Il sovranismo
di Fiorenzo Fraioli, da ecodellarete
Un contributo alla comprensione del sovranismo dalle sperdute lande ciociare…
Il sovranismo è un pensiero politico che nasce come reazione al globalismo. Il globalismo è la forma contemporanea del liberismo. Esistono almeno due declinazioni diverse del globalismo, quella anglosassone e quella eurota. Sono entrambe antidemocratiche, ma si distinguono perché la prima è egemone e imperialista, mentre la seconda aspira a diventare egemone e imperialista. La strategia anglosassone poggia sul dominio militare e sul fatto che il dollaro è la moneta di riferimento per gli scambi internazionali. Per questa ragione la politica monetaria del conglomerato anglosassone è basata sul deficit: affinché il dollaro resti la moneta di riferimento negli scambi internazionali è necessario che sia abbondante. La sua vera forza, infatti, poggia sul predominio incontrastato del complesso militare-industriale degli Stati Uniti.
Il conglomerato eurota sta sfidando il predominio anglosassone con una strategia il cui fine ultimo è quello di affiancare, e poi sostituire, il dollaro con l'euro come moneta di riferimento negli scambi internazionali. Non potendo contare sulla supremazia militare, il conglomerato eurota sta giocando la carta del collasso inflazionistico del conglomerato anglosassone, strutturandosi come una fortezza monetaria. La "fortezza Europa".
L'obiettivo della "fortezza Europa" è quello di costruire un'area geopolitica ad altissima competitività e bassa inflazione, nella quale siano comprese regioni capaci di produzioni ad altissima tecnologia e altre destinate a fornire mano d'opera a prezzi competitivi, tutte sottoposte al controllo di un unico vertice politico sottratto al controllo democratico dal basso. La "fortezza Europa": bassa inflazione e (necessariamente) alta disoccupazione… il paradiso di Von Hayek.
Poiché il sovranismo ha come obiettivo prioritario la distruzione del progetto "fortezza Europa", esso appare ad alcuni come il naturale alleato del conglomerato anglosassone, suscitando pertanto la diffidenza di quanti, per tutta la loro vita, lo hanno combattuto. Costoro, pur non dichiarandolo esplicitamente, ritengono che il nemico principale resti pur sempre il conglomerato anglosassone, ripromettendosi di condurre una battaglia dall'interno per la democratizzazione del progetto "fortezza Europa", senza tuttavia scardinarlo. I nemici del conglomerato anglosassone appartengono sia alla cosiddetta tradizione "di sinistra" che a quella "di destra". I primi hanno nel cuore l'URSS di Stalin, i secondi l'asse Roma-Berlino in lotta contro le plutocrazie giudaico-massoniche. Né gli uni, né gli altri, sono in realtà sovranisti, sebbene tentino, in ogni modo, di infiltrarlo.
Il sovranismo è altra cosa rispetto a costoro. Il sovranismo ha un solo vero nemico: il globalismo, in ogni sua forma e declinazione! E ciò per una ben precisa ragione: il globalismo è una minaccia letale per quella che è la più grande conquista della civiltà: la democrazia. Per essere più precisi, la possibilità della democrazia. Per noi sovranisti, infatti, esistono delle condizioni necessarie, sebbene non sufficienti, affinché la democrazia possa esistere. La prima di queste è l'esistenza del soggetto che la esercita, soggetto che ci piace denotare con il termine, necessariamente generico, di "popolo". Non è un caso che i nostri avversari ci definiscano "populisti", un termine che accettiamo in pieno e del quale andiamo orgogliosi: noi sovranisti siamo populisti!
Un "popolo" è una comunità di eguali, non nel senso di "esseri identici" da ogni punto di vista, ma in quello di collettività che si riconosce in un ampio ambito di valori e interessi concreti condivisi, pur nella diversità delle condizioni dei singoli. Questa collettività ha radici nella storia, non nella razza o nella geografia. La storia crea e distrugge i popoli, dunque nessun popolo è eterno (con sommo scorno per quei popoli che credono di esserlo, magari perché "figli prediletti di Dio"… ma questa è un'altra storia). Tuttavia, in ogni momento della storia, dunque nel nostro presente, i popoli esistono, quali che siano i drammi e le tragedie che li hanno fatti nascere. Paradossalmente, se il folle tentativo degli euroti riuscisse a sopravvivere ai disastri che verranno se non riusciremo a fermarli, perfino da questa immane tragedia potrebbe nascere un nuovo popolo europeo, quello che oggi, sia ben chiaro, non esiste.
In effetti il sogno di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, autori del Manifesto di Ventotene, era esattamente quello di far nascere, dal sangue della seconda guerra mondiale, un'identità europea. Questo sogno, però, è stato strumentalizzato e usato dalle élites economiche e politiche europee come cavallo di troia per la promozione di un progetto oligarchico e imperialista, cucito su misura sui loro interessi e funzionale alla loro battaglia contro l'imperialismo del conglomerato anglosassone: imperialismo eurota contro imperialismo anglosassone.
Il sovranismo, dunque, è quel pensiero politico che intende preservare la condizione necessaria, sebbene non sufficiente, affinché la democrazia, che è il massimo prodotto della civiltà politica di ogni tempo, possa esistere: l'identità dei popoli nella realtà storica concreta. Solo laddove esiste un "popolo" la democrazia può (forse) germogliare, pianta preziosa quanto delicata, sempre minacciata, in ogni tempo, dagli imperialismi.
Questo significa che non sono mai esistiti "imperi abbastanza democratici", tali che, in un bilancio dei vantaggi e degli svantaggi, essi risultini accettabili? Un'affermazione di questo genere sarebbe imprecisa, poiché sappiamo tutti che non mancano, nella storia, esempi di imperi che sono stati capaci di conciliare gli interessi confliggenti dei popoli sottomessi. Senza voler andare troppo lontano citando esempi estranei alla civiltà occidentale, ci basta ricordare il meraviglioso equilibrio che (per quei tempi) seppe raggiungere l'impero romano nel periodo degli antonini. Si tratta, allora, di capire se la costruzione eurota abbia caratteristiche tali da renderla accettabile, cioè se lo scambio tra democrazia e buon funzionamento del sistema politico che le élites eurote hanno concepito sia così favorevole da renderlo tollerabile, oppure se ciò debba essere totalmente respinto. In particolare, è necessario andare oltre la contingenza della crisi in corso, per capire se, a dispetto di questa, l'orizzonte che si prospetta sia sostanzialmente positivo oppure tragico.
Un aspetto importante, del quale si deve tener conto, è il fatto che il progetto eurota è stato a lungo incontrastato. Questo significa, al di là del fatto che poche e minoritarie voci si siano fin da subito levate contro di esso, che esiste un "sentimento europeo" non pregiudizialmente ostile alla possibilità che i popoli europei riescano a convergere all'interno di un'unione politica. E' stato solo con la crisi che il movimento sovranista ha preso piede, catturando l'attenzione di un numero crescente di cittadini dei popoli europei. Quello che subito è apparso chiaro, ed è questa la ragione vera e profonda dell'inarrestabile marcia del sovranismo, è che il progetto eurota è l'esatto contrario di quello che, ingenuamente, il sentimento popolare aveva inteso. La sorpresa è stata enorme.
Abbiamo scoperto che dietro le belle parole e la propaganda si celava un piano classista, oligarchico e antidemocratico, di natura tale da non essere emendabile. Abbiamo anche capito che la determinazione delle élites eurote nel perseguire questo progetto è tale da giungere alla menzogna aperta, e che esse sono disposte a passare sopra qualsiasi tragedia e a qualsiasi prezzo per le popolazioni. I popoli europei, per primi quelli dei paesi periferici, ma presto, e inevitabilmente, anche quelli dei paesi "core", si stanno mobilitando, scegliendo come bandiera il sovranismo, cioè l'idea che la condizione necessaria (ma non sufficiente: repetita iuvant) per la democrazia è l'esistenza del soggetto che la pratica: il popolo.
D'altra parte anche l'esempio che abbiamo citato, l'impero romano nell'età degli antonini, testimonia a favore di questa tesi. In quel periodo, infatti, quello che chiamiamo "impero romano" si riorganizzò nella forma di una confederazione di popoli, soluzione alla quale giunse, con molta intelligenza, l'aristocrazia senatorile italica davanti all'evidenza del fatto che la sola forza delle armi non era in grado di sorreggere l'immensa costruzione realizzata con il sangue dagli eserciti della Repubblica. Vi prego di soppesare con attenzione le due espressioni che ho usato: "eserciti della Repubblica" e "aristocrazia senatorile italica". Fu una repubblica, infatti, quella che conquistò l'intera Europa, e fu la sapienza politica delle "classi senatorili italiche" che seppe mantenere tali conquiste realizzando, per due secoli, un'unione europea che, ancora oggi, dopo due millenni, affascina e seduce il cuore e la mente di tutti! Ebbene quel mito, fondato sulla forza espansiva di una repubblica e gestito da una élite intelligente e concreta (guarda caso italiana) è stato usato per un progetto di natura assolutamente imperiale e antidemocratico.
In definitiva, e per essere assolutamente chiari ed espliciti, il movimento sovranista pone al vertice dei suoi valori la democrazia, intesa come prassi realistica, e identifica una condizione necessaria (sebbene non sufficiente) affinché la democrazia possa sussistere: l'esistenza di un soggetto che la pratichi, denotato con il termine "popolo". Ne consegue che ogni ipotesi di cessione di sovranità da parte dei popoli nei confronti di organismi sovraordinati non può che avvenire o attraverso la formazione, nel travaglio degli eventi storici, di una nuova identità, oppure per mezzo di un processo confederativo; anche guidato da una forza egemone, ma con intelligenza politica e una effettiva volontà di realizzare una paritetica e democratica condivisione della sovranità. Né il primo, né il secondo di questi scenari descrive il processo di unificazione europeo per come esso si è svolto. Per questa ragione, nell'agenda politica attuale dei sovranisti c'è il ripudio, senza se e senza ma, dei trattati europei!
Non può essere un piccolo post l'occasione per ricordare tutti gli elementi che dimostrano come la seconda delle ipotesi citate (una paritetica e democratica condivisione della sovranità) sia stata intenzionalmente tradita, la prima essendo, con ogni evidenza, insussistente. Colgo l'occasione, per chi è interessato ad approfondire l'argomento, per segnalare un testo che merita, a buon diritto, di essere considerato come uno dei capitoli della nostra "Bibbia sovranista": il libro di Luciano Barra Caracciolo (blog orizzonte48) dal titolo "EURO E(O?) DEMOCRAZIA COSTITUZIONALE". Noi sovranisti pensiamo che la via d'uscita da questa situazione sia il ritorno alla piena sovranità degli stati nazionali (in un certo senso le "tribù dell'Europa"), che successivamente potranno, se decideranno di farlo, scegliere di confederarsi, nelle forme e nei tempi opportuni, per far fronte alle sfide della modernità. In ogni caso, dovrà essere un processo guidato dagli interessi diffusi rappresentati democraticamente nei singoli stati, ognuno espressione dei diversi popoli europei. Solo il dipanarsi della storia determinerà (forse, chissà…) l'eventuale nascita di una reale identità europea, dalla quale potrà sorgere una nuova cittadinanza democratica. Noi sovranisti ripudiamo la strada scelta dagli euroti perché costoro, ossessionati dalla loro guerra all'imperialismo anglosassone, farebbero di noi nient'altro che sudditi di un altro imperialismo. Forse peggiore di quello che intendono (credono di) contrastare.
Purtroppo noto con dispiacere che la stupidità alter-eurofila comincia a serpeggiare anche nell'ARS. L'autore di questo articolo sproloquia riguardo confederazioni europee e future possibilità di popolo europeo senza rendersi conto di due cose fondamentali che i millenni (e sottolineo millenni) di storia ci insegnano: primo, che non può esistere una unità europea senza una nazione/nazionalità dominante sulle altre; tale era il caso dell'impero romano, e su tale pilastro si fondarono gli europeismi napoleonici e nazisti; l'alternativa a questa "forma" è quella su cui gli attuali euromaniaci cercano di plasmare il nostro tempo secondo la parola d'ordine "ordo ab chaos", ovvero distruggere la vera natura dell'Europa per ricreare dalle ceneri del genocidio nazionale e culturale il meticciato massonico al quale si potrà raccontare di essere europeo proprio perchè privo di nessuna identità.
Di conseguenza, in secondo luogo, non c'èalcuna possibilità di originare un popolo europeo; scozzesi, iberici, italiani, francesi, germanici, erano già tali tremila anni fa, nulla ha mai fatto e nulla fa tuttora pensare che questa condizione naturale delle cose sia superabile in un qualsivoglia futuro prossimo o remoto per semplice evoluzione o deliberata scelta democratica dei popoli. Tutti i tentativi europeisti della storia ci dimostrano che ciò può avvenire solo con la forza, la coercizione o il lavaggio del cervello. Offrire uno spiraglio buonista a questa eventualità anche nel nostro embrione culturale significa corrompere già alla nascita il neoclassicismo della nostra ideologia, e questa è una cosa che ritengoripugnante.
Nostro compito deve essere quello di segnare una frattura decisiva e definitiva con gli europeismi storici da un lato, e con i nazionalismi moderni e post-moderni dall'altro. Noi siamo patrioti e la patria è una condizione innata, un pilastro che si mostra evolubile, forse, ma immutabile ai millenni nella sua essenza, perchè, ripeto, caledoni, iberici, latini, galli e teutonici si evolvono, ma non diventano mai qualcosa d'altro, del tipo europei, euroariani o euroasiatici che si voglia.
Viva l'Italia
Giuseppe
Lo sapevo, oh se lo sapevo, che con quel passagio del post, nel quale ricordavo l'età degli antonini, avrei sollevato un poverone. Un polverone benefico e necessario, tuttavia, per chiarire alcune cose e far sì che non alberghino, sotto la stessa bandiera, concezioni e visioni inconciliabili. Intanto non è esatto dire che "l'autore di questo articolo sproloquia riguardo confederazioni europee e future possibilità di popolo europeo". Stiamo alle cose dette: l'autore di questo articolo (cioè il sottoscritto) ha ricordato che non mancano gli esempi di entità sovranazionali che hanno saputo intelligentemente riunire popoli diversi. L'ho fatto citando l'impero romano dell'età antoniniana. Giova ricordare che una delle più accese tematiche discusse all'interno dell'aristocrazia romana riguardò, nel I secolo D.C., la possibilità o meno che divenisse Imperatore un non romano (inteso come "non di sangue romano"). Ebbene, dopo aspra e accesa lotta, prevalse la parte che rifiutava il concetto di "sangue", e infatti nei secoli successivi (compresa l'età antoniniana) le massime cariche dello Stato romano non furono assegnate sulla base di considerazioni razziali, e gli imperatori di origini "provinciali" finirono con l'essere la maggioranza. Lo Stato romano, vorrei sottolinearlo con assoluta decisione, non era fondato su alcuna pretesa di superiorità razziale. Lo Stato romano fu una costruzione politica. Una intelligente e feconda costruzione politica, frutto, guarda caso, della cultura greco-latina, nella quale l'idea discriminante di "razza" era totalmente assente.
Se proprio devo dirla tutta, le concezioni razziali hanno fatto il loro ingresso, in Europa, proprio con le invasioni barbariche. Esse sono state rafforzate dall'influenza esercitata dalla religione cristiana, le cui origini ebraiche (nonostante gli sforzi di San Paolo) hanno pesato e continuano a pesare.
Passiamo al concetto di "popolo". Il "popolo" può essere inteso in modi diversi. Ognuno di essi è legittimo, ma è bene chiarire che l'idea che ARS ha di "popolo" NON HA ALCUNA BASE DI NATURA BIOLOGICA, E DUNQUE RAZZIALE. Chi milita in ARS ha un'idea di "popolo" che è di natura CULTURALE E POLITICA.
Il commentatore Giuseppe (che vorrei rassicurare sul fatto che non credo possibile, allo stato, alcuna confederazione europea) afferma che "scozzesi, iberici, italiani, francesi, germanici, erano già tali tremila anni fa". Questa mi sembra una lieve imprecisione. Solo per restare alla penisola italica, 2500 anni fa c'erano, solo nel Lazio, i volsci, gli enrici, i sabini, i latini, i sanniti, gli etruschi, e nel resto della penisola oltre agli etruschi e ai sanniti, i galli cimbrici, i greci, i punici, i barbaricini, i celti, i liguri et-cetera et-cetera. Questi popoli, dopo aspra lotta, si confederarono alla pari con la potenza dominante (la città di Roma) e, successivamente, trasferirono questo modello di organizzazione politica all'intera Europa, dopo averla conquistata.
Quello che noi chiamiamo "popolo italiano" è una realtà culturale e politica molto recente, le cui origini "politiche" risalgono alla sollevazione patriottica del XIX° secolo, il risorgimento (sebbene quelle culturali siano più antiche… forse).
Io penso che l'idea di una confederazione europea non debba essere scartata a priori, ma anche che quella che ci è stata proposta non sia una confederazione alla pari, bensì un progetto di dominio delle classi e delle nazioni dominanti, perfino venato (al di là delle belle parole) di elementi di razzismo nei confronti delle classi e dei paesi subalterni. Io penso che noi dobbiamo rifiutare questa Europa, senza se e senza ma, recuperare la nostra piena sovranità e solo dopo (ripeto: solo dopo aver riconquistato la piena e indiscussa libertà nazionale) esaminare ipotesi di confederazione, ma assolutamente alla pari. Esattamente come fecero i latini, e soprattutto i volsci, con quei prepotenti dei romani che ci volevano mettere sotto. E infatti, quando Annibale scese in Italia, pensando di sollevare dei popoli sottomessi contro Roma, se la pijò in quer posto: non popoli sottomessi eravamo, ma soci alla pari. E come tali combattemmo tutti la stessa battaglia contro il fenicio invasore.
Spero di aver chiarito il mio pensiero. Non pretendo che tu lo condivida, ma per favore non accusarmi di "stupidità alter-eurofila".
Un cordiale e patriottico saluto.
Ciao Fiorenzo, magari mi sarò fatto prendere un po' la mano e me ne scuso, ma dopo 15 anni di solitudine ideologica tendo a diventare un po' sanguigno in certe situazioni.
Vorrei sottolineare che comunque non ho mai parlato di canoni razziali nell'impero romano, ho fatto notare che una qualunque unità di scala continentale, come anche nell'impero romano, è plausibile solo sulla base di una "leading nation" che si impone alle altre. Nell'impero romano forse esisteva una convivenza di eguali su base giuridica, ma la fedeltà era verso lo Stato romano, le leggi romane, la cultura e la lingua romana ed il suo esercito. D'accordo che poi ognuno poteva contribuire all'esistenza e allo sviluppo di quella entità, ma ripeto, lo Stato ed i i suoi annessi e connessi avevano una denotazione ed una origine "nazionale" ben precisa.
Poi, sarà vero che il "popolo italiano" è una realtà culturale molto recente, ma la Civiltà Italiana (e non latina) di cui purtroppo abbiamo ancora troppo pudore a definirne i termini per eventuali retaggi culturali, ha una storia ormai millenaria. Trovo molto positivo il fatto che si voglia propugnare un concetto di popolo come entità culturale e politica, tuttavia considero delittuoso volerne dissociare la sua connaturazione dall'elemento etnico. Un elemento culturale e politico privo di definizione etnica, che ci piaccia o no, è un non popolo, una non nazione, una elucubrazione fallimentare massonica e sociologica, ed ammetterlo con franchezza non ha nulla di fascistoide o eugenetico (come nulla ho, onestamente, di fascistoide ed eugenetico nelle mie idee).
Detto ciò, penso che dovrà giungere prima o poi il momento di definire chiaramente cosa si intenda per confederazione europea. Una collaborazione sincronizzata degli Stati nazionali europei (con le proprie lingue, culture, leggi, eserciti, istituzioni e ordinamenti) è cosa ben diversa da una confederazione, la quale si può originare solo in due modi: o per convergenza di entità similari che quindi originano una super-entità (come nel caso delle antiche federazioni dei popoli italici, o di quelli germanici, o di queli gallici) , oppure per artificiosa riunione di diversità non convergenti ma che comunque si mettono assieme per creare qualcosa d'altro che in realtà non rappresenta nessuno dei nuclei originari. Ma questa seconda opzione è la strada che hanno deciso di intraprendere gli europeisti attuali, praticabile solo previo suicidio delle entità pre-esistenti. L'alternativa è invece l'unionismo sotto le insegne della "leading nation".
A cosa tendiamo noi, quindi?
Viva l'Italia
Giuseppe
Giuseppe,
concordo pienamente con la risposta di Fiorenzo.
Il fatto che io creda che una confederazione europea ha meno possibilità di essere realizzata rispetto alla introduzione del socialismo reale negli Stati Uniti d'America, non toglie che egli abbia pienamente ragione nel ricostruire il concetto storico-politico-culturale di popolo nel pensiero patriottico italiano. Nella Repubblica Romana Garibaldi e Mazzini stabilirono che lo straniero che viveva in Italia (in realtà a Roma) per dieci anni divenisse cittadino. Il problema è quanti stranieri devono entrare e in base a quale criterio, non quello di considerare il popolo italiano una razza o una stirpe.
Ciao Stefano, è tanto che non avevo occasione di parlarti…
Comunque io capisco e condivido in parte, solo che i miei sforzi sono tesi a far risaltare una dicotomia che spesso viene trascurata o fraintesa anche nei nostri ambienti: cittadinanza non vuol dire nazionalità. L'entità giuridica è fatta di cittadinanza, l'entità culturale e politica (come l'ha definita giustamente Fiorenzo) è fatta di nazionalità. Allora ragioniamo e sviluppiamo criticamente la soluzione migliore per la gestione dei nuovi canoni di cittadinanza, ma vi prego di non trascurare il pensiero sulla nazionalità; scopriremmo altrimenti un fianco pericoloso all'ideologia dei nostri avversari.
Dibattito molto interessante. Io vorrei aggiungere che per definire e dare coesione a un popolo anche l'elemento etnico ha la sua importanza (un po' come dice Giuseppe); naturalmente tale popolo non deve essere troppo chiuso, razzista o aggressivo verso gli altri popoli. Cio' significa che persone o gruppi di persone possono integrarsi, acquisire i valori culturali del popolo "originario", diventare cittadini ecc., ma, del resto come afferma D'Andrea "il problema e' quanti stranieri devono entrare e in base a quale criterio". Ora In Italia e in Europa sta prevalendo il criterio che possa entrare chiunque, cioe' che uno Stato non possa in pratica controllare le sue frontiere, ne' decidere a chi dare la cittadinanza, requisiti assolutamente necessari per essere uno Stato sovrano. Ma si sa che ai poteri sovranazionali (europei o anglosassoni, e' quasi lo stesso) non conviene avere a che fare con popoli coesi; preferiscono masse amorfe. Poi, perche' i popoli possano "modificarsi" e assorbire elementi nuovi ci vuole del tempo. Giusto ricordare l'esempio degli antichi Romani; per secoli poteva ottenere l'ambita cittadinanza romana chi aveva acquisito dei meriti, o li aveva conquistati (vedi dopo il Bellum Sociale), essendo tra l'altro gia' un po' culturalmente affine, come erano gli Italici. Durante l'impero divento' piu' facile ottenere la cittadinanza, ma ancora non era per tutti. Quasi tutti la ricevettero solo con Caracalla; sara' coincidenza., ma da allora il declino dell'Impero si accentuo'. Personalmente conosco alcuni immigrati extraeuropei onesti e simpatici, quindi niente razzismo, ma uno Stato sovrano deve poter difendere la propria identita' nazionale, nonche' controllare l'immigrazione.
Quanto alle ipotesi di forme di collaborazione tra Stati europei sovrani o di future confederazioni europee, io preferirei la prima opzione, ma, riacquistata la sovranita' e liberta', si potra' discutere di tutto. Purtroppo pero' ritengo che la Germania sia un gravissimo ostacolo. Berlino non e' l'antica Roma.
Caro Durga, il termine che usi ("etnia", elemento "etnico") non mi convince. E allora approfondiamo, magari si tratta di un'incomprensione linguistica. La parola "etnia" dovrebbe significare (cerco su Treccani.it):
"etnia Nell’antropologia della fine del 19° sec., raggruppamento umano (dal gr. ἔθνος «razza, popolo») distinto da altri sulla base di criteri razziali, linguistici e culturali".
Più avanti, nel link segnalato, si sostiene che il significato di "etnia" è stato sottoposto a radicale revisione da parte dell'antropologia culturale, ma, a mio parere, è indiscutibile il fatto che esso venga comunemente associato al concetto di "razza", di "legame di sangue". Per questa ragione non mi piace.
Io preferisco sottolineare la definizione di "popolo" come entità culturale e politica. Naturalmente ognuno è libero di pensarla come vuole, e magari ha ragione e io torto, però una cosa desidero dirla: non resterei mai, dico MAI, in un'associazione nella quale prendessero piede concetti come "razza", "legame di sangue" e quant'altro. Credo che sarei imitato da molti.
Se e' piu' esatto usare la definizione di "popolo" usiamo questa. Nel mio commento mi sembrava di aver detto che il razzismo non mi piace. Pero' non mi sembra razzismo affermare che un'identita' culturale e linguistica dipende non solo da azioni politiche, ma anche da concetti e valori che vengono tramandati da generazioni vissute in un determinato territorio. Altrimenti, perche' difendere l'identita' italiana?
Premetto che ho ho sempre stimato Fiorenzo ritenendolo un elemento di grande intelligenza e credo sia un bene che lui ed altri come lui facciano parte della Associazione, ma mi preme portare all'attenzione del presidente un fenomeno di latente pericolosità: in ARS stanno covergendo gruppi di personalità per cui la patria e il patriottismo, a differenza nostra, non sono il fine perpetuo, bensì strumenti ritornati utili per mere contigenze storiche. Strumenti da sfruttare per riportare indietro le lancette del dibattito a retrograde parole d'ordine come "lotta di classe", "alter-europeismo", "multiculturalismo", e ciò a causa della difficoltà involontaria (o volontaria?) di distaccarsi da passati e defunti schemi mentali del proprio retaggio culturale.
Caro Stefano, questo fenomeno rischia di piantare a breve termine una pietra tombale sulla nostra originalità culturale e sulla strada del di lei sviluppo, ed anche se ora rappresenta un prezzo che noi siamo disposti a pagare nel nome della nostra sacra causa politica, esso è un nodo che prima o poi giungerà al pettine.
Giuseppe
Forse non è stato sottolineato un elemento che – a mio parere – riveste importanza: quello della cittadinanza.
Il dibattito vede contrapposto chi ritiene che il popolo abbia una base etnica e chi, invece, pensa che questo abbia soltanto una base culturale.
Io mi concentrerei sul profilo giuridico che discende dalla Costituzione: il popolo è costituito dall'insieme dei CITTADINI italiani.
Come si diventi tali lo stabiliscono le leggi della Repubblica italiana. Penso che tali leggi debbano incentivare l'aspirante cittadino ad intergrarsi nella cultura italiana (primo aspetto fra tutti: la conoscenza della lingua); certamente non devono dare nessun rilievo alle caratteristiche razziali/biologiche.
Caro Giuseppe,
in nessun documento dell'ARS si parla di quella baggianata per bambini deficienti che è il multiculturalismo. In nessun documento dell'ARS si parla di alter-europeismo. Nè personalmente ho mai ascoltato o letto lo scritto di un militante che proponga questi concetti, anche se forse uno o due ve ne saranno. Ma la disciplina serve proprio a questo: a far sì che non si dicano le cose che non si devono dire. Al più si esce.
Quanto alla lotta di classe, ti invito ad essere più cauto. Sono almeno venti anni che la lotta di classe è assente. La lotta di classe c'è soltanto se il debole la fa; non esiste in natura. In natura esiste, invece, il conflitto di classe, che altro non è che un conflitto di interessi contrapposti. Per me esistono CONFLITTI DI CLASSE, nei quali i soggetti che non ne sono parti direttamente sono interessati indirettamente, NON IL CONFLITTO DI CLASSE. Questo per me è un fatto, un dato, che non si può negare. Né la lotta di classe, quando è lotta di classi contro la classe egemone va condannata, se i gruppo di soggetti interessati ha la forza di promuoverla. Essa segnala l'esigenza di giustizia. E' sbagliata soltanto se, per il modo e il tempo, ha il fiato corto e porta, per l'indebolimento generale della nazione, a risultati opposti, a quelli ai quali aspira. Quando è portatrice di giustizia e non è antinazionale, essa va composta con una equilibrata politica dei redditi. Anzi, nei limiti imposti dalla Costituzione è il governo che deve farsi portatore di giustizia e giungere a una equilibrata politica dei redditi, a prescindere dalla richiesta degli interessati, che ben potrebbero aver frullato il loro cervello e indebolito la loro anima e la loro volontà. Al governo saggio spetta anche di tutelare la classe come entità non reddituale ma valoriale, quindi complessa: perseguire un tipo di civiltà. Sempre bisogna perseguire la promozione sociale, la quale attenua la lotta di classe e la riconduce al giusto equilibrio, che tiene conto dell'oggi e del domani, dell'interessato alla lotta e del figlio dell'interessato.
La tua intemperanza mi sembra francamente eccessiva, te lo dico benevolmente. Processi come quelli che stiamo intraprendendo richiedono disciplina, disciplina e poi disciplina. E poi pazienza, pazienza e poi pazienza. E poi calma e poi calma e poi calma. Diciamo che se tu fossi iscritto all'ARS, dopo una intemperanza come quella che hai mostrato, cercherei di convincerti che per almeno tre anni non dovresti sentirti in diritto di parlare ma dovresti soltanto lavorare e attuare il progetto. Se soltanto pochi iscritti all'ARS si comportassero come te, tutto si scioglierebbe come una palla di neve. Purtroppo, ferma la più completa autonomia che i membri hanno di muoversi dentro il perimetro tracciato, mi tocca agire con il pugno di ferro contro chi osi superarlo.
Caro Stefano, io personalmente, ed in dolorosa solitudine, attuo il progetto da anni, e pur non essendo parte dell'Associazione mi permetto di offrire il mio modestissimo contributo allo sviluppo di un sì promettente germoglio. Come ti ho già riferito in via privata, abbiamo bisogno di una accuratissima conoscenza "esoterica" dell'Idea prima di passare alla sua divulgazione exoterica, ed in quest'ottica si inseriva il mio intervento. Se non conosciamo a fondo ciò che propugniamo, ed i nostri rappresentanti non ne sono compiutamente formati ed informati al riguardo, diventa inutile e perfino controproducente propugnarlo pubblicamente.
Con affetto
Giuseppe
Ritengo del tutto inutile oggi come oggi discutere cosa dovrà succedere una volta riconquistata la sovranità. Personalmente io avrei piacere che ce la tenessimo, perchè credo che una banca centrale e un ministero che operino spese a deficit direttamente sul territorio siano molto più facili da controllare democraticamente rispetto un’unica entità centrale che deve gestire la vita di centinaia di milioni di persone dalle lingue e culture diverse. Chiaro che se i popoli a un certo punto decidono di fondersi in un’unica realtà, a questo punto bisogna prenderne atto, hanno il diritto di farlo, anche se ritengo che ciò comporterebbe una riduzione drastica comunque del potere delle singole comunità di determinare nel migliore dei modi e in maniera molto più diretta il loro futuro. E comunque questi presupposti ritengo non esistano, quindi non ha senso parlare di avere pregiudizi nei confronti dei cosiddetti Stati Uniti D’Europa. Questa Europa de facto non è mai stata costruita partendo dal basso. E su Altiero Spinelli ricordo che era massone, tecnocrate commissario europeo, fondatore della think tank Istituto Affari Istituzionali (sul modello delle think tanks neoliberiste anglosassoni) e che nel Manifesto di Ventotene prevedeva un’azione di forza per costruire un’Europa Federale, non di chiedere ai popoli se erano d’accordo.