DOCUMENTO DELL'ARS SUI DIRITTI CIVILI
Il presente testo definitivo, integrato con l’unico emendamento proposto, accolto all’unanimità dal Comitato Direttivo, verrà sottoposto all’esame ed al voto dell’Assemblea Nazionale del 7 giugno 2015.
La categoria dei diritti civili è una delle più ideologiche che esistano. Essa tende a scindere la comunità in due fazioni: da un lato coloro che sono favorevoli ai diritti civili, dall’altro coloro che sono contrari.
Naturalmente con la formula “diritti civili” non alludiamo ai diritti previsti nella Costituzione: libertà fondamentali (artt.13-28); diritto sociali (artt. 29-34); diritti economici (artt. 34-47); diritti politici (artt.48-54); o altri diritti risultanti dai principi fondamentali (artt. 1-12). Alludiamo, invece, a situazioni giuridiche soggettive che il legislatore ordinario può discrezionalmente introdurre o non introdurre nell’ordinamento, e, nel primo caso, variamente modulare e conformare, nel legittimo (non incostituzionale) esercizio della potestà legislativa ordinaria.
Ultimamente la categoria è sottoposta a critica: si tratterebbe di diritti “cosmetici”, nel peggiore dei casi, o soltanto “secondari” rispetto ai diritti sociali, nei casi in cui la critica è più blanda. Pensiamo che si possa e si debba andare oltre.
In primo luogo, taluni pretesi “diritti” sono in realtà doveri.
Per esempio, ciò che stupisce quando viene posta la questione delle unioni civili è l’invocazione di una concezione falsa e assurda del matrimonio come fattispecie dalla quale discenderebbero diritti. Ma il matrimonio è il regno dei doveri: dovere di coabitare, dovere di avere la medesima residenza, dovere di fedeltà, dovere di aiutare il coniuge materialmente e spiritualmente; conseguente (anche se non automatico) addebito della separazione in caso di violazione di quei doveri; dovere di corrispondere l’assegno di separazione; indisponibilità per testamento di una parte rilevante del patrimonio al momento della morte anche in caso di manifesto tradimento; obbligo di pagare gli alimenti (anche nei confronti del coniuge separato, comunque si sia comportato nel rapporto matrimoniale o durante l’unione); obbligo del padre e della madre del coniuge (o dell’unito) di pagare gli alimenti all’altro coniuge (o unito); obbligo del coniuge o dell’unito di pagare gli alimenti al suocero o alla suocera.
Il fatto che, in considerazione dell’assunzione di vincoli numerosi, rilevanti e pesanti, l’ordinamento, con norme estranee al diritto di famiglia, riconosca taluni diritti o preferenze (punteggio per il riavvicinamento al coniuge, pensione di reversibilità), è un discorso diverso e logicamente successivo. Infatti, proprio in ragione degli enormi vincoli che legano i coniugi, la legislazione previdenziale o che disciplina il trasferimento da un ufficio ad altri della pubblica amministrazione, o altre norme, attribuiscono ai coniugi taluni diritti o preferenze: voler contrarre matrimonio per acquistare questi diritti, oltre che insensato (i doveri sono molti di più e più rilevanti e pesanti), è meschino, perché essi non sono il proprium del matrimonio. Quindi il problema va impostato così: si deve riconoscere il potere di contrarre vincoli e doveri personali identici a quelli che discendono dal matrimonio anche a persone dello stesso sesso?
In secondo luogo, sotto la categoria dei diritti civili sono compresi sia doveri che, come abbiamo appena visto, non sono diritti, sia diritti che non sono “civili”.
Ad esempio, la possibilità che un uomo “generi” un figlio “suo” grazie a un utero in affitto, ovvero all’uso di un avveniristico “ventre d’acciaio” è, forse, giuridicamente, un diritto, almeno in senso lato. Ma potrebbe essere ragionevolmente considerato da molti un diritto incivile. Tutto ciò costituisce una ragione in più per abbandonare la categoria e per prendere posizione sulle singole questioni, senza schierarsi fanaticamente e aprioristicamente.
Del resto, nessun grande partito si contrappone agli altri sui diritti civili. Negli Stati Uniti c’è una minoranza di repubblicani tendenzialmente favorevole, come ci sono democratici piuttosto conservatori. In Italia nel centro-sinistra militano cattolici osservanti, così come nel centro-destra vi è stata una componente di radicali e di liberali che è sempre coesistita con altri orientamenti. Soltanto piccoli partiti pseudo-radicali italiani hanno fatto dell’impegno pro e contro i diritti civili la loro bandiera. Ma la misera fine a cui sono andati incontro e il ruolo marginale, anzi insignificante, che svolgono nella vita politica del paese la dicono lunga sulla saggezza di quella scelta.
Inoltre, il bipolarismo pro e contro i diritti civili, che non esiste nella realtà politica, è inaccettabile anche dal punto di vista della logica astratta: si può essere sfavorevoli all’inseminazione eterologa ma favorevoli alle unioni civili, e favorevoli alle unioni civili ma sfavorevoli ad attribuire rilevanza alla cosiddetta famiglia di fatto. Si può essere favorevoli alla procreazione assistita ma sfavorevoli all’impianto di tre embrioni, o favorevoli all’impianto di tre embrioni ma sfavorevoli all’embrio-riduzione. Eppure sono pochissime le persone che hanno posizioni articolate, nonostante le combinazioni tra le possibili prese di posizione siano infinite.
Lo stesso diritto di “associarsi liberamente per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”, garantito a tutti i cittadini dall’art. 49 della Costituzione, comporta, a ben vedere, un dovere o almeno un onere. Se la gente disoccupata o sottoccupata o con basso salario o reddito autonomo non milita, chi mai potrà attuare quella politica? C’è dunque il dovere di militare e l’onere di farlo bene e con intelligenza: ciò che giuridicamente è un diritto (quello di militare), moralmente è un dovere e realisticamente un onere. Allo stesso modo, lo straniero messo in regola ha il diritto di lavorare, ma se accetta paghe inferiori al minimo sindacale o condizioni inaccettabili per i nostri lavoratori o svolge professioni autonome a prezzi stracciati, concorrendo così alla deflazione salariale, va considerato un “crumiro”. Ed esiste il dovere di non essere crumiri.
In ultima analisi, tutta la retorica dei diritti civili risponde all’ideologia dominante nello stato imperiale, la quale ignora i doveri, sacrifica i diritti sociali e promuove l’esportazione mondiale di diritti da essa pre-definiti civili – un’ideologia che strumentalizza nobili istituti e spesso confonde privilegi, capricci, diritti e doveri.
Il fondamento dei diritti consiste invece nei doveri, sui quali si basa ogni grande e piccola comunità: soltanto adempiendo i nostri doveri abbiamo titolo per rivendicare i diritti. In quanto “rimuove” questo principio elementare, la retorica dei diritti civili è espressione dell’individualismo filosofico e politico che l’ARS riconosce fra i suoi principali nemici.
Crediamo, quindi, che un partito serio, frontista, debba:
1) rifiutare la categoria dei diritti civili ed affrontare lo studio separato di ogni questione (se e quando, giunto in Parlamento, se ne presenterà l’occasione);
2) riconoscere agli iscritti il diritto di maturare con autonomia la propria opinione.
Giampiero Marano e Stefano D’Andrea per “Associazione Riconquistare la Sovranità”