Islanda…la crisi continua
Alla vigilia delle elezioni presidenziali in Islanda, il prossimo 30 giugno, persistono molti degli stessi problemi economici che hanno afflitto il paese negli ultimi tre anni. Nel gennaio 2009, il governo islandese divenne la prima vittima politica della crisi economica globale.
Per quasi 20 anni, il Partito (conservatore) dell’Indipendenza aveva dominato la scena politica e costantemente riorientato l’economia della piccola nazione verso un settore finanziario sempre più deregolamentato. Prima della crisi del 2008, l’Islanda era uno dei paesi più ricchi del mondo grazie al suo settore bancario gonfiato, con debiti pari a 10 volte il prodotto interno lordo.
Nella misura in cui si è sviluppata la crisi nell’autunno del 2008, la valuta nazionale d’Islanda, la corona, è crollata e le tre maggiori banche sono fallite. L’inflazione galoppante e la rapida crescita della disoccupazione ha creato una situazione politicamente insostenibile.
Prima della caduta, mezzo milione di inglesi e olandesi avevano depositi nelle super-deregolamentate banche islandesi. I governi della Gran Bretagna e Paesi Bassi pagarono il conto dei risparmi perduti, e il Fondo Monetario Internazionale (FMI) costrinse l’Islanda a firmare un accordo in cui s’impegnava a pagare tutti i creditori con gli interessi, in cambio di un prestito per un salvataggio di emergenza.
Le proteste settimanali contro il governo iniziarono nel mese di ottobre, e nel giro di tre mesi avevano raggiunto proporzioni enormi. In un paese di poco più di 300.000 persone, con 120.000 concentrati nella capitale Reykjavik, alcune proteste radunarono circa 10.000 persone. Molte migliaia di manifestanti sbatterono pentole e padelle insieme, chiedendo le dimissioni del governo, e il loro movimento divenne popolarmente noto come la “Rivoluzione delle pentole”.
Dopo la caduta del governo, questo è stato sostituito da un altro provvisorio formato da una coalizione di centro-sinistra dall’Alleanza Social Democratica e dal Movimento Socialista della Sinistra-Verdi. Questa coalizione fu eletta nell’aprile 2009 con la promessa di realizzare riforme radicali e perseguire gli spericolati banchieri e politici che avevano condotto il paese al disastro.
L’ex primo ministro Geir Haarde è stato portato davanti ai tribunali, ma fu dichiarato colpevole solo di non aver informato il resto del governo della crisi imminente e fu condannato al carcere e ad una multa. Ci sono volute una serie di misure di emergenza – per i pignoramenti, una moratoria sul recupero del debito e la nazionalizzazione di alcune banche – per alleviare in parte le sofferenze economiche del popolo. Ma gli effetti della crisi tuttavia, si fanno ancora sentire in Islanda.
La disoccupazione è al 6%, il valore della corona è solo il 50% di quello pre-crisi, e il debito delle famiglie è del 130% del PIL. A peggiorare le cose, mentre la gente comune soffre gli effetti di una banca fuori controllo, l’attuale governo ha deciso di andare avanti con il piano del governo precedente e pagare parte del debito estero illegittimo.
Il sovrano disarmato
Il sostegno ai partiti responsabili di inasprire il benessere della popolazione è la metà rispetto a quello di due anni fa, e non è una sorpresa. Dopo il rovesciamento del governo che ha avviato la crisi, il voto contro il pagamento del debito per ben due volte e l’elezione di un governo che ha promesso di “lavorare con la gente”, gli islandesi si sentono traditi.
La Corte Suprema islandese ha confermato in ultima istanza, la legislazione di emergenza che permette di effettuare i pagamenti del debito. Questa decisione è stata presa, ovviamente, sopra le teste della popolazione, che l’ha respinta in due referendum nazionali.
Nelle ultime elezioni, i socialdemocratici e la Sinistra-Verdi hanno ottenuto rispettivamente circa il 29% e il 21% dei voti, ma entrambi i partiti sono in calo nei sondaggi nella misura in cui la situazione economica continua come un anno fa.
L’Alleanza Social-Democratica detiene poco più della metà dei seggi della coalizione di governo. Si tratta essenzialmente della versione islandese del PASOK greco, un partito che da tempo ha fatto pace con il capitalismo. I socialdemocratici possono mantenere la loro maggioranza solo con il sostegno della Sinistra-Verdi.
Alcuni parlamentari dissidenti della Sinistra-Verdi si sono espressi contro il loro stesso partito per aver dato priorità ai dettami del FMI rispetto al benessere delle persone. Altri hanno lasciato il partito, dicendo che il governo attuale è incompatibile con i principi socialisti del partito. Una delle più note dissidenti, Lily Mósesdóttir, ha lasciato il partito per formane uno nuovo chiamato “Solidarietà“, al quale i sondaggi attribuiscono tra il 6 e il 21% nella sua breve esistenza.
Il calo nei sondaggi non è l’unico segno che la pazienza delle persone si sta esaurendo rispetto alla coalizione. Lo scorso ottobre, in occasione dell’anniversario del movimento che rovesciò il governo precedente, sono tornate le grandi proteste.
Il 30 giugno, in Islanda si terranno le elezioni presidenziali. L’attuale primo ministro, Ólafur Ragnar Grímsson, è un politico indipendente ed ex membro dell’Alleanza Popolare. Inizialmente, Grímsson dichiarò la sua intenzione di non correre per la rielezione, ma una petizione firmata da 30.000 islandesi lo convinse a cambiare idea.
Furono i suoi veti presidenziali che frenarono i piani del Parlamento per pagare il debito, proponendo un referendum. In entrambe le occasioni, il popolo ha votato “No” con un ampio margine.
Il 30 giugno gli islandesi dovevano anche pronunciarsi sulla loro nuova Costituzione, ma il Parlamento non è stato in grado di organizzare il referendum in tempo. Nel novembre 2010, 25 delegati sono stati eletti in un Consiglio Costituzionale con il compito di redigere la nuova costituzione.
La Corte Suprema ha annullato le elezioni sostenendo che non fosse stata sufficientemente rispettata la segretezza del voto, ma in ogni caso, il Parlamento ha nominato le stesse persone per redigere la nuova costituzione. Periodicamente, il Consiglio Costituzionale ha informato sul suo blog riguardo le discussioni e ha raccolto i suggerimenti di tutta la popolazione.
La nuova Costituzione, seppur non radicalmente diversa da quella precedente, fornisce una serie di articoli progressisti, tra cui la separazione formale dello Stato dalla Chiesa d’Islanda, la proprietà pubblica di tutte le risorse naturali e l’accesso pubblico a Internet per tutti cittadini. E, soprattutto, consente a qualsiasi petizione sostenuta dal 15% degli elettori di diventare un disegno di legge in parlamento o sia deciso in un referendum nazionale.
Queste riforme sono positive, ma la capacità delle istituzioni finanziarie globali di sovvertire la volontà del popolo dimostra che la lotta contro l’austerità e i suoi sostenitori è necessaria oggi come lo era quando scoppiò la cacerolada (*) tre anni fa.
(*) Termine che indica le proteste in stile “argentino” con pentole e coperchi.
Di Jason Netek
Islandia… y la crisis continúa
Traduzione Voci Dalla Strada
Resto basito di fronte alle capacità metamorfiche delle classi politiche attuali. Anche dopo un ricambio semitraumatico come quello islandese i politici hanno saputo trasformare gli slogan con cui furono eletti nelle solite fregnacce neoliberiste. Questo ci dice che il grado di inquinamento da politiche bancarie è esageratamente alto, quanto lo sono i rischi di fallimento relativi alla riconquista della sovranità. La transumanza politica è ormai un sostanziale metodo di governo.