governi e dagli organi decisionali come un affare interno (…). L’industria ha soltanto una modestissima influenza sui programmi didattici che devono essere rinnovati insieme ai sistemi d’insegnamento“. Si aggiungeva poi che gli insegnanti “hanno una comprensione insufficiente dell’ambiente economico, degli affari, della nozione di profitto … e non capiscono i bisogni dell’industria“.
E nel 1992 la UE, con il trattato di Maastricht (articolo 126), inizia ad avere competenze in materia d’Istruzione. Nel 1993, il Libro Bianco della UE (5) apre all’industria (“apertura dell’educazione al mondo del lavoro“) proponendo incentivi fiscali e legali al fine di far investire la stessa nell’Istruzione. La supposta sfida viene raccolta, in un gioco delle parti, dall’ERT che nel 1995 (6) spinge gli industriali a “moltiplicare i partenariati tra scuole ed imprese” e sollecita il mondo politico in tal senso. L’ERT insiste nel denunciare che “nella gran parte d’Europa le scuole [sono] integrate in sistemi pubblici centralizzati, gestiti da una burocrazia che rallenta la loro evoluzione o le rende impermeabili alle domande di cambiamento provenienti dall’esterno“. E passa ad avanzare i suoi intendimenti: “la responsabilità della formazione deve, in definitiva, essere assunta dall’industria. Sembra che nel mondo della scuola non si percepisca chiaramente quale sia il profilo dei collaboratori di cui l’industria ha bisogno. L’istruzione deve essere considerata come un servizio reso al mondo economico. I governi nazionali dovrebbero vedere l’istruzione come un processo esteso dalla culla fino alla tomba. Istruzione significa apprendere, non ricevere un insegnamento [ERT, 1995]“. “Non abbiamo tempo da perdere. (…) Ci appelliamo ai governi perché diano all’educazione un’alta priorità, perché invitino l’industria al tavolo di discussione sulle materie educative, e perché rivoluzionino i metodi d’insegnamento con la tecnologia [ERT, 1997 (7)]”.
Quanto sostenuto dall’ERT 1995 viene immediatamente ripreso dal Libro Bianco della UE 1995 (8) in cui si fa esplicito riferimento all’ERT: “Il rapporto della Tavola Rotonda Europea degli industriali ha insistito sulla necessità di una formazione continua polivalente (…) incitando ad imparare ad imparare nel corso di tutta la vita [long life learning] …[e quindi] una iniziazione generalizzata alle tecnologie dell’informazione è diventata una necessità“.
Ad evitare facili illusioni e fraintendimenti era l’OCSE che, nel 1996 (9) , facendo riferimento ad una tavola rotonda svoltasi negli USA (Filadelfia) nel febbraio dello stesso anno (Adult Learning and Technology in Oecd Countries, Ocse, Parigi, 1996), spiegava che “l’apprendimento a vita non può fondarsi sulla presenza permanente di insegnanti ma deve essere assicurato da ‘prestatori di servizi educativi’ (…). La tecnologia crea un mercato mondiale nel settore della formazione” e, mediante TV ed Internet, si possono produrre programmi da una parte e proporli in tutto il mondo (educazione a distanza o e-learning: si sente qui la presenza nell’ERT di vari colossi informatici europei, Philips, Siemens, Ericsson, Bertelsmann, … ed anche delle telefonie privatizzate che potranno incrementare a piacere i loro traffici). Ad evitare possibili obiezioni su programmi didattici che travalichino le frontiere interferendo sui sistemi scolastici nazionali , la Commissione UE si preoccupa di affermare che l’insegnamento privato a distanza costituisce un servizio e come tale rientra nell’articolo 59 del Trattato CEE (10) ; sarà la UE a rilasciare una Tessera personale delle competenze [il portfolio, ndr. Vedi: The European Skill Accreditation System] che potrà essere racchiusa in un CD da immettere nel computer nel momento della richiesta di lavoro. In tal modo si scavalcano le normative ed i titoli di studio dei singoli Paesi. In ogni caso la stessa OCSE avvertiva che era necessario “un maggiore impegno da parte degli studenti nel finanziamento di gran parte dei costi della propria istruzione” (11). Gli insegnanti residuali (sic!), che occorrerà portarsi dietro fino alla loro estinzione, si occuperanno della popolazione non redditizia. Ed ecco che si può intravedere la stessa conclusione alla quale erano arrivati a San Francisco: anche qui si scoprono masse eccedenti. Ed un plauso a questo Libro Bianco viene dagli USA. M. Murphy, della Northern Illinois University, osserva che “la decisione politica di incoraggiare l’apprendistato a vita è destinata a fornire alle grandi imprese europee l’infrastruttura educativa essenziale al mantenimento dei loro tassi di profitto” (12). Viene infatti a realizzarsi uno degli scenari che la stessa Commissione Europea aveva delineato tra il 1990 (13) ed il 1991 (14): un grande mercato degli strumenti didattici offerti sul mercato dell’insegnamento permanente secondo le ordinarie leggi della domanda e dell’offerta. In tale mercato i corsi sono i prodotti e gli studenti sono i clienti. “Un’università aperta, si dice, è un’impresa industriale e l’insegnamento superiore a distanza è una nuova industria. Quest’impresa deve vendere i suoi prodotti sul mercato dell’insegnamento permanente“.
Scrive Susan George del Transnational Institute di Amsterdam: “E’ scritto, fatale, ineluttabile che la politica della UE si ispiri esclusivamente alla dottrina neoliberista? Che la sua strategia economica si limiti a promuovere la competitività mondiale, la deregolamentazione, il libero scambio, il tuttomercato ? Che l’ambito sociale e l’ambiente siano disprezzati e trascurati, relegati allo stretto necessario? No, tutto ciò non è né scritto né fatale, né ineluttabile: bensì pensato, organizzato e finanziato dalle società transnazionali più potenti d’Europa”. (15)
Rapporto UNESCO 1996 (Commissione J. Delors)(16)
In tempi rapidissimi i desiderata del mondo dell’impresa e della finanza trovano accoglienza in un lavoro dell’UNESCO del 1996. Una Commissione presieduta dal grande amico dell’ERT, Jacques Delors, che ha appena lasciato la Presidenza della UE, stila un rapporto che getta le basi per la scuola europea del futuro immediato (ricordo che le prime intenzioni puntavano ad una scuola nuova per il nuovo millennio). Anche la UE, crea una Commissione, presieduta da Edith Cresson, nientemeno che un ex Primo Ministro francese, che lavora nel senso delle richieste avanzate dall’ERT.
Le analisi di Delors partivano dal cambiamento di un mondo, di un modo di essere, dal passaggio dall’ingombrante cartaceo ai computer, con le illusioni tipiche create nei neofiti e le certezze di chi fa affari. Si ripeteva quanto accaduto all’inizio del Novecento, il passaggio dall’operaio con mestiere complessivo allo specializzato ad una dimensione del fordismo. Ora la catena di montaggio, le grandi concentrazioni operaie, il modo di produzione che abbiamo conosciuto cedono il passo ad altro che non conosciamo. Delors prende atto di un mondo non più descrivibile in termini di sviluppo lineare e di continua accumulazione; in cui la rottura dei rapporti tra mondo produttivo ed ambiente e l’enorme conflittualità tra mercati, che si è creata con l’esclusione di gran parte dell’umanità, ha visto un continuo crescere di tensioni e di guerre.
Le risposte a queste problematiche sono molto articolate ma si possono riassumere in quattro grandi finalità per la scuola: imparare a conoscere, imparare a vivere insieme, imparare ad essere, imparare a fare. Sulle prime due c’è poco da dire, ma sulle altre è necessaria una qualche specificazione. L’imparare ad essere punta verso il riconoscere che l’essere umano è fatto oltre che di corpo, anche di spirito. Scrive Delors: “Il mondo, spesso senza accorgersene, ha un desiderio ardente, spesso inespresso, di un ideale e di valori che noi chiameremo ‘morali’. E’ quindi nobile compito dell’educazione incoraggiare tutti e ciascuno, agendo in armonia con le loro tradizioni e convinzioni e mostrando pieno rispetto per il pluralismo, innalzare le menti e gli spiriti fino al piano dell’universale e, in certa misura, al superamento di se stessi. Non è esagerato, da parte della Commissione, affermare che da questo dipende la sopravvivenza dell’umanità“. Per quel che riguarda invece l’imparare a fare si ritorna con i piedi sulla Terra e si dice: “nell’industria, specialmente per gli operatori di macchine e per tecnici, la supremazia dell’elemento cognitivo e di quello informativo, come fattori nei sistemi di produzione, sta rendendo superata l’idea di abilità professionale e mettendo in primo piano quella di competenza personale [qui si introducono i ‘percorsi individuali’ e le abilità del telelavoro, ndr] … Tale competenza “è un misto, specifico per ciascun individuo, di abilità nel senso stretto del termine, acquisita attraverso la formazione tecnica e professionale, di comportamento sociale [come interpretare quest’affermazione in tale contesto? ndr], di un’attitudine al lavoro di gruppo e d’iniziativa e disponibilità ad affrontare rischi [la ‘mobilità’, della quale Delors si era occupato in un Libro Bianco della UE del 1993, ndr]”. E, nonostante tante buone intenzioni, la parte essenziale è quella che conclude il Rapporto medesimo: il sistema scolastico deve possedere “maggiore diversità curricolare e costruire passaggi tra i vari sistemi di istruzione, o tra la vita lavorativa ed ulteriori corsi di formazione. Una tale flessibilità contribuirebbe anche a ridurre il fenomeno della mortalità scolastica ed il terribile spreco di potenziale umano che ne risulta“.
Libro Bianco UE 1996 (E. Cresson)(17)
Su linee più decisamente imprenditoriali si muove il Libro Bianco della UE (Cresson che mette a lavorare un gruppo diretto da Reiffers) del 1996. Partendo, anche qui, dal riconoscimento di una società in rapido cambiamento (mondializzazione, informazione, scienza e tecnica, impresa, … ) si afferma che la scuola si deve adeguare. In particolare la crescita dell’informazione a livello mondiale potrebbe essere di aiuto al sistema formativo. Ma per far questo l’Europa deve avere come priorità l’investire in software multimediale, data la frammentazione del mercato multimediale europeo, al fine di sfruttare tutte le potenzialità dell’educazione permanente attraverso la TV e, quando si saranno diffusi i computer, attraverso internet. Ma una ‘scuola’ di questo tipo non può più certificare le conoscenze attraverso un diploma che è sempre più obsoleto. E’ quindi auspicabile quella “Tessera personale delle competenze” di cui prima, da spendere nella UE. Gli obiettivi principali che il sistema educativo deve conseguire sono: 1) l’avvicinamento della scuola all’impresa con l’educazione alla flessibilità ed alla mobilità; 2) il trattare allo stesso modo gli investimenti in affari e quelli in formazione; 3) la lotta all’emarginazione ed all’abbandono scolastico, che possono avere successo con l’introduzione di ogni tecnica multimediale e con i suggerimenti della Commissione: “sviluppare la concertazione ed il partenariato con il settore economico; si può ad esempio immaginare che ogni impresa sponsorizzi una scuola … Le famiglie sarebbero anch’esse coinvolte direttamente …“; 4) la conoscenza di tre lingue comunitarie; 5) l’auspicio che i Paesi della UE adottino “disposizioni a favore delle imprese che attribuiscono particolare attenzione alla formazione“.
A questo occorre aggiungere quanto sostenuto dal Memorandum della UE del 30/10 del 2000 (18) ripreso poi più volte in seguito (19):
”Esistono tre tipi di educazione:
Si distinguono tre diverse categorie fondamentali di apprendimento finalizzato:
• l’apprendimento formale che si svolge negli istituti d’istruzione e di formazione e porta
all’ottenimento di diplomi e di qualifiche riconosciute;
• l’apprendimento non formale che si svolge al di fuori delle principali strutture
d’istruzione e di formazione e, di solito, non porta a certificati ufficiali. L’apprendimento
non formale è dispensato sul luogo di lavoro o nel quadro di attività di organizzazioni o
gruppi della società civile (associazioni giovanili, sindacati o partiti politici). Può essere
fornito anche da organizzazioni o servizi istituiti a complemento dei sistemi formali (quali
corsi d’istruzione artistica, musicale e sportiva o corsi privati per la preparazione degli
esami);
• l’apprendimento informale è il corollario naturale della vita quotidiana. Contrariamente
all’apprendimento formale e non formale, esso non è necessariamente intenzionale e può
pertanto non essere riconosciuto, a volte dallo stesso interessato, come apporto alle sue
conoscenze e competenze.
Fino a questo momento, l’istruzione formale ha dominato la riflessione politica, influenzando
l’impostazione dei modelli d’istruzione e formazione nonché la percezione generale di
“apprendimento”. L’apprendimento permanente senza soluzioni di continuità consente
l’inserimento dell’apprendimento non formale ed informale in un unico contesto. L’istruzione
non formale, per definizione, è impartita al di fuori di scuole, istituti d’istruzione superiori,
centri di formazione o università. Questo tipo d’istruzione è raramente percepita come una
formazione “vera e propria” e i suoi risultati non hanno un valore riconosciuto sul mercato del
lavoro. L’apprendimento non formale è pertanto in generale sottostimato.
Tuttavia, è l’apprendimento informale che rischia di essere completamente trascurato, benché
costituisca la prima forma di apprendimento e il fondamento stesso dello sviluppo infantile. Il
fatto che la tecnologia informatica sia entrata prima nelle famiglie che nelle scuole conferma
l’importanza dell’apprendimento informale. L’ambiente informale rappresenta una riserva
considerevole di sapere e potrebbe costituire un’importante fonte d’innovazione nei metodi
d’insegnamento e di apprendimento … si tratta ora innanzitutto di valutare la
complementarità dei sistemi di apprendimento formale, non formale e informale e, in secondo
luogo, di costruire reti aperte di offerte di formazione e di riconoscimento delle qualifiche tra
questi tre contesti dell’apprendimento”.
Questa disquisizione è fatta per sostenere che occorre puntare sull’educazione informale, riserva considerevole di sapere e possibile sorgente d’innovazione per metodi e contenuti (naturalmente per coloro che non hanno i mezzi per accedere ad altra istruzione, quelli dell’80 di Gorbaciov). Ma dove si può educare informalmente? Lo dice la stessa UE: “Per avvicinare l’offerta di formazione al livello locale bisognerà anche riorganizzare e ridistribuire le risorse esistenti al fine di creare dei centri appropriati di acquisizione delle conoscenze nei luoghi della vita quotidiana in cui si riuniscono i cittadini, non solo gli istituti scolastici, ma anche i centri municipali, i centri commerciali, le biblioteche i musei, i luoghi di culto, i parchi e le piazze pubbliche, le stazioni ferroviarie e autostradali, i centri medici e i luoghi di svago, le mense dei luoghi di lavoro“. Chissà cosa avranno in mente !
Sembrerebbero cose stravaganti. Evidentemente non lo sono se nel documento del pedagogo cattolico Bertagna, che è la premessa alla Riforma Moratti, si legge (20):
“In genere, si distingue tra sistema educativo informale, non formale e formale. Il primo è rappresentato dalla vita sociale ordinaria che non esprime programmatiche potenzialità formative, pur determinandole di fatto, funzionalmente, in maniera anche irreversibile. Il secondo riguarda quell’insieme di istituzioni che, pur non essendo strutturate in maniera esplicita per promuovere, con gradualità e sistematicità, processi educativi di istruzione e formazione, tuttavia esprime intenzionalità in questa direzione in un territorio e lungo l’intero arco della vita dei soggetti. L’ultimo si riferisce specificatamente al sistema educativo di istruzione e di formazione istituito e strutturato dalla Repubblica (Stato, Regioni, Enti Locali [ci si sta qui riferendo alla modifica, fatta dal centrosinistra, del Titolo V della Costituzione – art. 55 – che permette il finanziamento delle scuole private]) per i minori e per le giovani generazioni. L’ipotesi di riforma che si presenta vuole essere attenta all’integrazione tra questi diversi sistemi (…). L’attenzione si sposta, dunque, dai luoghi di istruzione (scuola) e della formazione (centri, agenzie, servizi, imprese) alla certificazione delle competenze finali che si possono e si debbono maturare in un ambiente piuttosto che in un altro (…) certificazione delle competenze che proprio per la sua natura rifugge da ogni esclusività di percorso e, più che consentire, favorisce i passaggi tra un indirizzo e l’altro del sistema educativo di istruzione e formazione (…) Le tradizionali alternative tra scuola (statale) e centri della formazione professionale (regionali o non statali), tra scuola e impresa, tra scuola ed extra scuola perdono, perciò, la loro drammaticità (…) Si aprono, al contrario, le prospettive di una solidarietà cooperativa tra tutte le esperienze e i luoghi formativi nei quali si possono raggiungere livelli di maturazione educativa, culturale e professionale, (…) indipendentemente dal fatto che siano statali, regionali o di enti e privati (accreditati)“.
E cose analoghe erano anche nella Riforma Berlinguer. Nel 1997, nel suo primo documento sulla “Riforma dei cicli” (21) , si legge: “Gli obiettivi generalmente condivisi sono stati: (…) avvicinare i luoghi dell’istruzione alla realtà sociale, culturale, produttiva, occupazionale del territorio“. Basta poi leggersi le stravaganze delle passerelle, che dovrebbero permettere il passaggio dalla scuola statale ordinaria alla formazione professionale, qualcosa che esiste solo nella mente di chi l’ha pensata se anche la bontà dello stesso Berlinguer (22) fa dire (a 4 anni di distanza dalla sua Riforma), che il percorso inverso è di là da venire soprattutto se non sostenuto da corsi ad hoc mai previsti dalle sue pretese riforme e tanto meno dei suoi esimi successori. Non a caso i due pedagoghi di punta dei due schieramenti antagonisti, Bertagna e Maragliano (ma anche Luisa Ribolzi e Silvano Tagliagambe che avevano lavorato con Berlinguer), lavorano oggi insieme nel progetto “Buonsenso per la scuola” (23) in cui si riaffermano tutti i desiderata dell’impresa. Nel loro documento, che vorrebbe dire l’ultima parola sulla scuola (in liquidazione, anche se lor signori non si rendono conto di ciò), nella sostanza si dice che la sinistra e la destra hanno le stesse idee sulla scuola, a parte alcune sfumature. La sinistra ha una possibilità di egemonia sul sindacato che la destra non ha. Poiché sembra fuori luogo fare riforme ad ogni cambio di legislatura, sarebbe opportuno convergere in un unico progetto che, non a caso, è quello della destra. Nel documento del Buonsenso, tra l’altro, si dice infatti:
“Di fronte all’irrompere del computer e di internet sulla scena dei processi di apprendimento qualcuno prevede un futuro in cui la scuola sarà interamente soppiantata dalle nuove modalità di auto-apprendimento in rete, un apprendimento non più insegnato ma semmai tutorato e prevalentemente on line (…). In una logica di «integrazione» l’intreccio e l’alternanza di esperienze di aula, di laboratorio e di vera e propria attività lavorativa condotta in situazione di apprendistato o di tirocinio diventano requisiti fondamentali del curricolo scolastico, come lo diventa lo sforzo di non fermarsi alle conoscenze (…) Le scuole non statali devono essere considerate come una risorsa per la riqualificazione e il rilancio dell’intero sistema formativo pubblico (…) L’abolizione del valore legale del titolo di studio (…) un sistema di valutazione reale dei processi e dei prodotti”.
Memorandum della UE del 30/10 del 2000
Ma poiché abbiamo citato il Memorandum della Ue, conviene soffermarsi un poco su di esso iniziando con il dire cosa è sostenuto nel Messaggio Chiave 1 (dei sei che lo corredano).Qui si torna ad un paternalismo d’altri tempi che merita di essere letto. Si parla delle competenze che i cittadini europei dovranno acquisire:
“Alcune di queste competenze, quali l’alfabetizzazione digitale, sono del tutto nuove, mentre altre, tra cui la conoscenza delle lingue straniere, acquisiscono rispetto al passato un’importanza sempre maggiore e per un numero sempre maggiore di persone. Anche le competenze sociali, quali la fiducia in sé stessi, l’autodeterminazione e la capacità di assumere dei rischi, sono sempre più determinanti, in quanto si suppone che le persone acquistino sempre maggiore autonomia rispetto al passato. Le competenze relative allo spirito imprenditoriale si traducono nella capacità dell’individuo di migliorare la sua prestazione sul piano professionale e nella capacità di diversificare le attività di una società. Esse favoriscono anche la creazione di impiego, sia nelle società esistenti, in particolare nelle PMI, che nell’ambito del lavoro indipendente. Imparare ad apprendere, sapersi adattare al cambiamento e gestire i grandi flussi d’informazione sono le competenze generali di cui ciascuno di noi oggigiorno dovrebbe disporre. I datori di lavoro esigono sempre più dalla manodopera la capacità di apprendere, di assimilare rapidamente le nuove competenze e di adattarsi alle nuove sfide e situazioni”.
Poiché questo processo di apprendimento continuo sia efficace occorrerà che le parti sociali si rendano disponibili [si sta dicendo che ci vuole la collaborazione attiva del sindacato, ndr], che i regimi fiscali favoriscano le imprese, che i governi considerino gli investimenti in risorse umane alla stregua degli investimenti in macchinari, che le risorse offerte dai governi alle imprese aumentino (Messaggio Chiave 2).
Naturalmente occorre che l’apprendimento (istruzione + formazione) si estenda nell’arco di tutta la vita avvicinandosi sempre più alle esigenze dell’utente e, perché ciò accada, occorre imboccare decisamente la strada del sistema integrato di comunicazione, con l’introduzione del teleinsegnamento. Ed in questo quadro “il profilo professionale del docente cambierà sostanzialmente nei prossimi decenni: insegnanti e formatori diventeranno consulenti, tutori e mediatori” (Messaggio Chiave 3).
Anche qui però occorrerà puntare molto sulla valutazione e sulle certificazioni almeno europee di competenze. Vi è l’esigenza ineludibile della trasferibilità e della non formalità delle certificazioni [si sta dicendo che, di fatto, non si terrà più conto del valore legale del titolo di studio; forse vale la pena ricordare che ciò era anche sostenuto da Gelli], a questo sarà indispensabile un sistema che riconosca e dia valore ad ogni esperienza precedente (APEL, Accreditation of Prior and Experiential Learning). “Tale processo richiede la partecipazione attiva del candidato, e questo a sua volta rafforza il sentimento di fiducia in sé stesso e di autostima” (Messaggio Chiave 4).
Ma la UE si preoccupa anche di come orientare il futuro cittadino. Esso dovrà essere ben seguito al fine di ben orientarlo nei suoi sbocchi professionali. Vi sarà necessità di professionisti dell’orientamento. “Questo compito implica un approccio più attivo che consiste nel cercare volontariamente un contatto con la persona, invece di aspettare che sia lei a chiedere consiglio … tenendo sempre presenti gli interessi del cliente … Gli specialisti dell’orientamento devono essere al corrente della situazione personale e sociale delle persone alle quali forniscono informazioni e consigli, ma devono anche conoscere il profilo del mercato del lavoro locale e le richieste dei datori di lavoro … Tuttavia resta responsabilità del settore pubblico fissare norme minime di qualità e definire i diritti di ciascuno”. Come si noterà gli psicopedagoghi si sono ritagliati una buona fetta tra il 20 della società 20:80. E’ anche di interesse osservare con quale cura si mira ad entrare nella vita privata dei cittadini. E’ chiaro che si dirà che lo fanno per noi … (Messaggio Chiave 5).
“I cittadini infine dovranno avere accesso alla formazione su base locale. Non dovrà essere loro richiesto di spostarsi [non stanno dicendo che vengono incontro agli interessi dei cittadini ma che vogliono risparmiare denaro, ndr] ed a tal fine funziona egregiamente il teleinsegnamento ma anche Internet … Inoltre nell’ambiente urbano abbondano le diverse possibilità di formazione, sia per i giovani che per i meno giovani, dall’ambiente della strada alle imprese in costante e rapida evoluzione … Per avvicinare l’offerta di formazione all’utente sarà inoltre opportuno riorganizzare e ridistribuire le risorse esistenti al fine di creare centri appropriati di acquisizione delle conoscenze negli ambienti di vita quotidiana dove la gente si riunisce – non solo nelle strutture scolastiche, ma anche nei circoli municipali, i centri commerciali, le biblioteche e i musei, i luoghi di culto, i parchi e le piazze pubbliche, le stazioni ferroviarie e le autostazioni, i centri medici e i complessi per il divertimento, nonché le mense sul luogo di lavoro”.
Si capisce ora bene perché si premetteva quella disquisizione sui tre diversi tipi di formazione. La massa eccedente, quella che neanche consuma, c’è da scommetterci, avrà anch’essa una sua possibilità … l’educazione per la strada o in parrocchia (Messaggio Chiave 6).
Negli USA intanto …
La situazione scolastica americana resta sempre il riferimento della nostra impresa. E’ lì che sono già avanti nella destrutturazione della scuola pubblica (in realtà lo sono da oltre 200 anni). E’ lì dove le eccellenze provengono da scuole private che costano anche 40 mila dollari l’anno, a fronte di una scuola pubblica (che serve 50 milioni di alunni) assolutamente dequalificata (insegnanti privi di titoli specifici, mancanza di essi, classi superaffollate, mancanza di fondi, diversità di curricoli da Stato a Stato, da scuola a scuola, discipline assenti dai curricoli, disomogeneità nel richiedere un esame finale, meno del 3% degli alunni con una preparazione che permetta di accedere all’Università e comunque di resistere per più di due anni, assenteismo, abbandoni, metal detector, apartheid di fatto, …) ed individuata, senza soluzioni però, come emergenza nazionale già da Clinton (24). Ma gli imprenditori americani vogliono di più. Non contenti degli “cheques education” [buoni scuola, ndr] che proprio da quell’anno avevano iniziato a togliere fondi alla scuola pubblica per indirizzarli alla privata, sulla spinta suggerita da Lehman Brothers (1996) di iniziare ad investire nel settore molto promettente della scuola (oltre che nella sanità), si riuniscono a Nashville (1997) (25) per delineare una strategia di intervento che prevede intanto un “accordo sulle misure suscettibili di rendere l’industria [sic] scolastica redditizia: ridurre il numero degli insegnanti aumentando il numero degli alunni per classe; ridurre la massa salariale degli insegnanti arruolando un maggior numero di giovani e di non abilitati; ridurre o sopprimere gli organismi che rilasciano diplomi di insegnamento ed affidare la valutazione delle competenze degli insegnanti ai manager delle scuole” [si sta dicendo che si può assumere personale insegnante indipendentemente da una sua qualificazione oggettiva, ndr]. Si tratta solo di rendere inoffensivi i sindacati degli insegnanti (AFT, fortissimo sindacato corporativo) e pare che ciò si farà, visto il vento politico favorevole che si respira negli USA. Tutto questo viene giustificato con la necessità di ridurre i costi della globalizzazione che imporrebbero risparmi anche legati alla riduzione delle tasse [sic!]. Anche negli USA si punta all’educazione mediante TV ed Internet ed in tal senso hanno esempi di ottima resa economica. Emblematico è il caso della rete TV Channel One.
I fondi che lo Stato fornisce alle scuole USA sono del tutto insufficienti. Occorre arrangiarsi, soprattutto se si vuole restare al passo in infotecnologie. Circa 12 mila scuole per oltre 8 milioni di studenti tra USA e Canada hanno stretto un accordo con Channel One secondo il quale la rete Tv fornisce alla scuola materiale audiovisivo, televisori e video (solo per opportune dimensioni, si ottiene anche il computer), in cambio la scuola si impegna a far vedere agli studenti la programmazione quotidiana di 20 minuti, dedicata alle scuole, di Channel One (reportage, sport, meteo e due minuti di pubblicità). Questi 2 minuti sono ambitissimi dalle aziende che pagano 200 mila dollari ogni spot di 30 secondi (il doppio della media del costo di uno spot). I danni di tutto questo non nascono certo da questa pubblicità che fa vendere scarpe, hamburger e caramelle ma dal fatto che quella programmazione ha assunto lo status di programma educativo moderno e disinvolto, da contrapporre agli obsoleti libri degli insegnanti (26). Si immagini ora quali paradisi si aprirebbero dalle parti nostre …
Ma Channel One ha fatto di più: ha reclutato insegnanti perché spingessero gli alunni a progettare campagne pubblicitarie per marchi del tipo: Starburst, Colorado Springs, Burger King. Le migliori campagne, nate a spese della scuola pubblica, sono premiate ed utilizzate.
Sull’onda di esperienze come queste, che si vanno diffondendo soprattutto in USA ed Australia (questo Paese già oggi esporta 7 miliardi di dollari di educazione a distanza), proprio questi due Paesi spingono da anni affinché la scuola (oltre che la sanità e l’ambiente) entri tra le merci previste per il libero scambio dal World Trade Organisation (WTO) e dal General Agreement of Trade in Service (GATS). Ed anche la Banca Mondiale chiedeva di sbrigarsi nell’integrare la scuola alle strategie globali dei Paesi (27). In tal senso è attivissimo Robert Zoellick, rappresentante dell’ U.S. Trade, l’Agenzia USA per il Commercio Estero, che è in sintonia con il Commissario europeo per il commercio, Pascal Lamy. Questi tenne un discorso all’International Council for International Business di New York nel quale sostenne: “Se vogliamo migliorare il nostro accesso ai mercati esteri , allora non possiamo mettere al riparo i nostri settori protetti. Dobbiamo essere pronti a farne materia di negoziato se vogliamo conseguire un accordo globale (big deal, ndr) Per gli Stati Uniti, come per l’UE, questo significherà dare un qualche dolore a qualche settore, ma realizzare guadagni in molti altri, e credo che noi sappiamo, da una parte e dall’altra, che bisognerà acconsentire a dei sacrifici” e cioè cedere sui pubblici servizi (tra cui la scuola) (28). Lamy parlava dopo Seattle e dopo che l’OCSE aveva resistito ad iniziative liberiste selvagge (AMI) ed avvertiva che si dovevano trarre degli insegnamenti da quelle sconfitte. Tali insegnamenti erano solo relativi alla maggiore discrezione se non al segreto quando si trattavano certi argomenti. Come aggirare le normative nazionali nel caso vi fosse resistenza? Ricatalogando le voci. Così che, ad esempio, i dati dei pazienti o degli studenti non rientrerà più alla voce sanità o scuola ma a quella di dati informatici; la gestione delle scuole, degli ospedali, delle pensioni sotto la voce management (29). Recentemente però, a precise richieste, Lamy ha sempre fornito risposte che negavano l’inserimento della scuola nell’elenco delle merci, anche se l’argomento è già arrivato alla discussione (31 marzo 2003) in seno alla Commissione UE (era segretamente all’ordine del giorno) ed è recentissimo l’argomento capzioso che porterebbe al colpo definitivo sulla scuola pubblica: poiché essa è un servizio per il quale i cittadini pagano allora, secondo le ferree regole del WTO, non può ricevere aiuti dallo Stato. E’ elementare comprendere che ciò significherebbe la fine della scuola pubblica. E, sgomberato il campo da questo ultimo orpello (l’aggettivo pubblico), si potrebbe dispiegare in ogni sua forma l’ingresso dei privati in una entità ormai solo privata. Sta di fatto che la UE, nel vertice di Lisbona del 2000 (30), ha deciso di occuparsi in prima persona delle scuole nazionali, con il solito slogan di scuola per tutta la vita, affermando
“La sorte dell’insegnamento non è oggetto di un intendimento unanime. Deve anch’esso essere oggetto di una privatizzazione? In quale misura? Secondo quali modalità? Non si tratta pertanto di stabilire se la concorrenza tra gli stabilimenti scolari sia auspicabile o pericolosa, ma di analizzare se essa è concretamente realizzabile, sapendo che in certi paesi essa è stata chiaramente inscritta nelle politiche educative. (…) I sistemi di insegnamento primario e secondario inferiore sono organizzati secondo la logica dell’economia di mercato? Concretamente, si tratta di esaminare se le condizioni di messa in opera di una concorrenza perfetta tra stabilimenti scolari sono presenti nei paesi toccati dallo studio“.
Ritornando in USA, molte aziende si stanno dirigendo verso la conquista del mercato della scuola sull’onda di Channel One. Una delle più note è la Edison School Project che nasce proprio dalla stessa persona, Chris Whittle, che aveva fondato Channel One, e che è normalmente quotata in borsa dal novembre 1999. La società già nel 2000 aveva raccolto fondi per 120 milioni di dollari, disponeva di un investimento privato pari a 230 milioni di dollari, gestiva a livello nazionale 79 scuole, con 38 mila studenti, in 36 città distribuite in 16 stati, occupava quasi 4 mila dipendenti tra insegnanti e personale amministrativo. In Borsa capitalizzava circa 700 milioni di dollari, cioè 1.400 miliardi di vecche lire. Vi sono poi: la Honeywell, l’American Bankers e la Walt Disney. Riguardo proprio alla Disney, lanciata sul mercato educativo ed esaltata dal suo Presidente, Eisner, come industria di intrattenimento che esprime ogni libertà di scelte individuali che la gente cerca, il suo critico B. R. Barber, direttore del Walt Whitman Center della Rutgers University del New Jersey, afferma semplicemente ciò che è i nostri pedagoghi non hanno capito (o l’hanno capito, ma …) e cioè che la Disney rappresenta la colonizzazione della cultura globale ed “il suo successo poggia sull’impari gara tra difficile e facile, lento e veloce, complesso e semplice. Il difficile, il lento ed il complesso sono propri delle creazioni culturali che suscitano la nostra ammirazione, il facile, il veloce ed il semplice corrispondono alla nostra indifferenza, spossatezza e pigrizia. E Disney si appella al facile, al veloce, al semplice.”
Sugli effetti di tali politiche che prevedono tra l’altro un ruolo crescente per la TV e particolarmente sui bambini e sugli adolescenti, vi è una interessante indagine del CENSIS (31), anche in relazione al fatto che in Italia sono già partiti progetti di salesiani per l’educazione a distanza (EDULIFE) (32).
Resta da aggiungere che la Commissione UE ha iniziato ad essere operativa nell’eLearning con il progetto del 2001 “Pensare all’istruzione di domani” (questa volta organizzato dalla DG Istruzione e Cultura) per la realizzazione di studi ed elaborazione di strategie innovative per il miglioramento dei sistemi di formazione e per la generalizzazione delle buone prassi [? ndr], ad esempio tramite centri di collegamento, e per la ricerca di soluzioni che coinvolgano le imprese e il mondo dell’istruzione per migliorare la definizione delle competenze richieste e l’accesso alla formazione. La prima importante realizzazione sostenuta dalla Commissione UE è il progetto Career Space, consorzio che riunisce BT, Cisco Systems, IBM Europe, Intel, Microsoft Europe, Nokia, Nortel Networks, Philips Semiconductors, Siemens AG, Telefonica SA, Thales, EICTA (the European ICT Industry Association), CEN/ISSS et EUREL (Convention of National Societies of Electrical Engineers of Europe). (33)
Più recentemente (5 dicembre 2003) il Parlamento Europeo ed il Consiglio hanno approvato la Decisione N. 2318/2003/CE 5 riguardante la messa in marcia di un programma pluriennale (2004-2006) per l’effettiva integrazione delle tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni (TIC) nei sistemi di istruzione e formazione in tutta Europa (programma eLearning). (34)
E in Italia ?
Iniziamo con il leggere un documento del ministro Berlinguer, del 14 gennaio 1997, che annuncia la Riforma (35).
“Quadro di riferimento e linee guida della riforma.
In un mondo nel quale l’evoluzione dell’organizzazione sociale e del lavoro fa presumere che ciascun individuo, nel corso della propria esistenza, sia chiamato a cambiare più volte la propria attività lavorativa, è evidente che la pretesa della scuola di consegnare saperi, abilità e capacità definitive deve essere in parte abbandonata e che si deve, invece, puntare allo sviluppo di requisiti quali la capacità di apprendere, di scegliere, di cooperare, di risolvere i problemi; occorre inoltre che il sistema dell’istruzione perda la sua caratteristica di struttura fortemente piramidale, dove ogni ciclo di studio ha funzione fondamentalmente propedeutica rispetto ai cicli successivi, per assumere una struttura modulare nella quale ogni segmento identifichi precise soglie da raggiungere e consolidi risultati spendibili in termini culturali, scientifici e professionali. Solo una struttura siffatta può garantire l’apertura del sistema dell’istruzione a momenti diversificati di approfondimento e di specializzazione e la sua valorizzazione come risorsa utilizzata in modo sinergico con la formazione professionale e con le altre offerte culturali.
L’innalzamento della qualità del sapere richiede, poi, necessariamente, una rinuncia alla quantità eccessiva delle nozioni. In una società traboccante di informazioni e risorse culturali la scuola oltre alla funzione fondamentale di fornire un approccio sistematico alla conoscenza, deve offrire ai giovani le chiavi per la lettura dei dati, la capacità di orientarsi e di appropriarsi degli elementi necessari per la crescita, per l’impostazione dei problemi, per la scelta dei settori ai quali
dedicare un approfondimento.
…
La capacità di apprendimento deve essere potenziata e sviluppata per favorire la crescita di autonomie individuali capaci di riconversione professionale e di apertura alle evoluzioni dei saperi nel corso dell’intera vita”.
Come si può osservare, vi è una sorprendente unità di intenti con l’ERT e, quindi, con la Commissione UE, senza che però di questo dibattito sia mai stata fatta parte attiva (neppure attraverso i sindacati scuola confederali) quantomeno la comunità degli operatori e, più in generale, dei cittadini.
Berlinguer prosegue illustrando i suoi cicli scolastici. Intanto i ragazzi dai 13 ai 15 anni dovranno orientarsi verso la scelta definitiva (continuare gli studi o passare alla formazione professionale) che dovrà appunto avvenire ai 15 anni (da confrontare con i 14 della Moratti che però prevede l’anticipo del primo ciclo a circa 5 anni). Per far questo occorre pensare a figure di sistema come gli orientatori. Si dovrà poi disporre di moduli didattici:
“improntati al ‘fare’ e al ‘saper fare’, nella predisposizione di percorsi integrativi di quelli scolastici per gli studenti che volessero optare … verso una scelta di maggiore professionalizzazione nel corso degli ultimi anni di obbligo. Quest’ultima possibilità potrebbe essere realizzata attraverso convenzioni con centri di formazione che abbiano requisiti predeterminati e diano anche le necessarie garanzie culturali, continuando le scuole a seguire gli alunni attraverso i tutor e facilitando sempre, ove richiesto, il ritorno nella scuola. … Per gli alunni che abbiano intenzione di lasciare gli studi al termine della scuola dell’obbligo, ma non abbiano interesse a transitare subito nella formazione professionale … potrebbero immaginarsi iniziative integrative e complementari, anche realizzate in convenzione con agenzie della formazione, con associazioni ed enti operanti sul territorio, con l’obiettivo di fondare prime capacità lavorative in relazione alle esigenze del mercato del lavoro locale. … Sarebbe altresì opportuno che al termine di ciascun anno fosse rilasciato a ciascuno studente un documento personale che certifichi le competenze acquisite”.
La prima legge pesante che interviene sulla scuola è quella che introduce l’Autonomia scolastica(Legge Bassanini) (36), legge annunciata dal documento Berlinguer ora visto. La parola autonomia è apparentemente affascinante ma, nel contesto scuola, è ambigua ed assume significati preoccupanti in quanto propedeutici alla paventata privatizzazione (oltre al fatto, non trascurabile, che così come è stata imposta l’autonomia è la negazione di quella culturale della scuola stessa). Nella suddetta Legge sono sostenute varie cose e, sempre, autonomia è coniugata con flessibilità, in contemporanea con l’approvazione del pacchetto Treu (Legge 196/97) sulla precarizzazione e flessibilità del lavoro. Tra ciò che è scritto nella Bassanini, leggiamo:
“- estendere il regime di diritto privato del rapporto di lavoro anche ai dirigenti generali ed equiparati delle amministrazioni pubbliche;
– compensi di incentivazione o similari;
– razionalizzare gli organi collegiali esistenti anche mediante soppressione;
– criteri di flessibilità;
– sistemi per la valutazione;
– elaborazione di specifici indicatori di efficacia, efficienza ed economicità ed alla valutazione comparativa dei costi, rendimenti e risultati;
– collegare l’esito dell’attività di valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati alla allocazione annuale delle risorse;
– l’autonomia organizzativa è finalizzata alla realizzazione della flessibilità, della diversificazione, dell’efficienza e dell’efficacia del servizio scolastico, alla integrazione e al miglior utilizzo delle risorse e delle strutture, all’introduzione di tecnologie innovative e al coordinamento con il contesto territoriale. Essa si esplica liberamente, anche mediante superamento dei vincoli in materia di unità oraria della lezione, dell’unitarietà del gruppo classe e delle modalità di organizzazione e impiego dei docenti, secondo finalità di ottimizzazione delle risorse umane, finanziarie, tecnologiche, materiali e temporali;
– obbligo di adottare procedure e strumenti di verifica e valutazione della produttività scolastica e del raggiungimento degli obiettivi;
– ai capi d’istituto è conferita la qualifica dirigenziale contestualmente all’acquisto della personalità giuridica e dell’autonomia da parte delle singole istituzioni scolastiche;
– attribuzione della dirigenza ai capi d’istituto attualmente in servizio, assegnati ad una istituzione scolastica autonoma, che frequentino un apposito corso di formazione. “
Quanto scritto è sufficientemente chiaro. Ma sono utili alcune specificazioni. E’ da notare che solo se la valutazione della produttività scolastica di cui sopra darà esito positivo le scuole avranno dei soldi, non essendo mai ben chiarito cosa questi concetti provenienti dal mondo dell’impresa c’entrino con il mondo della scuola. Si interviene sugli insegnanti differenziando il loro status non tanto sulle funzioni quanto sui salari variabili. L’artefice della gestione complessiva dovrà essere il vecchio preside o direttore didattico che ora diventa dirigente (ultimo punto) in qualche modo inteso come manager. Questa figura (anche in relazione allo spoils system introdotto dallo stesso Bassanini) (37) merita attenzione per il ruolo che ha svolto in termini di conflitto d’interessi e di coinvolgimento sindacale confederale alla digeribilità sociale di quanto si faceva.
La Dirigenza scolastica
E’ ancora Bassanini (38) che definisce la Dirigenza, che dovrebbe essere la guida illuminata dell’Autonomia.
“Il dirigente scolastico assicura la gestione unitaria dell’istituzione, ne ha la legale rappresentanza, è responsabile della gestione delle risorse finanziarie e strumentali e dei risultati del servizio. Nel rispetto delle competenze degli organi collegiali scolastici, spettano al dirigente scolastico autonomi poteri di direzione, di coordinamento e di valorizzazione delle risorse umane. In particolare il dirigente scolastico organizza l’attività scolastica secondo criteri di efficienza e di efficacia formative ed è titolare delle relazioni sindacali … Nello svolgimento delle proprie funzioni organizzative e amministrative il dirigente può avvalersi di docenti da lui individuati, ai quali possono essere delegati specifici compiti, ed è coadiuvato dal responsabile amministrativo, che sovrintende, con autonomia operativa, nell’ambito delle direttive di massima impartite e degli obiettivi assegnati, ai servizi amministrativi ed ai servizi generali dell’istituzione scolastica, coordinando il relativo personale”.
E, tra le altre competenze, gli viene assegnato anche “l’esercizio della libertà di scelta educativa delle famiglie” che si fa un poco di fatica a capire a meno di non confrontare questo con quanto sta facendo la Moratti e quindi con l’integralismo cattolico. Nel Decreto in oggetto si stabilisce anche che diventeranno dirigenti coloro che supereranno un corso-concorso selettivo (al quale potranno partecipare anche coloro che sono distaccati, in gran parte sindacalisti) e che il contratto di lavoro di tali dirigenti sarà regolato in apposita contrattazione sindacale. Ed arriva il contratto (39), una delle cose di cui più si dovrebbe preoccupare ogni cittadino. Al punto 6 dell’articolo 41 (Valutazione dei Capi d’Istituto), in riferimento a quel famoso corso-concorso, si dice: “Prima di procedere a formalizzare una valutazione non positiva, i nuclei [di valutazione] acquisiscono in contraddittorio le deduzioni del dirigente scolastico interessato, il quale potrà essere assistito da un rappresentante dell’organizzazione sindacale cui egli aderisce o comunque conferisce mandato e/o da un legale di sua fiducia (sottolineatura mia)”. Non sono in grado di commentare in modo disteso queste affermazioni e passo alle conclusioni della vicenda. Il corso-concorso si è effettuato su 300 ore teoriche (in pratica la metà erano autocertificate). Tutti i partecipanti sono stati promossi e diventati dirigenti scolastici, compresi coloro che avevano dirigenze sindacali e godevano di distacchi tali da aver ormai completamente perso ogni contatto con la realtà scolastica. La cosa è poi andata avanti con un altro preteso concorso che avrebbe assunto altri dirigenti. Anche qui il sindacato scuola confederale si è sbracciato per ottenere innanzitutto un concorso riservato a coloro che erano incaricati dirigenti (invito ad indovinare quali meccanismi assegnavano gli incarichi) e quindi, “dati problemi emozionali di persone anziane” (sic), per non far fare loro alcun esame (40). E tutto questo avveniva in contemporanea con quel concorsone (febbraio 2000), fino all’ultimo sostenuto dagli stessi sindacati scuola confederali che lavoravano in perfetta sintonia con la Pubblica Istruzione e non con gli iscritti, che avrebbe dovuto valutare gli insegnanti (una tantum e su un numero predeterminato) sulle crocette degli psicopedagoghi e non sulle competenze disciplinari.
Cose analoghe si potrebbero dire sugli Ispettori centrali del MIUR che, a parte pochissime eccezioni, non hanno idea di cosa sia la scuola, di cosa sia diventata e di come funzioni. C’è solo da notare che quelli periferici, già aboliti da tempo, stanno per essere reintrodotti dalla Moratti (proposte di Legge 4091 e 4095), con il sindacato che non sembra d’accordo in quanto la funzione ispettiva si eserciterebbe anche sui dirigenti medesimi (vedi comunicato CGIL Scuola del 17 marzo 2004).
Ritorniamo alla Riforma Berlinguer
Nel DPR 233/98 (Bassanini) si afferma che “Il numero dei dipendenti del comparto scuola deve risultare alla fine dell’anno 1999 inferiore del 3 per cento rispetto a quello rilevato alla fine dell’anno 1997” e queste due righe vogliono dire la caduta di 21000 posti di lavoro. Si può intuire che, quando si vuole privatizzare, occorre che l’impresa sia economicamente sana perché sia appetibile. E questa mia osservazione non è canonica di fronte ad un provvedimento come questo. Gerard de Selys, a commento dei documenti ERT, osserva che (41) “il settore dell’educazione è paragonabile a quello delle auto. Quest’ultimo produce ogni anno, nei 29 paesi dell’OCDE, un giro d’affari di 1286 miliardi di dollari ed impiega circa 5 milioni di lavoratori. Nella stessa OCDE i Paesi membri spendono ogni anno 1000 miliardi di dollari per i sistemi educativi che impiegano circa 10 milioni di insegnanti. Se si eliminano la metà dei 4 milioni di insegnanti dei 15 della UE, le cui spese per il salario vanno oltre l’80% delle spese complessive per l’istruzione, questo libererà milioni di dollari per una guerra competitiva!”. Si può osservare che si tratta di un qualcosa che tutti i Paesi UE auspicano e che in prospettiva (ormai breve) tutti realizzano.
In silenzio, con il pretesto dell’accorpamento dei ministeri, si cambia anche il nome del Ministero della Pubblica Istruzione (MPI) in Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR). Le pretese giustificazioni di Bassanini (42) (“se avessimo parlato solo di istruzione, università e ricerca pubbliche a chi avremmo lasciato le competenze pubbliche in materia di università private, scuole private e ricerca scientifica privata ?”) non hanno alcun significato. Basta osservare che fino ad oggi è stato il MPI ad occuparsi di privato e che si sarebbe potuto seguire con un’apposita direzione generale presso lo stesso MPI. La sparizione di pubblico (Legge 300/99) come aggettivo qualificante l’istruzione fa il paio con altri provvedimenti che vengono presi in quegli anni dal ministro Berlinguer. (43)
Tra le righe di questa frenesia riformatrice merita distaccare il comitato per valutare il prodotto educativo (Direttiva 307/97), l’introduzione di crediti e debiti (DM. 24/00), che nascono in vista di una carta europea extrascolare ed in vista dell’educazione permanente preconizzata dall’ERT, insieme a tanti altri orpelli utili solo al divertimento dei pedagoghi (pause didattiche, PEI, POF, funzioni obiettivo, valutazioni formali intermedie, crediti e debiti, statuti (populisti, ndr) degli studenti, valutazioni spersonalizzate con sistemi discutibili che tendono via via a portarci alle esperienze anglosassoni con la sparizione, ad esempio, del momento fondamentale dell’orale), … l’immissione in ruolo dei professori di religione e la contraddizione, rispetto alle premesse, delle abilitazioni e passaggi di cattedra facili ed infine la perla della parità scolastica tra scuola pubblica e privata (Legge 62/00). Una nota su quest’ultimo provvedimento: poiché vi era l’articolo 33 della Costituzione che impedisce allo Stato il finanziamento di scuole private, nella riforma della Costituzione è stato inserito un marchingegno del quale pochi si sono accorti. Nel nuovo articolo 55 della “nuova” Costituzione (Riforma del Titolo V) si legge: “La Repubblica Italiana è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Regioni, dallo Stato“. Quindi lo Stato è un o tra i tre enti. In pratica se i soldi provengono dalle Regioni e non dallo Stato il finanziamento pubblico diventa lecito (la Regione Emilia Romagna ha iniziato seguita dalla Regione Lombardia e quindi …).
La valutazione di tutto (meno che dei dirigenti scolastici manager del dissolvimento della scuola pubblica) assume un ruolo importante. Ed anche qui i docimologi hanno inventato cose che tendono a misurare tutto, meno che le competenze disciplinari. Per valutare (autovalutazione) la propria scuola, i servizi che presta ai clienti, la qualità del suo prodotto, … vengono proposte griglie che prevedono la misura di sei qualità: tecnica, relazionale, ambientale, d’immagine, organizzativa, economica con oltre 30 sottospecificazioni che dovranno essere analizzate una per una; per valutare invece il cliente si introducono tipologie di prove, pesi da assegnare a singoli aspetti che sono : il livello delle conoscenze, di comprensione, di applicazione, come ci si esprime, la capacità di analisi, la capacità di sintesi, la capacità critica, l’impressione generale; … e questo per ogni ragazzo e per ogni prova. Quando al docimologo si osserva che con griglie prefabbricate TUTTI gli studenti risulterebbero bocciati, egli fa spallucce e dice che in tal caso occorre applicare la valutazione globale, quella tradizionale (Vedi: Maria Lucia Giovannini – La valutazione – Milano, 1995). Intanto il MPI mantiene l’abolizione degli esami di riparazione del ministro berlusconiano D’Onofrio (1994) e si rendono le commissione d’esame inutili (tre commissari interni e tre esterni fino ad arrivare ai diplomifici Moratti, con tutta la commissione interna). Sommando questo con le abilitazioni facili e con i dirigenti preparati per loro natura, si mostra che la pretesa enunciazione di studi più seri e qualificati è, appunto, una enunciazione. Interessa una scuola che intrattenga i ragazzi con attività ludiche. Le cose serie si faranno altrove con i prescelti ed a pagamento. Intanto destrutturiamo la scuola pubblica … finché i cittadini non ne potranno più e saranno costretti a ricorrere alle scuole private.
La sintesi Maragliano
Anche qui, comunque, come a San Francisco, occorre inventare qualcosa che faccia digerire il tutto (oltre le facilitazioni di cui sopra che tendono ad assopire gli studenti e le famiglie, almeno per il tempo necessario a capire il danno che si è realizzato). Il miracolo viene fatto dai pedagoghi (con psicologi e docimologi) che iniziano con la loro opera di spostamento dell’asse della scuola dai contenuti ai metodi che si avvitano su se stessi (una vera e propria deriva) (44) . La Sintesi Maragliano (45) (fatta insieme a Clotilde Pontecorvo, Giovanni Reale, Luisa Ribolzi, Silvano Tagliagambe e Mario Vegetti nel maggio 1997) che spinge su nuove tecnologie è emblematica del clima: “Le nuove tecnologie dell’informazione hanno in questo senso un valore paradigmatico, dal momento che coniugano in modo visibile la componente materiale costituita dall’hardware, fondamentale per svolgere le funzioni che loro competono, con la componente simbolica del software, che determina le operazioni che vengono effettuate e dà loro senso.” e nessuno spiega che non si studierà quell’hardware né tanto meno quel software.
E la destrutturazione colpisce tutto, anche la storia: “Per quanto riguarda la storia recente, va tenuto presente che il Novecento non si caratterizza solo per un insieme notevolmente complesso di avvenimenti ma anche per l’affermarsi di ottiche, teorie, linguaggi assai diversi da quelli tradizionalmente adottati dalla scuola …. Gli attuali strumenti di studio vanno dunque adeguatamente integrati, ad esempio, con l’impiego di repertori di dati, immagini, ricostruzioni visuali”. Insomma cronaca e non storia, immagini per non fare fatica e taglio drastico sulla storia antica, sulle radici cosicché, quando ad esempio si studierà la questione palestinese, chi conoscerà la storia di quelle terre? E senza questo riferimento ogni disciplina umanistica e scientifica non ha più basi. La Sintesi prosegue: “ Maggiore attenzione, nell’ambito della didattica, dovrebbe essere data alla utilizzazione di una pluralità di strumenti educativi, quali:
testi di buona divulgazione, per tutti gli ambiti disciplinari, scritti con abilità narrativa e capaci di attrarre l’interesse degli allievi;
…. pratiche di gioco, e non solo a livello elementare. Il vero gioco e’ vivace, lieve, ma anche appassionato, e quindi serio. L’esigenza di alleggerire il carico culturale e materiale della nostra scuola va inteso anche in questo senso: vale a dire come invito a proporre, tutte le volte che ciò sia possibile, contesti didattici all’interno dei quali apprendere sia esperienza piacevole e gratificante;
impiego delle macchine della conoscenza e dell’elaborazione di informazioni e problemi. In particolare, gli strumenti multimediali sono estremamente motivanti per bambini e ragazzi, perché non hanno affatto odore di scuola (sottolineatura mia), danno loro il senso di disporre di risorse per il saper fare e consentono di non disperdere, ma valorizzare, in un quadro intellettuale più strutturato, forme di intelligenza intuitiva, empirica, immaginativa, assai diffuse tra i giovani.”
Insomma: illustrazioni, foto, filmati, disegni, immagini, divulgazioni, libri con molta iconografia, gioco, tutto piacevole, dibattiti, gite, conferenze, uscite, … Walt Disney insomma. Tutto meno che scuola perché quest’ultima ha odore sgradevole. Al fine del saper fare! E di adagiarsi su capacità intuitive, empiriche, immaginative.
Anche le scienze, forti di intuizione, empirismo ed immaginazione degli studenti, hanno il privilegio della citazione:
“La ricerca sulla matematica non scolastica indica la necessità di insegnare agli studenti ad usare idee e tecniche di tipo matematico nella soluzione di problemi diversi (sia di scienze fisico-naturali sia di scienze sociali).Sembra essenziale, a questo riguardo, che bambini e ragazzi non perdano il piacere del matematizzare, non siano demotivati da eccessi di formalismo e siano aiutati dagli insegnanti e dagli stessi compagni a pensare a percorsi alternativi di soluzione e ad utilizzare in positivo le dinamiche degli eventuali errori.”
Qui si sta dicendo che uno degli ultimi luoghi dove si conquistano le abilità astrattive, va demolito, con tutto ciò che segue. E si dice anche che il formalismo matematico è da buttare (era inevitabile che dopo il latino si attaccasse la matematica). La fisica, poi, fa un poco di paura ad un pedagogo. Parla di simulazioni al computer, riuscendo con un colpo di penna, a vanificare gli sforzi di chi, per anni, ha tentato di fare la prima rivoluzione scolastica, quella galileiana. Simulare un esperimento, al livello scolare di cui si discute, è fuorviante se non si conosce bene cosa è un trasduttore (un certo evento che diventa segnali elettromagnetici che poi traduciamo in dati di spazi e tempi) e se non si è ancora in grado di cogliere l’onestà dello strumento. Insomma: il fenomeno è prodotto dallo strumento o è simulato da esso? Riguardo poi al pedagogo che parla di scienza con “contrasti con altre forme del pensiero”, lasciamo perdere.
Occorre togliere alla scuola ciò che sa di scuola perché la scuola non interessa, soprattutto se pubblica:
“Bisogna intervenire sull’editoria scolastica, sollecitandola a (e fornendole le condizioni per) maturare nuove scelte produttive, a favore di testi essenziali (per gli studenti) e più ampi e documentati (per i docenti). ………
quindi i testi scolastici devono essere concisi e non disperdersi in cose, magari importanti, che fanno perdere tempo; sono i docenti che devono sapere di più e quindi, loro, debbono avere testi più ricchi su cui prepararsi;
si intende puntare seriamente sulla riqualificazione permanente dei docenti;
dalle opportunità offerte da un mercato interno e internazionale in cui si fa sempre più forte la domanda di prodotti di divulgazione di elevato profilo culturale e che utilizzino al meglio le risorse della tecnologia.
In definitiva i testi più ricchi per i docenti servivano a questo. Sono sempre possibili poi corsi a distanza per aggiornare chi non conosce il proprio mestiere e soprattutto chi non sa divulgare. Ma ciò a cui si tiene di più è al fatto che gli insegnanti sappiano usare le nuove tecnologie, cioè internet (perché immagino che la TV ed il video venga concesso loro come acquisito). Come poi ci si istruisca con internet, senza avere una importante preparazione di base, i pedagoghi non lo spiegano.
L’istruzione e la vita famigliare dovrebbero essere maggiormente connesse che nel passato. ……..
Dibattiti e discussioni, rigorosamente preparati, sono strumenti cruciali, anche all’interno del gruppo classe, per la creazione di quel “mettere in questione” e di quella autonomia intellettuale che idealmente formano le basi di una moderna società civile.”
Dibattere quindi, come in TV. E, dati i livelli di preparazione di base, questo dibattere scimmiotterà proprio la TV. Ma quale sarebbe questa società civile? Lo dicono, lo dicono; non sono reticenti:
“Far sì che la scuola metabolizzi progressivamente una nuova cultura del lavoro significa investire su due fronti: l’orientamento e la proposta formativa. Per il primo fronte, si tratta di introdurre nella didattica alcuni contenuti innovativi propri di questo nuovo approccio: il superamento della “cultura del posto” a vantaggio di una nuova visione delle opportunità e delle professioni; la cultura della flessibilità attraverso la conoscenza delle nuove forme di organizzazione dei processi lavorativi; le nuove forme del lavoro, da quello autonomo a quello artigianale, a quello atipico; la preparazione all’autoimprenditorialità. Per il secondo, considerata la maggiore velocità di trasformazione dei processi strutturali rispetto a quelli culturali, il problema più urgente è di por mano all’impianto metodologico della scuola: è in gioco non solo una questione di contenuti, ma anche e soprattutto una questione di metodo di studio e di impegno umano. Si tratta allora di utilizzare e valorizzare le forme dell’apprendere proprie del mondo esterno alla scuola, sviluppando il senso di responsabilità e di autonomia che richiede il lavoro, le capacità etiche ed intellettuali di collaborazione con gli altri, la pianificazione per la soluzione di problemi concreti e la realizzazione di progetti significativi (competenze di tipo trasversale da promuovere nella scuola e nell’educazione permanente). In questo quadro andrà particolarmente valorizzato il rapporto costruttivo fra scuola, comunità locali, mondo produttivo.”
Le intenzioni sono chiarissime: la scuola deve preparare secondo i voleri dell’Impresa neoliberista educando anche alla sottomissione ed all’accettazione dell’esistente.
Non si può non concordare con uno dei più severi ed autorevoli critici di queste riforme: “Di recente sono ripartite – con più virulenza che mai – le fantasie sulla “privatizzazione”, ammantate di modernismo e celate dietro un inaccettabile disfattismo sul presunto sfascio della scuola pubblica. Si confonde autonomia con privato, quasi che il concetto autonomia non fosse un concetto anche e corposamente pubblicistico. Si rimette in discussione il patto costituzionale che cattolici e laici democratici hanno stipulato per impegnarsi nella qualificazione e nelle garanzie pluralistiche della scuola pubblica. Si diffonde l’insana illusione che la salvezza educativa del paese sia nelle mani dell’efficienza di novelli managers privati (che tutti sanno abilissimi nell’attingere continuamente ai fondi dello Stato). Ora poi si racconta che le università – sprecone e inconcludenti – devono procacciarsi da sé i mezzi per lavorare, stravolgendo così una grande tradizione e valori radicati nella storia d’Europa, che hanno fatto libera (e per questo grande) la nostra ricerca. Reaganismo e confessionalismo d’accatto”. Costuilucidamente descrive ciò che accade. E’ il futuro ministro Luigi Berlinguer, su La Repubblica del 28 settembre 1988.
Il mondo dell’impresa e Confindustria
Anche in Italia l’Impresa (con alcuni pretesi personaggi di cultura), vuole di più e lo chiede con un documento del 1999 dal titolo accattivante“Scuola libera!Appunti per la nascita di un movimento” (46), che ha come firmatari: Ferdinando Adornato, Dario Antiseri, Antonio Augenti, Paolo Blasi, Carlo Bo, Dino Boffo, Pellegrino Capaldo, Innocenzo Cipolletta, Emma Marcegaglia, Antonio Martino, Letizia Moratti, Angelo Panebianco, Sergio Romano, Cesare Romiti, Giorgio Rumi, Paolo Savona, Lorenzo Strik Lievers, Marco Tronchetti Provera, Stefano Versari, Giorgio Vittadini, Sergio Zaninelli. In tale documento si sostiene che la scuola non deve più essere un monopolio dello Stato ma una entità in cui gli istituti siano indotti a una emulazione per proporre la migliore offerta formativa possibile. Una nuova scuola italiana, libera, potrà affermarsi e realizzarsi solo grazie al concorso di passioni, intelligenze e culture laiche e cattoliche. Il documento immagina:
“una nuova scuola nella quale:
1) lo Stato finanzi ma non gestisca l’istruzione di tutti i cittadini;
2) si affermi una pluralità di offerte e istituti formativi, statali e non, e una pluralità di opzioni possibili per il cittadino;
3) viga la pari dignità tra le diverse scuole e quindi l’assoluta irrilevanza del fattore economico nella scelta da parte dei cittadini ;
4) si giunga all’abolizione del valore legale del titolo di studio,necessaria conseguenza di tale nuovo assetto;
5) A tal fine lo Stato deve fissare quanto intende spendere annualmente per la formazione di ciascun cittadino;
6) deve disporsi poi a riconoscere quella somma, diversificata a seconda del grado di istruzione, alla famiglia di ciascun alunno, utilizzando appositi bonus o altri analoghi strumenti;
7) si può infine prevedere che gli alunni iscritti a scuole non statali gravino sulle casse dello Stato per un 10% in meno di quelli che scelgono la scuola statale. C’è infatti da calcolare una serie di spese fisse che lo Stato è comunque chiamato a sostenere, ad esempio nei piccoli centri a scarsa popolazione scolastica e dove però l’istruzione va comunque garantita. C’è per converso da pensare che altri sussidi, familiari, di enti privati e imprese possano giungere alla scuola non statale.”
Si devono prevedere dei percorsi formativi individuali ed un rafforzamento della formazione professionale per legare il mondo della scuola a quello dell’impresa. Saranno i genitori a garantire le libertà di scelte educative (questi genitori sono sempre presi a pretesto per fare i propri comodi, ndr). Dove trovare le risorse? “L’impresa deve trovare proficuo e vantaggioso investire nella scuola. Da questo punto di vista gli Stati Uniti possono insegnarci qualcosa. Particolarmente per le scuole professionali ..”. Ed anche qui si arriva ad una medesima conclusione – l’impresa che deve fare affari con la scuola – con una possibile aggravante: che si richiami il Paese in cui ogni tecnica privatistica è stata utilizzata può essere naturale, ma far finta di non sapere che proprio negli Usa si sta ripensando tutto, compresi i buoni scuola, si sono avute clamorose bocciature di Bush in Senato dove i democratici e 13 repubblicani hanno creato un ampio fronte anti-vaucher, dove sono state bocciate in Stati del calibro della California e del Michigan (per ora), leggi per il finanziamento pubblico di scuole private, dove si sta tornando dal decentrato al centralismo, … beh, sembra davvero esagerato.
Anche Confindustria si mostra particolarmente attiva in prima persona. Inizia con un documento del 1998 (mentre si sta varando la Riforma Berlinguer), Verso la scuola del 2000 (47), nel quale si denuncia tutto ciò che abbiamo già incontrato: troppe nozioni, troppi insegnanti, troppe scuole, costo esagerato [con confronti assolutamente disomogenei, ndr], … e si reclamano le conclusioni dei rapporti Delors e Cresson. Nessuna novità rispetto a quanto rivendicato dall’ERT e da altri gruppi imprenditoriali di pressione (in fondo è un gioco ad incastro: si tratta degli stessi che ritroviamo da più parti in più ruoli). Ma vediamo qualche citazione d’interesse. Dopo essersi incensata (“Confindustria ha una storica attenzione ai problemi dell’education”) afferma che occorre puntare sul capitale umano perché noi abbiamo scarse risorse naturali, che servono ponti tra scuola ed impresa, che serve mobilità e flessibilità, che i capi d’istituto possano scegliere gli insegnanti (io pensavo il viceversa! ndr.), che occorre che sia praticato l’orientamento, che gli studenti operano oggi come i loro bisnonni, che le scuole devono farsi concorrenza, che vi è un assemblearismo irresponsabile, che i capi d’istituto non hanno poteri, che le spese per la formazione delle imprese devono essere considerate come investimento ammortizzabile, che la scuola ha scarso appeal (si confronti con quanto sostengono i pedagoghi), che serve responsabilità sociale degli individui. Si passa al problema dei costi, subito dopo aver detto che in Italia il tempo pieno è poco praticato e che da noi si fa un anno in più che nel resto di Europa. Si dice che qui il costo per alunno è superiore a quello della media UE. Naturalmente non tenendo conto del fatto che il grosso di questa spesa è per una scuola di eccellenza che noi abbiamo (ormai, dopo gli interventi Moratti, si deve leggere: avevamo), la scuola elementare funzionante proprio a tempo pieno e con i moduli (3 insegnanti per due classi) in base alla legge istitutiva, la 148 del 1990. Ma le due cose non devono essere messe in relazione: si tratta di smontare un’altra delle grandi conquiste sociali degli anni passati. Se si confrontano questi dati con la simultanea richiesta di estendere il tempo pieno ci si rende conto che Confindustria ha in mente solo il fatto che la scuola deve essere pagata dai clienti, deve prevedere classi sovraffollate, deve ridurre il numero delle discipline, deve ridurre il numero delle ore, deve aumentare l’orario di servizio degli insegnanti, deve ridurre il numero delle scuole, deve … . Confindustria passa poi all’operazione mai denunciata con forza dal nostro Ministero per la denigrazione reiterata che viene fatta sulla nostra scuola: va a confrontare i livelli di apprendimento nelle indagini internazionali (P.I.S.A.-OCDE; TIMMS-IEA) (48). Poiché i nostri studenti hanno valutazioni al di sotto della media OCDE, la colpa la si dà alla scuola. A nessuno dei tecnici di Confindustria (e dei vari ministri) è venuto in mente che le valutazioni che vengono effettuate sono disomogenee rispetto alla preparazione? Sanno gli esponenti dell’impresa che, ad esempio, chi sa lavorare con problemi da liceo scientifico e non ha mai lavorato con test, non ottiene buone valutazioni? Sanno che mentre è facile addestrare ad un test (appiattimento verso il basso della preparazione per garantire uniformità alle domande) non è facile insegnare a risolvere problemi con tutte le abilità che si devono mettere in campo?
Al momento del varo della Riforma Berlinguer la stessa Confindustria darà il suo parere molto favorevole. Certo si poteva fare di più … (49) e comunque facciamo presto. Per non perdere altro tempo Confindustria delega i piani organizzativi della scuola che gradisce in tutta la loro completa strutturazione, all’Associazione TreeLLLe (Per una società dell’apprendimento continuo) (50). La TreeLLLe ha fino ad ora prodotto tre ponderosi documenti che, in molto maggiori dettagli, iniziano a definire la politica dell’impresa nei riguardi della scuola. (51) Leggendoli ci si può rendere conto che, ora, l’impresa sembra andare avanti accompagnata da una marcia trionfale. E dico questo non per dire che tutto ciò che fa l’impresa è male, ma solo per auspicare che la politica sostenga quella parte di società che non è impresa e che dovrebbe rientrare in un ambito di rapporti civili, quanto meno di welfare. Ma, anche qui, la politica si è dissolta ed i politici eletti da noi lavorano insensibili agli interessi dei loro elettori, con i sindacati confederali di categoria colpevolmente assenti.
L’organizzazione degli imprenditori italiana si coordina anche con altre 6 organizzazioni europee simili per varare un documento, Per una scuola di qualità (Londra 2000) (52) che compendia tutto ciò che l’impresa vuole dalla scuola (ora si ha a che fare con 10 messaggi chiave, ricalcando proprio quelli della Commissione Cresson, mostrando come si lavori in stretta sinergia): ripensamento del sistema educativo, nuova organizzazione della scuola, autonomia organizzativa, didattica e gestionale [nella Riforma Berlinguer i pochi soldi arrivavano dall’ex MPI, sostenere l’autonomia gestionale vuol dire sostenere la privatizzazione della scuola pubblica, ndr]; standard nazionali di conoscenze e competenze; un ente indipendente per la valutazione di ogni singola scuola e del complesso; finanziamento pubblico guidato dalla domanda; competizione; tecnologie informatiche e multimediali; saper fare; flessibilità del lavoro docente; docenti estremamente preparati ed in continua formazione; docenti non necessariamente titolati; docenti transitori; maggior ruolo per il dirigente; integrazione scuola impresa, con l’impresa che indirizza gli studenti, con stage aziendali e per studenti e per insegnanti. Naturalmente, per gli aderenti a Confindustria, non avvezzi storicamente a fare ricerca, la scuola dovrà essere bassamente professionalizzante.
Inoltre Confindustria produce una grande mole di documenti tra i quali si segnala: Il vantaggio competitivo della formazione (24 marzo 2000) di Carlo Callieri (53). In questo documento si denuncia il ritardo della nostra scuola rispetto al resto d’Europa nonostante la maggiore spesa per alunno ed il fatto che i finanziamenti per la ricerca dell’Università sono inferiori a quelli di altri Paesi d’Europa – e qui Callieri non accenna al fatto che gli industriali italiani sono sempre stati tanto restii a far ricerca quanto propensi a copiare e quindi continuano a chiedere sinergia con l’Università nel senso di Università che fa ricerca per loro profitto. Nel contempo si richiede l’applicazione immediata della Bassanini (112/97) e del pacchetto Treu (196/97) per avere subito soldi per attivare formazione; si proceda poi ad investire denaro per le infrastrutture necessarie alla formazione da parte degli imprenditori che, dovranno anche avere agevolazioni fiscali; si proceda ancora alla certificazione di qualità della formazione professionale (come richiesto da Treu). Serve ancora la parità completa tra scuole statali e no; un monitoraggio continuo delle necessità dell’impresa affinché lo Stato vi faccia fronte; l’abolizione dell’organico scolastico (per le scuole pubbliche); la laurea, il master ed il tirocinio per i nuovi insegnanti; l’assunzione degli insegnanti da parte delle scuole; contratti individuali per gli insegnanti; si diano incentivi agli insegnanti in base alla loro produttività didattica; si spinga alla conoscenza della lingua inglese e dell’informatica; garantire il ruolo di stimolo delle libere università (finanziarle). Altri lavori con identiche richieste, raccontate con prose diverse, sono: La Ricerca e l’innovazione in Italia di Paolo Annunziato e Giuseppe Schlitzer (54) ; E’ negli stage la sfida della scuola di Guido Maria Barilla (53) ; Scuola + Impresa = Occupazione di Emma Marcegaglia (56) .
Ancora la UE
Queste proposte potrebbero sembrare dei degni progetti cui aspirano le organizzazioni degli industriali, tanto degni quanto quelli che i cittadini, ripeto, delegano ai loro eletti al fine di non cedere su cose di tale importanza. Ma oggi, vista la poca attenzione di questi cittadini alla politica europea che sembra andare per suoi sentieri, senza controlli da parte di chi è dedito a beghe quotidiane di piccolo cabotaggio, oggi appunto c’è da preoccuparsi se, dalla “Conferenza dei Ministri dell’Istruzione” a Lisbona nell’anno 2000, arriva una delega quasi totale dell’istruzione dai governi nazionali alla Commissione UE. Con il rischio aggiunto che si passi immediatamente dal Commissario che si occupa di educazione a quello che si occupa di commercio. Nelle enunciazioni di Lisbona risulterebbe che tutti i 15 sono d’accordo su una politica comune europea per l’educazione (57). Se così fosse resterebbe il dubbio del sapere perché si è spinto tanto per una delega completa alla Commissione. In definitiva, a tutt’oggi, sono indispensabili due cose: piena trasparenza preventiva di ogni atto della Commissione UE ed invito a tutti alla massima attenzione all’operato di essa. In particolare Pascal Lamy è persona preoccupante, insieme ai suoi consiglieri (Madelin, Servoz, Defraigne, …), eredi del tatcheriano Leon Brittan (predecessore di Lamy come Commissario UE al commercio).
L’ultimo documento della Commissione UE è comunque dell’ 11 novembre 2003 ed è un progetto a medio termine dal nome Istruzione & Formazione 2010, l’urgenza delle riforme per la riuscita della strategia di Lisbona (58). Si tratta di un documento che cerca la verifica di quanto si era accordato nel documento di Barcellona del marzo 2002 (59). Dopo aver ricordato tutti i passi successivi a Lisbona 2000, agli obiettivi che dovevano rappresentare “una svolta epocale risultante dalla globalizzazione e dalle sfide presentate da una nuova economia basata sulla conoscenza“, la Commissione si chiede a che punto si è arrivati nel conseguimento di tali obiettivi ambiziosi ma realistici? La cosa non sembra andare bene se si afferma: “in tutti i paesi europei si compiono sforzi per adattare i sistemi d’istruzione e formazione alla società e all’economia della conoscenza, ma le riforme avviate non sono all’altezza delle sfide e il loro ritmo attuale non consentirà all’Unione di raggiungere gli obiettivi che si è fissata”.
Occorre darsi da fare subito. I governi nazionali devono investire di più e, soprattutto, incentivare di più i privati perché intervengano. Serve poi una cooperazione strutturata e continua a livello comunitario per la migliore utilizzazione delle risorse umane e degli investimenti (ed anche per far confluire al più presto le legislazioni nazionali in una legislazione europea). Ciò al fine di avere “un quadro di riferimento europeo per le qualifiche
dell’istruzione superiore e della formazione professionale; tale quadro è indispensabile per creare un vero e proprio mercato europeo del lavoro e facilitare la mobilità”. Insomma non si può dire che gli obiettivi non siano chiari. Del resto si erano andati esplicitando a partire proprio da Lisbona, dove si era affermato di voler costruire: “un’economia e una società fondate sulla conoscenza … strategia che si fonda su un’ampia gamma di azioni coerenti e complementari (come ad esempio le riforme dei mercati dei beni, dei servizi e dei capitali, l’adattamento delle politiche dell’occupazione e del mercato del lavoro e la riforma dei sistemi di previdenza sociale)”.
Molti ritardi nell’attuazione dei piani nascono perché i singoli Paesi si preoccupano troppo degli sbocchi professionali e di far fronte alla dispersione scolastica. Inoltre gli insegnanti delle scuole professionali non rendono affascinanti le loro lezioni e pochissimi sono disponibili alla mobilità. Viene poi un discorso ricorrente (che male si coniuga intanto con quanto sostiene Confindustria): il basso numero di diplomati. L’organizzazione degli imprenditori afferma che in Italia si è puntato sulla quantità piuttosto che sulla qualità. Come mettere d’accordo questo con il basso numero di diplomati denunciato da tutti? Credo si debba fare uno sforzo di comprensione del perché i giovani se ne vanno dalla scuola. Essa dovrebbe portare (dopo anni di parcheggio improduttivo ai fini economici) ad un mondo del lavoro flessibile, incerto e mal pagato, quando l’immagine che i giovani hanno dalla società dello spettacolo è bellezza, denaro e successo subito. E’ una contraddizione dello stesso sistema che porta ad abbandonare per guadagnare, come si può al più presto. L’idea dell’investimento in cultura sta sparendo perché i modelli sociali hanno operato in tal senso. Ma la Commissione dice:
“Per essere competitiva nell’economia della conoscenza l’Unione ha anche bisogno di un sufficiente numero di diplomati dell’istruzione superiore che dispongano di una preparazione adattata al mercato del lavoro europeo. Il ritardo a livello dell’istruzione secondaria si ripercuote a livello dell’istruzione superiore. Nell’Unione, mediamente 23% degli uomini e 20% delle donne tra i 25 e i 64 anni hanno un diploma d’istruzione superiore. Tale cifra è nettamente inferiore a quella del Giappone (36% degli uomini e 32% delle donne) e degli Stati Uniti (37% per l’insieme della popolazione).”
Una possibilità potrebbe proprio essere il modello USA, quello che fornisce diplomati con piani di studio in gran parte opzionali (musica, teatro, sport, giornalismo, fotografia, ecologia, …) e con il solo obbligo per storia americana (unica disciplina con un ferreo controllo federale), matematica ed educazione civica. Ma questo rappresenta qualità? E dove sarebbero occupati questi diplomati USA? Ma poi, proprio le attuali disposizioni sull’equipollenza reciproca dovrebbero fa riflettere: mentre un diplomato italiano viene ammesso anche al secondo anno di università in Usa, un diplomato USA (high school) viene ammesso in Italia al penultimo anno di scuola superiore e deve aver fatto almeno due anni di College (Associate Degree) con l’idoneità al terzo anno, con almeno 60 credits, in Usa per essere ammesso all’Università italiana (60). In ogni caso, nella nostra scuola si promuove il 97% di coloro che arrivano agli esami. Gli altri abbandonano, la gran parte non perché vengano selezionati.
Il documento prosegue dicendo che l’Unione deve essere capace di attirare studenti che dal resto del mondo vengano in Europa a studiare. Il proposito è di grande interesse solo che si scontra con il fatto che alla fine saranno qui ben preparati per poi, di nuovo andarsene dove gli viene offerto un lavoro dimensionato alla loro preparazione e questo in Europa avviene sempre meno.(61) Del resto la stessa Commissione ammette questo quando dice:
“L’Unione « produce » un maggior numero di diplomi e di dottori in scienze e tecnologia degli Stati Uniti o del Giappone (25,7% del totale di diplomati dell’istruzione superiore per l’Unione rispetto a 21,9% e a 17,2% rispettivamente per il Giappone e gli Stati Uniti). Contemporaneamente, la quota dei ricercatori nella popolazione attiva è molto più debole nell’Unione (5,4 ricercatori su 1000 nel 1999) che negli Stati Uniti (8,7) o nel Giappone (9,7) e in particolare nelle imprese private. Il mercato del lavoro europeo è molto più stretto per i ricercatori che lasciano spesso l’Unione per continuare altrove le loro carriere (essenzialmente negli Stati Uniti in cui godono di migliori condizioni di lavoro) o decidono di cambiare professione”.
E questa affermazione fornisce anche una spiegazione al problema posto precedentemente (basso numero di diplomati): alcuni studenti ce la mettono tutta anche in diplomi duri. Ma se l’esempio per gli altri studenti è il rifiuto anche di questi dal mercato del lavoro, allora il fallimento è garantito. Il problema può essere posto altrimenti proprio soffermandosi sull’altro aspetto che la Commissione denuncia: la mancanza di ricerca soprattutto nelle imprese private. Se tali imprese continuano a non fare ricerca o a trasferire la produzione all’estero, chi dovrebbe assumere i diplomati in discipline dure e, successivamente, i laureati o i dottorati nelle medesime? A tutt’oggi, in gran parte, si tratta di sottoccupazione. La Commissione dovrebbe convincersi che i buoni propositi sociali non possono convivere con il neoliberismo e la massimizzazione del profitto.
Concludendo …
Che dire? Quanto ho riportato è di per sé chiarissimo. Nel mondo occidentale il sistema del libero mercato ormai non ha più freni. Interviene direttamente sui governi (anche personalmente) soppiantando completamente la mediazione politica. Ma solo teorici ingenui, imprenditori d’assalto, politici mediocri possono credere che si possa indefinitamente continuare così, senza doverne pagare prima o poi un prezzo politico. Per il mondo delle imprese esiste certamente un surplus. Per la società civile non esiste nessun cittadino che si debba considerare surplus people. Non vi sono ineluttabilità o determinismi, a patto che i cittadini sappiano di cosa si parla e facciano sentire la loro voce.
Credo che siamo oggi ad un punto di possibile non ritorno. La scuola pubblica, sommo bene da molte generazioni, quella che ha permesso l’emancipazione di tutti e ciascuno di noi è oggi a rischio. Si sta smontando, destrutturando, deregolamentando regionalizzando in modo selvaggio e seguendo la strada opposta a quella degli USA che pure sono passati attraverso questo fallimento e stanno tentando disperatamente di uscirne, … per far scendere i prezzi ed immetterla sul mercato. Occorre molta maggiore attenzione a questa vicenda da parte dei cittadini tutti. Quando si avanzasse ancora su questa strada sarà impossibile tornare indietro. E, in quel momento, ogni recriminazione sarà vana. Non ci si accorge di come si sta bene fino a che non si perde quel bene.
NOTE
Avvertenza: dovendo dare referenze a pagine pubblicate su siti web, quando è stato possibile ho dato la referenza al sito di origine; quando invece, per qualunque motivo, quella pagina era non raggiungibile o era in altra lingua, allora ho dato la referenza secondaria di un sito che l’aveva pubblicata o tradotta.
(1) Regards sur l’éducation. Les indicateurs de l’Ocde, Paris 1997. La stima OCSE per la sanità è di 3500 miliardi di dollari.
(2) Hans Peter Martin, Harald Schumann – Die Globalisierungsfalle. Der Angriff auf Demokratie und Wohlstand – Reinbeck bei Hamburg 1996. In italiano: La trappola della globalizzazione – Raetia, 1996. I brani citati nel paragrafo provengono da questo testo, gli autori del quale sono due redattori di Der Spiegel.
(3) L’Ert, fondata nel 1983 con il sostegno determinante dell’allora Commissario Europeo all’Industria Etienne Davignon e dell’ex Ministro francese François Xavier Ortoli, , riunisce i maggiori gruppi industriali e finanziari europei, con interessi nei più diversi settori: Air Liquide, BP, Bertelsmann, British Telecom, Cofide-Cir, Ericsson, Fiat, General Electric, Lufthansa, Nestlé, Petrol Fina, Philips, Renault, Rhône-Poulenc, Siemens, Société générale du Belgique, Suez- Lyonnais des eaux, Telefonica, Volvo, … con gli italiani Romiti, Tronchetti Provera, Marzotto, De Benedetti, …. Con la Presidenza della UE di Jacques Delors (dal 1985 al 1994) e successivamente con Santer, l’ERT si è consolidato come gruppo privilegiato d’influenza, partecipando ad ogni incontro che progettasse il futuro della UE.
Le cose che dirò in questo primo paragrafo prendono spunto da:
Gérard de Selys – La scuola, grande affare del XXI secolo – Le Monde Diplomatique, 16 giugno 1998. L’autore è un giornalista belga che si batte contro la privatizzazione dell’insegnamento. Ha scritto sul tema Tableau noir, EPO, Bruxelles, 1998.
N. Hirtt – All’ombra della Tavola Rotonda degli industriali – Extrait de Cahiers d’Europe, n° 3, inverno 2000 e, in italiano, http://www.edscuola.it/archivio/famiglie/poledue.html.
N. Hirtt – L’Europa, la scuola, il profitto – http://users.skynet.be/apedù e, in italiano, http://www.edscuola.it/archivio/ped/europa_scuola_profitto.htm .
Si tratta di lavori molto importanti e di estremo interesse.
(4) ERT, Education et compétence en Europe, Etude de la Table Ronde Européenne sur l’Education et la Formation en Europe, Bruxelles, Février 1989.
(5) Commission of the European Communities, White Paper on growth, competitiveness, and employment – The challenges and ways forward into the 21st century, COM (93) 700 final, Brussels, 5 December 1993 (chapitre 3, emploi). E’ utile ricordare che gli anni che vanno dal 1989 al 1996 sono pieni di iniziative della UE per realizzare I desiderata ERT. Intanto si investono 1200 miliardi (lire) per il programma Leonardo da Vinci (Leonardo Da Vinci, programma d’azione per l’attuazione di una politica di formazione professionale della comunità europea, 1995-1999, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle comunità europee, Lussemburgo. Si veda altresì il Journal Offciel des Communautés Européennes, L 340 del 29 dicembre 1994, p. 8) e 1700 miliardi (lire) per il programma Socrates (Journal officiel des Communautés européennes, L 87 del 20 aprile 1995). Quindi si realizzano studi sull’educazione a distanza: L’educazione e la formazione a distanza, Sec (90) 479, 7 marzo 1990; Rapporto sull’insegnamento superiore aperto e a distanza nella comunità europea, Sec (91), 388 finale, 24 maggio 1991; Memorandum sull’apprendimento aperto e a distanza nella comunità europea, Com (91) 388 finale, 12 novembre 1991. Si passa infine a programmare in grande ”Creare entro la fine del 1995 centri di telelavoro per almeno 20.000 lavoratori in venti città. Si passerebbe quindi al telelavoro, entro il 1996, per il 2% dei colletti bianchi, e a 10 milioni di posti di telelavoro entro il 2000. (…) I fornitori del settore privato (…) si lanceranno sul mercato dell’insegnamento a distanza (…)” (L’Europa e la società dell’informazione planetaria, Cd-84-94- 290-IT-C, 26 maggio 1994).
(6) ERT, Une éducation européenne, Vers une société qui apprend. Un rapport de la Table Ronde des Industriels européens, Bruxelles, Février 1995.
(7) ERT, Investir dans la connaissance. L’intégration de la technologie dans l’éducation européenne, Bruxelles, Février 1997.
(8) Commission des Communautés Européennes, Livre Blanc sur l’Education et la formation. Enseigner et apprendre; vers la société cognitive, 29 novembre 1995.
(9) OCSE, Adult Learning and Technology in Oecd Countries, Paris, 1996
(10) Commissione UE, L’insegnamento a distanza nel diritto economico e nel diritto dei consumi sul mercato interno, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità Europee, Lussemburgo, 1996.
(11) OCSE, Internationalisation of Higher Education, Paris, 1996. Les Technologies de l’information et l’Avenir de l’enseignement post-secondaire, Ocse, Parigi, 1996. In quest’ultimo rapporto si dice : “Negli Stati uniti, il progetto Annenberg/Cpb collabora con i produttori in Europa, in Giappone e in Australia per la creazione di vari tipi di nuovi corsi, che dovranno essere utilizzati nel teleinsegnamento (…) Gli studenti diverranno clienti, e gli istituti di studi saranno concorrenti in lotta tra loro per ottenere quote di mercato (…). Gli istituti sono incitati a comportarsi come imprese”.
(12) Mark Murphy, Capital, class and adult education: the international political economy of lifelong learning in the European Union, Northern Illinois University, USA, 1997
(13) L’educazione e la formazione a distanza, Sec (90) 479, 7 marzo 1990.
(14) Rapporto sull’insegnamento superiore aperto e a distanza nella comunità europea, Sec(91), 388 finale, 24 maggio 1991.
(15) Susan George, Quinta colonna nella UE, Le Monde Diplomatique, gennaio 1998. Quanto sostenuto è dimostrato dal Corporate Europe Observatory di Amsterdam.
(16) J. Delors, L’Education un trésor est caché dedans, Paris 1996. In italiano: Nell’Educazione un tesoro. Rapporto all’UNESCO della Commissione Internazionale sull’Educazione per il Ventunesimo Secolo – Armando Editore, Roma 1997.
(17) UE, Libro Bianco sull’istruzione e la formazione. Insegnare ed apprendere: verso la società cognitiva. COM (95) 590 finale.
(18) http://www.ueonline.it/Focus/Istruzione/Istruzione%20permanente.pdf
(19) http://www.ueonline.it/Focus/Istruzione/istruzioneindex.htm
(20) w3.didaweb.net/ forum/getfile.php3?key=1007067178&site=dw&bn=dw_cicli
(21) http://www.edscuola.it/archivio/norme/programmi/riformas.html
(22) http://www.senato.it/dsulivo/comunicati/2002/com020326_2.htm
(23) Vedi anche il “Manifesto dei 500” (genitori, studenti ed insegnanti) su: http://manifesto500.altervista.org/. Sul progetto “Buonsenso” vedi http://www.edscuola.it/archivio/ped/buonsenso.htm. Osservo a parte che anche il quotidiano il Riformista che fa capo a D’Alema si spertica in lodi verso il ministro Moratti (http://www.ilriformista.it/documenti/editoriale.asp?id_doc=19507), un buon ministro. L’osservazione sta per tentare di capire dove si trova una qualche linea di demarcazione, se ancora ve ne è una. Per leggere pezzi d’arte bipartisan (orrenda parola di moda) si può vedere: Intervista al Prof. Roberto Maragliano sul testo presentato dalla Commissione Bertagna (http://host.uniroma3.it/laboratori/ltaonline/scritture/commissione_bertagna.htm); Bertagna, Maragliano, Dal metodo napoleonico al sistema delle autonomie, Corriere della Sera 16 dicembre 2002 (http://www.funzioniobiettivo.it/Riforme/Bertagna-Maragliano/Bertagna-Maragliano.htm); Bertagna, Maragliano, Il pendolo della maggioranze ci distruggerà, Reset, 75/2003 (http://host.uniroma3.it/laboratori/ltaonline/scritture/pendolo.html). Luisa Ribolzi (destra) e Vittorio Campione (DS) hanno iniziato la collaborazione del Buonsenso. E’ persona che usa espressioni del tipo: “investimento per la costruzione di un capitale umano da utilizzare sul mercato del lavoro”. Si veda: http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2002/10_Ottobre/21/scuola.shtml.
(24) E’ estremamente utile, a questo punto, leggere il bel lavoro di Chiara Nappi (Autonomia locale e scuole pubbliche – Sapere, Ottobre 1999) dove si traccia un quadro di grande interesse della scuola pubblica USA con la sua autonomia. Il rapporto governativo sullo stato inaccettabilmente basso sui livelli di istruzione in USA è: US National Commission on Excellence, A Nation at Risk, Government Printing Office, Washington DC, 1983 (il libro creò scalpore). Un resoconto dettagliato del livello deplorevole della scuola negli USA si può trovare in: OCSE, Education in a Glange: Oecd Indicators 1998, Paris 1998. Una storia succinta e documentata della scuola USA fino al disastro si trova al Cap. 8 di: C. Lash, La ribellione delle élite, Feltrinelli, Milano 2001. Recentemente (2002) si è varata una riforma (Education Bill: No Child Left Behind) che lega il finanziamento delle scuole pubbliche ai risultati di alcuni test valutativi annuali. Se si supera un certo valore nelle qualificazioni per alunno che poi diventa qualificazione del centro scolastico, si avranno fondi. Ciò che ancora oggi non si è chiarito è come regolarsi con i test. Se li prepara la scuola sono gratuiti ma non si immagina scuola che si bocci. Preparati in modo scientifico costano invece una media di 25 dollari per studente. Questa cifra, moltiplicata per il numero degli studenti dà 7 miliardi di dollari l’anno. Ma il finanziamento per la voce test prevede 370 milioni di dollari per il 2002.
(25) Stati Uniti: l’impresa privata all’assalto della scuola, Classe Struggle n° 26, gennaio-febbraio 2000. In questo articolo della rivista USA, si possono trovare anche dei dati sulla scuola USA.
(26) N. Klein, No Logo, Cap. IV, Baldini & Castoldi, Milano 2001.
(27) Banca Mondiale, L’educazione nel mondo che cambia, 1999. Vi sono anche critici di grande peso culturale alle posizioni dei vari organismi come WTO, Banca Mondiale, Tesoro USA, FMI, … tra questi c’è il premio Nobel per l’economia del 2001, Joseph Stiglitz, che in varie opere, tra cui La globalizzazione e i suoi oppositori, Einaudi 2003, ha sostenuto cose come le seguenti: “Così come non può funzionare il protezionismo generalizzato, anche una liberalizzazione troppo rapida del commercio genera danni. Costringere un paese in via di sviluppo ad aprire le proprie frontiere in modo indiscriminato può avere conseguenze disastrose sia sociali che economiche. È così che sono stati distrutti milioni di posti di lavoro e la povertà non solo non è stata sradicata ma, al contrario, è aumentata. … Sono dunque le regole della globalizzazione a essere sbagliate e questo accade perché gli organismi che le dettano si basano su una miscela perversa di ideologia e politica che impone soluzioni a favore degli interessi dei paesi industrializzati più avanzati.” Queste posizioni che pure non negano la globalizzazione in quanto tale e mantengono una grande fede nell’assolutismo della concezione di democrazia USA: “la globalizzazione può essere una forza positiva. Essa ha cambiato il modo di pensare della gente e ha diffuso l’ideale di democrazia e il benessere”, queste posizioni, dicevo, non incidono per ora nelle politiche neoliberiste più nefaste soprattutto verso i Paesi più poveri del mondo. Sono nettamente minoritarie come dimostra l’avanzata, che sembra inarrestabile, di tali politiche.
(28) Lamy Adresses Need for New WTO Round, 8 giugno 2000. L’intervento di Lamy si può leggere in: http://europa.eu.int/comm/commissioners/lamy/speeches_articles/spla23_en.htm I vari interventi di Lamy in qualità di Commissario UE al commercio, si possono trovare in http://europa.eu.int/comm/commissioners/lamy/speeches_articles/speech_lamy.htm
(29) Si veda Susan George e Ellen Gould, Sanità ed Istruzione consegnate alle transnazionali, Le Monde Diplomatique, Luglio 2000. Si veda: http://www.ilmanifesto.it/MondeDiplo/LeMonde-archivio/Luglio-2000/0007lm03.01.html, anche per altre vicende che vedono la UE implicata in altri scavalcamenti di normative nazionali, al fine di aderire completamente al mercato globale.
(30) Vedi nota 16a.
(31) http://www.censis.it/censis/ricerche/2002/minori/index.html
(32) http://www.edulife.it/Portal/DesktopDefault.aspx
(33) http://europa.eu.int/eur-lex/it/com/cnc/2001/com2001_0172it01.pdf e http://www.career-space.com.
(34) Il testo completo della Decisione lo si può trovare in italiano al seguente indirizzo: http://europa.eu.int/comm/education/programmes/elearning/programme_en.html. Se si vogliono ulteriori informazioni su eLearning si può andare a http://www.elearningeuropa.info/index.php?lng=5&doclng=5
(35) Vedi nota 16d.
(36) La Legge 59/97, integrata successivamente con il D.P.R. 233/8 ed il D.I. 44/01.
(37) Legge 127/97 nota come Bassanini bis (alcune norme di tale legge sono poi state fatte decadere).
(38) D.L. 59/98.
(39) Contratto Collettivo Nazionale Integrativo (C.C.N.I), comparto scuola, anni 1998-2001.
(40) Si veda il comunicato della CGIL Scuola dell’11 ottobre 2002 (Avvio trattativa valutazione dirigenti scolastici) nel quale si reclama anche per il successivo corso-concorso la clausola prevista dall’articolo 41 del C.C.N.I., quella che permette all’esaminando di portarsi l’avvocato ed il sindacalista di fiducia in sede d’esame.
(41) http://www.ei-ie.org/educ/french/fedhelsinkiselys.html « Par le nombre d’emplois qu’il procure et les importantes sommes d’argent qu’il mobilise, le secteur de l’enseignement est comparable à celui de l’automobile. C’est dire sa dimension. La production automobile des vingt-neuf pays membres de l’OCDE génère un chiffre d’affaires annuel d’environ 1.286 milliards de dollars et emploie près de cinq millions de travailleurs. Les mêmes pays membres de l’OCDE consacrent annuellement mille milliards de dollars au financement de leur enseignement qui occupe près de dix millions d’enseignants. Si l’on supprime la moitié des quatre millions de professeurs que comptent les quinze pays de l’Union européenne, sachant que leurs salaires constituent plus de quatre-vingt pour cent des dépenses d’enseignement, ce sont des milliers de milliards de francs qui sont disponibles pour la guerre concurrentielle! »
(42) L’Espresso n° 18 del 6 maggio 2004, pag. 198.
(43) Il corpo principale delle leggi riguardanti la scuola, nella gestione Berlinguer, sono:
DM 765/97; CM 766/97 ( Sperimentazione dell’autonomia organizzativa e didattica delle istituzioni scolastiche)
CM 239/98 (Sperimentazione piani offerta formativa)
Dir.238/98 (Finanziamento piani offerta formativa)
DPR 275/99 (Regolamento sull’autonomia)
DM 179/99 (Sperimentazione dell’Autonomia Scolastica – A.S. 1999-2000)
Lett. Cir. 194/99 (Finanziamento realizzazione della sperimentazione del POF) D. L.vo 258/99 (Riordino del Centro Europeo dell’Educazione e della Biblioteca di Documentazione Pedagogica)
Legge n. 30 del 10/2/2000 (Legge – quadro sul riordino dei cicli scolastici)
Dlgs 112/98 (Conferimento di funzione e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli Enti Locali)
Dlgs 59/98 (Disciplina della qualifica dirigenziale dei Capi di Istituto sulle istituzioni scolastiche autonome)
CM 461/98 (Corsi di formazione per il conferimento della qualifica dirigenziale ai Capi di Istituto) DPR 233/98 (Regolamento recante norme per il dimensionamento ottimale delle istituzioni scolastiche) Legge n. 62 del 10/3/2000 (Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione)
Legge 124/99 (Disposizioni urgenti in materia di personale didattico)
OM 153/99 (Abilitazione riservata)
OM 247/99 (Abilitazione riservata Accademie e Conservatori)
OM 33/00 (Riapertura termini abilitazioni riservate) Direttiva 307/97 (Comitato per valutare il prodotto educativo)
Relazione valutazione (Relazione conclusiva della Commissione tecnico-scientifica) DPR 249 del 24.6.98 (Regolamento recante lo statuto delle studentesse e studenti nella scuola secondaria)
Legge 425/97 (Disposizioni per la riforma degli esami di Stato)
DPR n. 323/98 (Regolamento esami)
DM. 518/99 (Nomina e formazione delle commissioni)
DM. 519/99 (Modalità di svolgimento della prima e seconda prova scritta)
DM. 520/99 (Caratteristiche generali della terza prova scritta)
OM 31/00 (Istruzioni e modalità organizzative ed operative svolgimento esami) DM 24/2/00 (Crediti formativi)
Art.68 della Legge 144/99 (Obbligo di frequenza di attività formative)
Sintesi commissione (I contenuti essenziali per la formazione di base)
Sintesi Maragliano (Sintesi dei lavori della Commissione)
DM 50/97 (Commissione Tecnico-Scientifica per le proposte di riforma della scuola)
DM 84/97 ( Modifiche ed integrazioni alla Commissione Tecnico-Scientifica)
(44) E. D. Hirsch (The Schools We Need, 1996) ha messo in luce le gravissime responsabilità delle teorie pedagogiche “progressiste” nel generale collasso dell’istruzione, nella perdita di quei saperi culturali di base il cui possesso è sola garanzia di una autentica uguaglianza tra cittadini. L’osservatore esterno resta davvero sorpreso dal fatto che questa pedagogia si pone ormai come l’unica scienza umana che evita di sottoporsi a critica ed assurge a disciplina guida nella trasmissione e comunicazione del sapere e della cultura. Insistono su computer e su reti telematiche perché i loro orizzonti si fermano fin dove il mercato fa capire loro (non hanno autonomia di giudizio). Questa loro full-immersion si dovrà scontrare con la rapida obsolescenza di questi sistemi e MEZZI. Ma costoro ci ossessionano giornalmente con cose orecchiate e mai capite: interattività, multimedialità, comunicazione pluridirezionale, costruzione di percorsi individuali, … Infatti, se avessero capito qualcosa, dovrebbero chiedersi quantomeno qual è l’oggetto della comunicazione. Di esso, dei contenuti, non si parla mai (in proposito si può vedere G. Ferroni, La scuola sospesa, Einaudi 1997, ed anche M. Bontempelli , L’agonia della scuola italiana, CRT, Pistoia 2000).
(45) http://www.cgilscuola.it/riforme/luciano/sinmarag.htm. Roberto Maragliano è noto per una intervista a l’Unità nella quale sosteneva: “Il videogioco è la più grande rivoluzione epistemologica di questo secolo. Ti dà una scioltezza, una densità, una percezione delle situazioni e delle operazioni che puoi fare al loro interno che permette di esaltare dimensioni dell’intelligenza e dello stare al mondo finora sacrificate alla cultura astratta”. ….. (all’intervistatore che obietta, Maragliano risponde stizzito) “Lei preferisce che un pilota d’aereo abbia fatto videogiochi o che abbia letto la Divina Commedia?” (intervista a l’Unità, 5 febbraio 1997).
(46) http://www.agesc.it/Liberal.htm
(47) Confindustria – Verso la scuola del 2000 – Documenti Confindustria, 1998.
(48) I risultati di varie indagini PISA si trovano in http://www.pisa.oecd.org/knowledge/summary/a.htm. (P.I.S.A.: Programme for International Student Assessment; OCDE: Organisation for Economic Cooperation and Development; TIMMS: Third Internationale Mathematics and Scienze Study; IEA: International Association for the Evaluation of Educational Achievement).
(49) Confindustria – Legge quadro in materia di riordino dei cicli dell’istruzione. Il parere di Confindustria – Documenti Confindustria, 1999. Si veda anche l’intervista di Attilio Oliva (responsabile Confindustria per l’Educazione) a R. Bassoli (Espresso, 17 febbraio 2000).
(50) Presidente: Umberto Agnelli. Presidente Esecutivo: Attilio Oliva. Chairman del Forum degli esperti: Thomas J. Alexander, per dieci anni massimo responsabile dell’OCSE per Education e Sanità. Associati o come esperti o come personalità eminenti: F. Confalonieri, G.C. Lombardi, L. Maramotti, P. Marzotto, L. Abete, G. Alpa, D. Antiseri*, F. Butera, C. Callieri*, A. Casali, L. Caselli, S. Cassese, E. Catania, A. Cavalli, I. Cipolletta, C. Dell’Aringa*, E. De Maio, T. De Mauro*, G. De Rita*, U. Eco, M. Lodi, R. Maragliano, L. Modica*, L. Mondadori, A. Panebianco*, C. Pontecorvo*, S. Romano, R. Simone, D. Siniscalco, M. Tangheroni*, G. Varchetta, U. Veronesi ,G. Anselmi, E. Auci, G. Barilla, L. Berlinguer, F. De Bortoli, A. Di Rosa, G. Ferrara, D. Fisichella, F. Frattini, L. Ghisani, L. Guasti, E. Mauro, M. Mauro, G. Nieri, A. Ranieri, G. Rembado, C. Rossella, F. Roversi Monaco, M. Sorgi, G. Trainito, B. Vertecchi, V. Zani.
*membri del Comitato Operativo.
(51) http://www.fisicamente.net/treelle_quaderno01.pdf ; http://www.fisicamente.net/treelle_quaderno02.pdf; http://www.fisicamente.net/treelle_quaderno03.pdf.
(52) VOI (Austria), DA (Danimarca), MEDEF (Francia), BDA (Germania), CONFINDUSTRIA (Italia), VNO-NCW (Paesi Bassi), CBI (Regno Unito) – Per una scuola di qualità – Documenti Confindustria, 2000.
(53)http://www.confindustria.it/AreeAtt/DocUfPub.nsf/0/b04c993eb1e59bbec1256acb0050015c?OpenDocument
(54) http://www.fisicamente.net/index-439.htm
(55) http://www.confindustria.it/DBImg2002.nsf/HTMLPages/Mappa
(56) http://www.confindustria.abruzzo.it/scuola+impresa.doc
(57) Présidence du Conseil européen, Emploi- réformes économiques et cohésion sociale – pour une Europe de l´innovation et de la connaissance, 23 et 24 mars 2000.
Présidence du Conseil européen , Conclusions de le Présidence, Conseil européen des 24 et 24 mars 2000 à Lisbonne.
(58) http://europa.eu.int/eur-lex/it/com/cnc/2003/com2003_0685it01.pdf
(59) http://ue.eu.int/newsroom/related.asp?BID=75&GRP=4280&LANG=1
(60) http://www.italconsulnyc.org/Ufficio_studenti_per_approfondire.htm
(61) Dice la Commissione UE: “I sistemi più decentralizzati sono quelli più flessibili, che si adattano più in fretta e permettono di sviluppare nuove forme di partenariato”, CCE 1995.
BIBLIOGRAFIA
Riporto una bibliografia minima di testi non altrove citati che possono essere utili:
1) Jean Claude Michéa – L’ensegneiment de l’ignorance – Ėditions Climats, 1999.
2) Guy Debord –Commentaires sur la societé du spectacle – Ėditions Gérard Lebovici, 1988.
3) Susan George – Fermiamo il WTO – Feltrinelli, 2002.
4) AA.VV. – Manifesto Laico – Laterza, 1999.
5) Luciano Gallino – Globalizzazione e disuguaglianze – Laterza, 2000.
6) Christopher Lash – The Culture of Narcissism – W.W. Norton & Co., Inc. 1991.
7) G. Bocchi, M. Ceruti – Educazione e globalizzazione – Raffaello Cortina, 2004 (cito questo libro per completezza ma si tratta di uno dei libri costruiti per addestrare alla scuola della Moratti, cioè inutile. Il capostipite di questo tipo di testi è Edgar Morin – I sette saperi necessari all’educazione del futuro – Raffaello Cortina, 2001).