Controllo sociale dell’attività economica*

A75

da appello al popolo

 

Amintore Fanfani (1947)

I fini per i quali lo Stato è costituito, e le difficoltà che la slegata azione individualistica degli agenti economici oppongono al raggiungimento di essi, impongono una presa di posizione anche a noi italiani in occasione della stesura della nuova Carta costituzionale circa il problema del controllo sociale della attività economica.

Di questo controllo da oltre un secolo si è invocata l'attuazione sotto varie forme da teorici di diverse tendenze. Politici e riformatori di detto controllo hanno cercato di suggerire qualche pratico sistema, cosicché di attuarlo si sono verificati tentativi non soltanto qua e là in leggi speciali (Russia, Italia, Germania, Turchia, U.S.A., Inghilterra, ecc.) ma anche in nuove Carte costituzionali seppure di diversissima ispirazione (esempio: Weimar, U.R.S.S., Portogallo, ecc.).

Le teorie, sul controllo sociale dell'attività economica oggi sono all'ordine del giorno, e le diverse posizioni si inseriscono tra l'estremo della cosidetta «terza via», di cui parlano i neo-liberali, e l'estremo della «pianificazione», di cui sono fautori non soltanto i collettivisti.

Ma prescindendo anche da ogni posizione dottrinaria si arriva facilmente a concludere:

1°) che sempre la vita economica si è svolta sotto l'influenza di principii orientatori derivanti dalla concezione del mondo in ciascuna epoca imperante;

2°) che spesso la vita economica si è svolta secondo programmi imposti dalle autorità sociali;

3°) che quando tali programmi non furono imposti, la vita economica si svolse nell'ambito individuale secondo l'influenza di forze istintive, ed in quello pubblico sotto l'influenza di direttive, (surrogato subdolo degli aperti programmi), risultanti da compromessi occasionali tra gli interessi dei singoli e quelli dei vari gruppi;

4°) che anche quando la vita economica, per dichiarazione dei dirigenti pubblici, avrebbe dovuto svolgersi in un regime di cosidetta libertà, realmente si svolse secondo frammenti di piani, occasionalmente imposti da grandi industriali, da grandi banche, cioè da esponenti di quegli interessi riusciti a prevalere.

Risponde a ragione che gli uomini, anziché abbandonare lo svolgimento della vita economica all'influenza di regole occasionalmente adottate sotto lo stimolo dell'istinto nel campo individuale e di interessi prevalenti nel campo collettivo, tentino di sottoporla ad un controllo esercitato in modi opportuni, ma nell'interesse dell'intera comunità e per il bene delle persone che la compongono.

Una serie numerosa di considerazioni teoriche e di constatazioni storiche induce a ritenere che il controllo sociale sulla attività economica è indispensabile al fine di temperare gli egoismi senza mortificarne l'impulso benefico al singolo e alla società, ed al fine di coordinare ed integrare le azioni individuali.

Affinché il controllo giovi al bene comune e non si risolva in vantaggio solo per i detentori dell'autorità e dei loro amici, è necessario che esso sia esercitato in un regime di piena libertà politica. Occorre insomma che gli organi di controllo prendano origine o da determinazione diretta della volontà degli interessati (come avverrebbe qualora il controllo fosse esercitato con l'immissione di rappresentanti diretti dei lavoratori e dei consumatori nel consiglio di amministrazione delle imprese) o da determinazione delle autorità sociali (come avverrebbe qualora il controllo fosse esercitato ad esempio sulla circolazione o sul credito dai dirigenti la Banca d'emissione), democraticamente elette e democraticamente controllate a mezzo di parlamenti, di stampa, di radio, di denuncie alla magistratura. Solo nei paesi in cui il cittadino sarà libero di costituirsi in associazioni politiche diverse per controllare l'opera del Governo ed opporsi eventualmente all'azione dei partiti al Governo che obliassero il bene pubblico; solo nei paesi in cui la stampa potrà raccogliere ogni critica fondata ed ogni apprezzamento sulle decisioni delle autorità sociali; solo nei paesi in cui — nell'età della radio — la radio diverrà strumento — come la stampa — a disposizione di ogni cittadino per criticare l'opera del Governo o collaborare al suo perfezionamento; infine solo in un paese in cui l'opposizione di uno o di molti alle decisioni della maggioranza costituiranno non un delitto politico ma atto di collaborazione meritevole di protezione e di incoraggiamento; solo in un simile paese potrà pretendersi ed organizzarsi il controllo sociale sulla attività economica, senza timore che esso degeneri in un odioso strumento di oppressione.

Non è affatto vero che ogni controllo sociale sull'economia apra di per sé la strada della dittatura. È vero il contrario e cioè che — come la storia degli ultimi cinquanta anni dimostra — ove la economia si sviluppi al di fuori di ogni controllo sociale a protezione della personalità e della libertà di tutti i cittadini, o per usurpazione del potere politico da parte degli esponenti del potere economico e dei loro rappresentanti si avrà la dittatura del tipo fascista, o per assunzione del potere politico da parte dei sacrificati dalle prepotenze delle classi economicamente potenti si avrà la dittatura di tipo proletario.

Il controllo sociale dell'economia, organizzato in un paese in cui ogni cittadino apertamente e senza pericoli possa influire sulla cosa pubblica e concorrere a correggere i pubblici errori e gli abusi, è l'unico mezzo finora escogitato per impedire che lo Stato divenga preda di oligarchie rapaci, di abili tiranni, di folle dominate da scaltri politici. Naturalmente perché l'esercizio di tale libertà da parte del cittadino sia più facile e non richieda da lui sacrifici eroici, occorre che al cittadino stesso venga lasciata la garanzia di una certa quota di proprietà privata, cioè di una riserva di beni (mobiliari od immobiliari) con cui difendersi dai tentativi di affamamento che i criticati potrebbero compiere per domare gli oppositori sgraditi.

Perché il controllo raggiunga il suo scopo, occorre una seconda garanzia, e questa non è sul piano nazionale, ma su quello internazionale. Occorre che il regime internazionale sia un regime di collaborazione pacifica e non di aggressione intermittente. La libertà interna impedisce che il controllo si volga in strumento di tirannia. La collaborazione internazionale impedisce che il prudente esercizio del controllo non raggiunga benefici risultati per il prorompere di una guerra distruggitrice. Proprio la storia degli ultimi dieci anni dimostra che un prepotente, un megalomane, o un macchiavellico, non infrenato dai vincoli internazionali, può, con una aggressione inconsulta, mandare a male gli sforzi decennali di piccole pacifiche popolazioni intente a darsi gli ordinamenti più confacenti al proprio bene. Perché il controllo sociale raggiunga fecondi risultati e li perpetui, occorre che si svolga all'ombra della garanzia rappresentata da una franca e pacifica collaborazione internazionale.

Il controllo sociale diventa pericoloso in un ambiente politico in cui il controllo stesso sia burocratizzato, statalizzato, incompetente, non interessato, non democratico. In tutti questi casi il controllo, da strumento a difesa della libertà del cittadino contro l'oppressione del furbo o del senza-scrupoli o del fortunato, diventa strumento per opprimere il cittadino, irreggimentare il produttore, portare il popolo contro i più elementari interessi della comunità nazionale e le aspettative del genere umano.

Un controllo sociale dell'attività economica serve — anziché impedire — il prodursi di condizioni che consentono ad ogni cittadino il pieno godimento dei suoi diritti fondamentali alla vita ed integrità corporale, allo sviluppo completo della sua personalità, secondo la propria vocazione, alla proprietà dei frutti del proprio lavoro, alla libera associazione con i suoi simili, alla costituzione di una famiglia, qualora il controllo stesso obbedisca ai seguenti requisiti. Sia:

a) competente, cioè esercitato da chi se ne intende, e non da burocrati ignoranti o maldestri;

b) interessato, cioè esercitato da chi ha interesse diretto (lavoratori, consumatori) al buon andamento della attività da regolare;

c) decentrato, cioè esercitato non dalla capitale o in pochi uffici centrali, ma possibilmente, sul luogo in cui si svolge l'attività, o almeno per rami di questa;

d) democratico, cioè esercitato da organi designati e controllati democraticamente da tutti gli interessati e, quando occorra, addirittura da tutti i cittadini, direttamente od indirettamente;

e) multiforme, cioè esercitato secondo le modalità che per ciascun tipo di attività risultano le più efficaci.

Una società la quale si proponga la piena espansione della persona umana non può ritenere estranea alle proprie preoccupazioni quella di attuare un sistema economico che realizzi la massima efficienza, cioè la massima produzione ai minimi costi. Ma tale società a ciò non si ferma e dal sistema economico esige che nel perseguimento di simili risultati mai si offenda o s'impedisca quella espansione della personalità che in definitiva si vuole ottenere.

Per la prima esigenza si auspica un coordinamento di tutte le attività economiche, atto a fare ottenere la più perfetta razionalizzazione tecnologica. Per la seconda esigenza si auspica una disciplina che coordini e — se è del caso — subordini la razionalizzazione tecnologica, ai bisogni della difesa della integrità fisica e dello sviluppo intellettuale e spirituale dei singoli consociati.

Operando nel primo settore la coordinazione sociale mira a mettere a disposizione della collettività la massima quantità possibile di beni al minimo costo, senza di che l'attività economica non avrebbe raggiunto il suo primo scopo proprio.

Operando nel secondo settore il controllo mira ad impedire che per avere in fase finale un ottimo risultato quantitativo ed economico, si cominci col danneggiare la persona dei produttori, menomandone la dignità con disposizioni e pratiche che la tengono in conto di bruto o di strumento, coartandone la libertà con ricatti iugulatori, sacrificandone l'espansione, con logorii eccessivi nel puro campo dello sforzo materiale.

Per questo non può dirsi coerente ad un ordinamento personalistico un sistema economico preoccupato soltanto della massima produzione, né un sistema economico preoccupato soltanto della potenza. Solo un sistema organizzato in vista della piena espansione della personalità di tutti i consociati e della massima perfezione della intera collettività può ritenersi conforme ad un orientamento razionale dell'economia.

Perché un sistema sia armonizzabile con le esigenze personalistiche e comunitarie ad un tempo occorre che esso consenta in fase finale il maggior benessere di tutte le persone consociate, ed in ogni suo momento non menomi la dignità ed impedisca la libertà o l'espansione di ciascuna di esse, senza pregiudizio della perfezione dell'insieme sociale.

Scopo proprio dell'attività economica non è solo di produrre la massima quantità al minimo costo, ma anche quello di distribuire ad ogni consociato la quantità di beni necessaria alla sua personale piena espansione. Intanto la distribuzione apparirà e sarà giusta in quanto nessuna persona umana riceverà beni superflui al suo completo sviluppo e nessuna persona umana per converso riceverà beni in misura insufficiente. Non sarebbe orientata personalisticamente l'economia la quale distribuisse molti beni a pochi privilegiati e ne facesse mancare a moltissime persone. Ma nemmeno sarebbe orientato personalisticamente un sistema economico il quale procedesse ad una distribuzione aritmeticamente egualitaria, senza tener conto delle necessità diverse a seconda delle capacità personali.

Una distribuzione proporzionata non deve provvedere soltanto ai bisogni attuali e fisiologici, ma anche ai bisogni prospettici, nascenti a mano a mano che si svilupperanno i talenti delle singole persone. È nell'interesse della società che tutte le persone abbiano il massimo sviluppo consentito dai talenti personali. E per curare questo interesse la società deve cercare la instaurazione di un sistema distributivo atto a realizzare quel progressivo sviluppo.

La distribuzione razionale deve provvedere alla vita fisica e allo sviluppo pieno della persona umana; ma contemporaneamente deve provvedere a fornire le garanzie economiche della libertà della persona. Queste garanzie in ultima analisi si concretano in un minimo di riserva di beni mobiliari o immobiliari a propria esclusiva disposizione, cui attingere per resistere all'arbitrio di prepotenti privati, di tiranni, e di autorità pubbliche. In questo senso, e per garantire la libertà della persona, un sistema economico personalisticamente orientato esige che la distribuzione avvenga in modo da consentire ad ogni consociato di costituirsi una sufficiente proprietà privata. In questa concezione la proprietà privata non è concepita come un'arma per offendere, ma come uno scudo per proteggere la persona dalle offese altrui, pubbliche o private.

Perché produzione e distribuzione non ledano ed anzi concorrano ad agevolare il pieno sviluppo d'ogni persona umana è necessario un controllo sociale della vita economica Questo controllo può essere esercitato in momenti diversi, ora da organismi centrali ed ora da organismi periferici. I primi possono emanare indirettamente dalla volontà popolare attraverso l'azione degli organi legislativi e di governo, integratrice e coordinatrice delle iniziative private. I secondi dovrebbero sempre nascere dall'incontro degli interessati. Così, ad esempio, in seno ad ogni impresa produttiva il controllo sociale della produzione e della distribuzione della ricchezza dovrebbe avere nei vari collegi misti di finanziatori e di lavoratori (consigli di amministrazione, consigli d'efficienza o di gestione) gli organi esecutivi più adatti.

Portare il lavoratore di ogni categoria — ed ove e quando sarà possibile anche il consumatore (ad esempio, nelle imprese produttrici di servizi: telefoni, elettricità, trasporti) — a contatto con il finanziatore e con il vero e proprio imprenditore è un mezzo non soltanto per accrescere l'efficienza produttiva dell'impresa, ma anche impedire che la medesima operi perdendo di vista i fini di utilità sociale che essa in definitiva deve perseguire, per meritare cittadinanza in una società fatta per l'uomo.

Controllo sociale ancor più deciso si osserverà sulle imprese produttrici che lo consentono, progressivamente trasformandole in associazioni cooperative di produttori.

Infine quando né la cooperativa sia possibile, né sia sufficiente la partecipazione dei lavoratori ai collegi d'impresa, può progettarsi di fare ricorso alla socializzazione della impresa stessa in una delle tante forme escogitate dai tecnici. Lo scopo di ottenere la subordinazione d'ogni piano e progetto produttivo al bene comune e allo sviluppo della persona umana consiglierà agli organi pubblici responsabili le forme più opportune caso per caso ed epoca per epoca. Perché la scelta delle forme risponda allo scopo e perché il controllo sociale sia esercitato anche in questi casi nel vero interesse della società, toccherà all'opinione pubblica esercitare liberamente il suo potere di critica e di vigilanza sui collegi rappresentativi e sugli organi di Governo.

E per quanto alla distribuzione razionale non attendano sufficientemente le imprese produttive in fase di pagamento delle retribuzioni e di ripartizioni degli utili, gli organi pubblici dovranno intervenire, sia per predisporre provvidenze che coprano tutti i rischi della vita con sistemi di assicurazione e di assistenza sociale, sia con scuole gratuite per tutti i capaci, sia infine con istituti di assistenza medica ed ospitaliera aperti non solo ai malati ma anche ai predisposti alla malattia. In tal guisa il controllo sociale sulla distribuzione sarà completo e riuscirà davvero ad ottenere che nessuna persona per deficienza di mezzi abbia uno sviluppo rattrappito delle sue facoltà fisiche e spirituali.

Un controllo sociale nel momento produttivo ed in quello distributivo sarebbe vano, ove non fosse esteso anche al momento circolatorio. Basta in proposito ricordare che qualsiasi misura in materia di produzione, di distribuzione, di risparmio, di proprietà può risolversi in niente o dare risultati esattamente contrari a quelli sperati, ove non sia accompagnata da una adeguata disciplina in materia monetaria e creditizia. Un intervento in questa materia condiziona il successo dell'intervento in materia produttiva e distributiva. Una appropriata politica monetaria deve incoraggiare la formazione di risparmio, ed un accorto controllo degli investimenti deve favorire gli impieghi più vantaggiosi per il progresso sociale. Anche in questo campo confidare solo nel fiuto del banchiere privato e nell'ardimento del privato imprenditore non si può.

Esigenze di ordine, ma soprattutto di difesa di pane e di libertà di tutti i cittadini esigono da parte delle autorità sociali, democraticamente elette e controllate, un prudente controllo degli investimenti.

La coesistenza di parecchie economie, proprie ad ognuno dei mercati politicamente circoscritti, fa nascere un'ultima necessità di controllo sociale. Le relazioni dell'economia interna con le economie estere coesistenti non possono più essere abbandonate al caso. Se lo fossero sarebbero inutili tutti i precedenti sforzi controllatori e comunque l'economia nazionale soggiacerebbe al controllo indiretto — organizzato o caotico — delle economie straniere dominanti. I fini del controllo su queste relazioni tra mercati non possono non essere ancora quelli del bene comune e dello sviluppo della persona. Ma perché a questi fini ci si mantenga ligi occorre perdere di vista ogni fisima di potenza ed ogni disegno aggressivo, e pertanto occorre accedere a sistemi di collaborazione. Solo infatti intenzioni pacifiche e metodi di collaborazione consentiranno ad uno Stato di esercitare il controllo sulle proprie relazioni economiche con l'estero incontrandosi e non scontrandosi con gli Stati che svolgono un'analoga funzione. In questa sede si accerta per quanta parte l'orientamento d'una economia nazionale al bene comune dipenda dalla collaborazione internazionale e s'intravvede come la perfetta aderenza dell'attività economica al bene comune nazionale non può essere ottenuta prescindendo dall'inserimento in un piano internazionale di pacifico sviluppo.

Da quanto sin qui è stato esposto appare che il controllo sociale deve considerare la singola impresa produttiva, contemperando nel suo seno gli interessi dei finanziatori, dei lavoratori e dei consumatori; deve inoltre considerare la intera economia del paese, coordinandone gli sviluppi anche in riguardo agli attriti internazionali; deve infine considerare il momento distributivo e consuntivo o per correggere errori precedenti o per prevenire dannosi orientamenti e sviluppi.

Quanto al primo momento, pare che le modalità più efficaci per un controllo interessato, democratico, decentrato, competente siano offerte:

a) dalla partecipazione nelle imprese sociali ai consigli di amministrazione dei rappresentanti di tutte le categorie dei lavoratori e — per quanto riguarda certe imprese produttrici di servizi — dei consumatori;

b) dalla costituzione con rappresentanze di lavoratori (e magari di utenti) di consigli di gestione o meglio di efficienza, per fiancheggiare la direzione tecnica e, nelle forme di imprese individuali, il singolo imprenditore;

c) dalla socializzazione vera e propria di certe imprese, che per le caratteristiche di ciò sono suscettibili, senza danno per la collettività;

d) dalla partecipazione agli utili di tutti i lavoratori, non tanto in vista di aumenti individuali di reddito, quanto di avviamento alla comproprietà dell'impresa da parte del «corpo» dei lavoratori;

e) dalla revisione contabile aziendale ad opera di appositi collegi pubblici, favorita dalla tipizzazione della contabilità.

Nel secondo momento il controllo sociale può esercitarsi:

a) dalla Commissione economica regionale, costituita dai rappresentanti delle professioni e degli interessi in seno agli organi collegiali regionali;

b) dal Consiglio economico nazionale, costituito dai rappresentanti delle professioni e degli interessi in seno alla seconda Camera;

c) dagli organi centrali esecutivi e di vigilanza (esempio Ministeri);

d) dalle varie disposizioni generali sul diritto alla vita, all'espansione della personalità, alla libertà d'associazione, nei loro aspetti economici.

Si noti che le Commissioni regionali, e specialmente il Consiglio economico nazionale, dovranno provvedere ad esercitare funzioni consultive degli organi esecutivi, funzioni di iniziativa e di controllo rispetto agli organi legislativi normali, funzioni di coordinamento di tutta l'azione pubblica disciplinare, coordinatrice ed integratrice dell'attività economica, con particolare riguardo al settore del credito.

Nel terzo momento un controllo sociale dell'attività economica può esercitarsi:

a) con prelevamenti fiscali, graduati e diretti, allo scopo di finanziare l'attività pubblica, di indirizzare l'iniziativa privata, di impedire la speculazione e l'azione monopolizzatrice, di limitare l'accumulazione di ricchezza favorendo invece l'accesso alla proprietà a tutti;

b) con limiti ai trasferimenti di ricchezza a titolo successorio oltre la stretta cerchia familiare ed oltre un quantitativo che non ostacoli l'equa e socialmente benefica distribuzione della proprietà;

c) con limiti di acquisto di beni, specie strumentali (terra, impianti), riservati generalmente, entro certi limiti, a tutti, ed in casi eccezionali ed oltre certi limiti al dominio delle collettività minori (comunità professionale, municipio) e maggiori (regione, Stato).

Non tutte le forme di controllo preconizzate sono delineabili interamente in una Carta costituzionale. Pare anzi che ad esse si debba provvedere con apposite leggi:

1°) disciplinatrici delle attività produttive e della costituzione delle imprese;

2°) costitutrici degli organi collegiali regionali e della seconda Camera;

3°) predisponitrici dei casi di socializzazione e nazionalizzazione di imprese;

4°) determinatrici dei modi di acquisto e di trasferimento della proprietà.

In questa prospettiva pare che nella nuova Costituzione possa bastare l'inclusione di un articolo del tenore seguente, che, congiuntamente a quelli che disciplinano il godimento del diritto alla vita, del diritto di espansione della persona, e del diritto di associazione a fini economici, in definitiva determini i principî orientatori di un'azione pubblica diretta a mantenere l'attività economica sotto molteplici forme di controllo sociale, non per mortificare l'attività stessa, ma per convogliarla al bene comune.

Art. …

L'attività economica privata e pubblica è diretta a provvedere ogni cittadino dei beni utili al suo benessere ed alla piena espansione della sua personalità, e a provvedere la comunità dei beni necessari alla sua perfezione in vista del bene comune. A tal fine la repubblica ammette e protegge l'iniziativa privata, armonizzandone gli sviluppi in senso sociale, oltre che con le varie disposizioni generali a protezione del diritto alla vita ed all'espansione della persona, mediante: la partecipazione dei lavoratori (ed ove del caso degli utenti) alla gestione, alla proprietà, agli utili delle imprese; la tipizzazione contabile e la pubblica revisione aziendale; l'azione coordinatrice di appositi consigli economici in seno agli organi rappresentativi regionali e alla seconda Camera; il prelievo fiscale; la limitazione all'acquisto e al trasferimento della proprietà; la socializzazione delle imprese non gestibili dai privati con comune vantaggio.

*Relazione e proposta presentate alla Commissione per la Costituzione, terza sottocommissione

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