La Polonia da uno schiaffo a Bruxelles: non vuole più l’euro. L’Europa dell’austerity non è più una meta
Vittoria Patanè Forexinfo
La Polonia è stata chiara: niente euro prima del 2015. “Dobbiamo valutare costi e benefici” ha detto il Presidente polacco Bronisław Komorowski.
E ad onor del vero, allo stato attuale dei fatti, chi si sente di dargli torto? L’Europa di oggi non è più una meta da raggiungere, un conglomerato di Paesi in cui entrare per non rimanere tagliati fuori dal mondo.
Anzi, sta diventando sempre più probabile che la tanto agognata Eurozona fra qualche anno non esista più, uccisa dalla crisi e da politiche errate che anziché far ripartire l’economia la stanno strozzando in una morsa assassina.
La piccola Polonia ha paura di diventare presto un’altra delle vittime di questa situazione che non accenna a fermarsi. Come la Slovenia, entrata nell’euro solo nel 2004 e già, dopo nove anni di battaglie e di Governi incapaci di far fronte ai problemi, in pericolo default.
E allora andiamo a vedere quali sono i timori e i perché che hanno spinto la Polonia a prendere questa decisione.
Le radici della decisione
“Perché dobbiamo adottare l’euro adesso? Non c’è alcuna fretta. È chiaro, nonché importante e fondamentale, che ci sia un ampio sostegno pubblico. Bisogna convincere il popolo polacco che l’adesione all’euro è una buona cosa per il Paese.
Queste le parole pronunciate da Bronisław Komorowski alcuni giorni fa. Parole che faranno storcere il naso ai vertici di Bruxelles che, al contrario, vorrebbero che il Paese polacco accelerasse i tempi.
La decisione era già nell’aria. Già un anno fa, nel pieno della crisi, il Ministro delle Finanze Jacek Rostowski aveva palesato i primi dubbi sulla questione, dubbi che oggi vengono confermati dal Presidente Komorowski.
Solo dopo un’attenta valutazione di costi e benefici, ma anche, dopo le elezioni politiche e presidenziali che si svolgeranno fra due anni, la Polonia farà una scelta sul proprio futuro.
Anche il Premier Donald Tusk è intervenuto dicendo il suo parere sull’argomento:
“Solo così la Polonia potrà avere tutti gli elementi che gli permetteranno di scegliere la migliore opzione, al fine di garantire la sicurezza dell’economia polacca e mantenere la propria competitività, anche dopo l’entrata nell’eurozona”.
I dubbi polacchi
Il PIL polacco è cresciuto del 4,3% nel 2011 e del 2% nel 2012; i conti pubblici sono equilibrati, con un rapporto deficit/Pil del 3,4%, in calo rispetto agli anni passati (ricordiamo che la soglia fissata dal Fiscal Compact è del 3%). Ma cosa ancora più importante: la Polonia non ha subito il contagio della crisi che ha afflitto l’intera Eurozona.
E allora perché entrare nell’euro?
“Il più grande timore percepito è quello di un peggioramento delle condizioni economiche e di una più elevata vulnerabilità. Non sempre l’euro è visto come un’opportunità, specie in periodi di estrema sofferenza come questi.”
Queste le parole che si leggono in uno studio di PKO Bank, la più importante banca del Paese.
Del resto, neanche i cittadini polacchi sembrano troppo convinti. Secondo lo stesso studio, solo il 41% della popolazione vorrebbe l’euro al posto dello zloty.
La situazione europea
Le elezioni italiane sembrano aver dato il colpo di grazia all’Europa. Da ogni parte del mondo arrivano condanne a quell’austerity che fino a pochi giorni fa sembrava la soluzione ai problemi del continente.
L’Eurozona pare sull’orlo del precipizio e i dissidi interni si acuiscono sempre di più.
La Germania contro tutti. I vertici tedeschi sembrano ormai gli unici a credere che austerity e rigore possano davvero risolvere qualcosa.
E allora, in una situazione del genere, siamo sicuri che quella della Polonia non sia una scelta lungimirante?
Certo che i “conti sono a posto”! Così i beoti pensano che vada tutto bene. Ma le partite correnti della Polonia parlano chiaro: la sua “credibilità” (aggancio all’euro) ha già innescato afflusso di capitali stranieri e ha già segnato il suo destino di bancarotta. Per evitarlo, farebbero bene a svalutare subito.
Sono i capitali stranieri che han drogato l’economia facendola crescere, ma è una crescita innaturale, destinata a saltare in aria.
La Polonia sente puzza di fregatura, ma ancora non ha capito come funziona il trappolone. Temo per lei che questo non la salverà.
Ugo, osservazione importante.
Aggiungo che la Polonia è uno stato con deroga e ai sensi dell’art. 142 del TUE”Ogni stato membro con deroga considera la propria politica del cambio come un problema di interesse comune”; e ai sensi dell’art. 141, fintanto che vi sono Stati membri con deroga la BCE sorveglia il funzionamento del meccanismo di cambio”. Né esistono possibilità di bloccare, rallentare o regolare il deflusso, in ragione del principio di libera circolazione dei capitali. Esiste invero la possibilità di ricorrere all’art, 143 “In caso di difficoltà o di grave minaccia di difficoltà nella bilancia dei pagamenti di uno Stato Membro con deroga”, che tuttavia implica un accordo tra stato e Commissione. Mentre l’art. 144 prevede l’ipotesi di “un’improvvisa crisi nella bilancia dei pagamenti e qualora non intervenga una decisione ai sensi dell’art. 143, comma 2”. In tal caso possono essere prese “misure di salvaguardia necessarie”. Ma la libertà è minima, perché non ci si può sottrarre ai principi: le misure “devono provocare il minimo turbamento possibile nel funzionamento del mercato interno e non andare oltre la portata strettamente indispensabile a ovviare alle difficoltà impreviste manifestate”. E il giudice si trova a bruxelles.
Insomma, qualche cosa possono fare, sia perché non hanno ‘euro; sia perché possono avvalersi della disciplina degli stati con deroga. Sarebbe un bene che gli stati con deroga si facessero coraggio e cominciassero ad avvalersi di questa disciplina..
Grazie per i riferimenti legislativi.
Temo però che il problema sia più banale: non c’è consapevolezza di quale sia il problema.
Basti pensare che la Lettonia, che ha appena votato l’ingresso definitivo, si sente sicura per i propri risultati economici (debito pubblico basso, PIL in crescita) e esprime timori solo a causa dei paesi mediterranei, che non si sa bene come potrebbero trascinarla in crisi.
Incredibile come non si renda conto invece che il problema ce l’ha in casa, si chiamano capitali esteri in ingresso (o debito privato estero fate uin pò voi), che sono già arrivati copiosi e aspettano solo di arrivare al punto di rottura per innescare la crisi, che poi si scaricherà sul loro debito pubblico.
E’ un film già visto molte volte con titoli diversi: Grecia, Irlanda, Spagna, Portogalli, Cipro, … ma sembra che i politici europei non imparino mai.
Ugo,
non mi è chiaro se tu dici che il problema è l’eccessivo afflusso – e io sono d’accordo, avendo scritto già quattro afrticoli per ricostruire la disciplina della circolazione dei capitali nella prima repubblica – o il repentino deflusso, come normalmente si sostiene. Ora, in Polonia i capitali sono già arrivati (ma non conosco i dati della bilancia dei pagamenti), probabilmente in maniera smodata come sostieni tu. Ma a questo punto il rischio è di un repentino deflusso. O no?
Beh, non per fare il pignolo, ma quando scrivo “il problema ce l’ha in casa, si chiamano capitali esteri in ingresso ” mi pare chiaro che il problema è stato l’AFFLUSSO (=ingresso).
Per la cronaca, i dati li trovi qui:
http://www.tradingeconomics.com/poland/current-account-to-gdp
Il rischio ora è il deflusso, certo.
L’unica possibilità di salvezza per me è abbandonare la banda di oscillazione ristretta dall’euro che hanno evidentemente adottato: nell’ultimo anno la variazione è +/- 5%:
http://www.xe.com/currencycharts/?from=EUR&to=PLN&view=1Y
E’ chiaro che questa fissazione di cambio ha MOLTO a che fare con partite correnti negative e persistenti.
Svalutassero senza preavvisi, i capitali avranno meno fretta di levare le tende.
Anche se, come dicevo, la frittata in parte è già stata fatta, si tratta solo di arrestarla o aggravarla.