Uscire dall'euro – se ne parla sempre di più
Riprendo qui un post di Marino Badiale pubblicato su main-stream.it
I dubbi sulla permanenza nell’euro si stanno diffondendo nell’intero arco sociale e culturale del paese, e anche sui media mainstream aumentano le critiche alla moneta unica e si rinforza l’idea di ritornare alla moneta nazionale.
Sfogliando alcuni quotidiani di questi giorni, ci siamo imbattuti nei seguenti articoli:
1. Sul Manifesto del 24 luglio un articolo a firma di “Pitagora” parla della “fine di una moneta” e spiega che, “in assenza di un piano di convergenza verso un’unione istituzionale ed economica, la moneta unica costituisce un insuperabile fattore di rigidità.” Il concetto è ribadito da Sergio Cesaratto, sempre sul Manifesto, il giorno successivo, con un articolo chiarissimo fin dal titolo.
2. Sul Fatto Quotidiano del 24 luglio, un articolo a firma di “Superbonus” (“Il bivio tra lira e Fondo Monetario”: purtroppo non sono riuscito a recuperarlo in rete) analizza la gravità della situazione e conclude che “L’Italia si potrebbe trovare prestissimo al bivio fra il baratro di un’espropriazione di sovranità sulla propria politica economica e la riaffermazione di un’indipendenza, in extremis anche valutaria. Entrambe le strade sono difficili, ma almeno la seconda ci lascerebbe artefici del nostro destino senza dover sottostare a poteri esterni”
3. Paolo Savona e Michele Fratianni, in una lettera al Corriere della Sera (24 luglio), spiegano quali condizioni sia necessario realizzare per evitare il tracollo dell’euro, e sostengono che, se tali condizioni non vengono realizzate, gli italiani dovrebbero esprimersi tramite referendum sulla permanenza nell’euro.
4. Federico Fubini, nell’editoriale del Corriere della Sera, sempre del 24 luglio, argomenta che la BCE dovrebbe poter agire impegnandosi “in una campagna di creazione di moneta e acquisti massicci di titoli di Stato”. Ma questa, che è la strada scelta dalle Banche centrali di paesi come USA, Inghilterra e Giappone, è difficile per la BCE, perché non c’è dietro ad essa una nazione coesa.
5. Giorgio La Malfa, sul Sole 24 ore del 25 luglio, sostiene che “l’euro è condannato” e che è ora di cominciare a pensare ad una “via di uscita ordinata dalla moneta unica”.
6. Fabrizio Massaro, sul Corriere della sera del 25 luglio, sostiene che ormai i “mercati” considerano superata l’esperienza dell’euro. Qualcosa di simile lo dice Joseph Halevi, in un articolo sul Manifesto di oggi 26 luglio. Secondo Halevi, che cita il governatore della Banque de France Christian Noyer, i tassi di interesse decisi dalla BCE non si propagano ai vari paesi, perché per i mercati quello che conta sono i tassi di interesse che paga ciascuno Stato per il proprio finanziamento. In sostanza ciò significa che “la Bce non riesce più a dirigere la politica monetaria dell’eurozona” e che “il sistema monetario europeo non è dunque più tale”.
7. Vittorio Feltri sul Giornale del 26 luglio, Alessio Pisanò sul Fatto Quotidiano del 5 luglio, e il corposo studio cui fanno riferimento sia Feltri sia Pisanò.
Se mettiamo assieme tutte queste osservazioni appare evidente come la strada che i governi europei hanno scelto (devastanti misure di austerità per salvare l’euro) sia solo un vicolo cieco. Coloro che, fra gli autori sopra esaminati, ritengono ancora possibile la permanenza nell’eurozona, sono costretti a porre una serie di condizioni praticamente impossibili da realizzare nel breve e medio periodo (quanto tempo ci vorrà perché l’eurozona diventi “una nazione coesa”?).
Il moltiplicarsi di interventi di questo tipo sta probabilmente a indicare che di tutto ciò si comincia a prendere coscienza anche ai “piani alti“.
Se le forze anticapitaliste avessero fatto proprio per tempo il tema dell’uscita dall’euro, avrebbero avuto l’occasione di impostare una battaglia politica dalle grandi possibilità. Anche se probabilmente adesso è già troppo tardi, speriamo ancora che cresca la consapevolezza che le forme istituzionali che il capitalismo ha assunto in Europa si chiamano “euro” ed “Unione Europea”, e come tali sono loro i nemici da combattere da chi voglia cambiare lo stato di cose esistente. Se l’occasione andrà perduta, l’uscita dall’euro verrà gestita da qualche frazione degli attuali ceti dirigenti (che, come abbiamo visto, si stanno già preparando): ma essi ovviamente faranno ricadere sui ceti popolari le difficoltà che l’uscita creerà, e terranno per sé i vantaggi.
C’è un’intervista di Byoblu a Claudio Borghi, economista docente dell’Università Cattolica di Milano, è molto interessante…
COME SI ESCE DALL’EURO?