Si è chiusa la campagna per le elezioni regionali del Lazio: un resoconto

di STEFANO D’ANDREA

Chiusa la campagna elettorale per le elezioni regionali del Lazio, è utile una riflessione su obiettivi e risultati.

Intanto abbiamo scelto un nome, per questa elezione regionale e per le svariate altre alle quali parteciperemo negli anni 2018-2020, “Riconquistare l’Italia”, in luogo di altri per i quali avremmo potuto optare e in luogo del nome del nostro partito. Ebbene, per quanto mi risulti e sebbene abbia cercato di assumere informazioni, nessuno dei nostri amici e conoscenti, parlo dei non iscritti al FSI, ha criticato il nome che abbiamo scelto e molti sono stati i giudizi positivi sul nome prescelto o sulle sue capacità di incuriosire chi si imbatta in esso. Una scelta indovinata, dunque.

In secondo luogo abbiamo scelto di tentare di raccogliere le firme per candidarci soltanto tre mesi prima delle elezioni. Sapevamo di non essere presenti nella provincia di Frosinone, dove non avevamo militanti; ed eravamo consapevoli che le firme necessarie per candidarci nella provincia di Latina erano troppe (1751 almeno) per le nostre forze (4 militanti in tutto). Tuttavia, nelle province di Rieti, Viterbo e Roma, pur potendo contare soltanto su circa 40 persone, abbiamo raccolto quasi 5000 firme e siamo riusciti a candidarci, visto che la legge richiede la presenza delle liste in almeno la metà delle circoscrizioni provinciali.  Anche la scelta di candidarci è stata una decisione opportuna, dunque. Sia perché abbiamo accumulato una rilevante esperienza nella raccolta delle firme, esperienza della quale ci gioveremo in seguito, sia perché, essendo riusciti nell’intento, abbiamo potuto farci conoscere da una parte dell’elettorato del Lazio.

Il programma, che non ha ricevuto critiche, è stato scritto, in 4-5 giorni, da poco più di una decina di associati, e sistemato e coordinato, in due o tre giorni, da un paio di essi. Avere associati di valore, capaci di realizzare un simile miracolo, consente di compiere azioni che altrimenti non sarebbero nemmeno proponibili, almeno nei tempi stretti che spesso si hanno a disposizione. Il programma scritto per il Lazio costituirà un’utilissima traccia per i programmi che dovremo scrivere in occasione delle molte altre elezioni regionali alle quali parteciperemo nel triennio 2018-2020.

Era poi nostro compito scegliere un candidato alla presidenza della Regione, che avrebbe partecipato a molte trasmissioni televisive e radiofoniche e presenziato ad iniziative organizzate nella vita reale. Il candidato, non soltanto avrebbe dovuto possedere in profondità i principi politico-giuridici ed economici del nostro partito ma doveva anche avere la capacità di esprimerli, con rapidità e chiarezza televisive e radiofoniche. Abbiamo scelto Stefano Rosati, e la scelta, per giudizio unanime dei soci, dei simpatizzanti e degli amici e parenti laziali che ci hanno riferito, è stata molto indovinata. In tutte le occasioni, infatti, Stefano ha risposto brillantemente e con prontezza, anche sottraendosi a trabocchetti tesi da alcuni giornalisti.

I candidati alla carica di consigliere regionale (quelli reali,  a parte i riempi-lista necessari per rispettare le quote rosa, erano soltanto 25!) hanno fatto ciò che hanno potuto, sulla rete e nella vita reale, sovente cercando spazi nelle pagine online delle province, ovviamente più a Rieti e Viterbo che a Roma, dove non esiste una stampa online seguita come avviene nelle piccole province. E quando sono stati chiamati ad apparire in TV, hanno mostrato intelligenza e chiarezza di idee: l’emozione talvolta tradita ha certamente suscitato la simpatia delle persone intelligenti, che sono quelle che per il momento ci interessano, piuttosto che il sospetto.

In definitiva, abbiamo indovinato tutte le scelte e abbiamo reso il massimo rispetto a quanto potevamo astrattamente rendere. Fare sempre le scelte giuste – poche ma giuste – e rendere al massimo è indispensabile per chi, come noi, si è posto, sia pure con umiltà, un obiettivo molto ambizioso.

Stando così le cose, possiamo essere certi che prenderemo tutti i voti (di simpatia o ideologici) che, indovinando tutto e rendendo al massimo,  potevamo ricevere. Se saranno pochissimi o pochi o non proprio pochi, nessuno può saperlo. Simpatia e stima in chi ci ha conosciuto – a naso tra un settimo e un sesto, massimo un quinto dell’elettorato, considerata la concomitanza delle elezioni politiche – le abbiamo suscitate. In quale misura esse si trasformino in voti, a causa dell’ostacolo costituito dal dogma del voto utile, secondo il quale non si vota chi si stima  ma  chi può vincere o chi può impedire che vinca il partito odiato (che è dogma dell’utile idiota, dogma sconosciuto nella prima Repubblica ma massivamente introiettato dal pubblico nella seconda), non possiamo sapere.

Già oggi, quindi, possiamo dire con certezza che abbiamo soltanto ragioni per essere contentissimi e che contentissimi dovremo comunque essere quando lunedì conosceremo l’esito del voto.

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