Contro la stabilità del governo e il governo di legislatura: una critica alla sentenza della Corte Costituzionale in materia di leggi elettorali

Le motivazioni della Corte Costituzionale relative alla illegittimirtà costituzionale di alcune disposizioni delle leggi elettorali erano ampiamente prevedibili e previste anche per quanto riguarda la piena legittimità dell’attuale Parlamento.

Da esse deriva un indirizzo che in futuro il Parlamento dovrà seguire se vorrà modificare di nuovo le leggi elettorali. I canoni dettati dalla Corte sono tutti condivisibili salvo uno del tutto non condivisibile. Mi soffermo prima brevemente sui passaggi condivisibili della sentenza.

In primo luogo, il premio di maggioranza è costituzionalmente legittimo soltanto se si prevede “il raggiungimento di una soglia minima di voti di lista“.

Si tratta di precisazione di grande rilevanza, perché, stronca in radice la tesi assurda e contraria, a rigore, alla forma di governo parlamentare, secondo la quale  dalle elezioni deve sempre e comunque venir fuori una maggioranza già pre-confezionata. Tale tesi è assurda, perché tende a svuotare surrettiziamente il carattere parlamentare della forma di governo. Se il governo dovesse essere sempre e comunque espressione di una maggioranza relativa di voti espressa dal corpo elettorale, allora non avremmo più un Parlamento che autonomamente dà la fiducia a un Governo che deve ottenerne il consenso.

Ne deriva un rafforzamento del Parlamento e dei partiti che riacquisteranno (o potranno riconquistare)  una certa autonomia, almeno nel caso in cui la lista di maggioranza relativa non raggiunga il numero minimo di voti che le nuove leggi elettorali dovranno prevedere. Insomma, il sistema resterà “potenzialmente parlamentare”, con riguardo ai casi in cui non scatti il premio di maggioranza e sarà per sempre evitato di eclissare la forma di governo parlamentare mediante semplice (e costituzionalmente illegittima) legge ordinaria che preveda un “distorsivo” premio di maggioranza.

In secondo luogo, dal primo criterio di indirizzo deriva un grande corollario. I partiti, presentatisi alle elezioni con un proprio programma, qualora non scatti il premio di maggioranza, avranno l’onere di trovare una linea comune con altri partiti per elaborare un programma di maggioranza. Formalmente questo programma sarà proposto dal Governo ma è chiaro che la proposta presupporrà un accordo tra i partiti. Finirà o almeno inizialmente si attenuerà lo pseudofanatismo o filisteismo che ha caratterizzato la “seconda repubblica”, ossia  la pseudo-repubblica satellite dell’Unione europea germanocentrica e si tornerà potenzialmente alla libertà e indipendenza politica.

Sebbene il sistema derivato dall’abrogazione delle disposizioni illegittime sia un proporzionale con possibilità di esprimere una preferenza non dissimile da quello che avevamo fino al 1992, non è sancità la costituzionalizzazione del proporzionale. Tuttavia, una volta fissato il principio che la legge elettorale, pur prevedendo un premio di maggioranza, non deve sempre e comunque garantire che dalle elezioni esca l’indicazione popolare di un Governo, ne deriva che eventuali sbarramenti possono avere la funzione di evitare la presenza in Parlamento di gruppi e gruppuscoli non sufficientemente rappresentativi e non adeguatamente organizzati fuori dal Parlamento, non quella di agevolare la indicazione popolare di un governo fin dal momento delle elezioni (a parte il fatto che, già sul piano logico, non esiste alcuna correlazione tra soglia di sbarramento e “elezione” popolare del governo).

Infine, non potrà essere più soppressa la preferenza, essendo ammesse soltanto “liste bloccate corte“. Ciò significherà che riavremo finalmente vere campagne elettorali e magari anche i comizi, istituti fondamentali della democrazia che erano andati scomparendo con l’assurda scelta delle liste interamente bloccate.

Su un punto la Corte Costituzionale merita una censura severa.

Si tratta del luogo in cui, esprimendosi contro il premio di maggioranza senza soglia minima e quindi distorsivo, la Corte afferma: “Le norme censurate, pur perseguendo un obiettivo di rilievo costituzionale, qual è quello della stabilità del governo del Paese e dell’efficienza dei processi decisionali nell’ambito parlamentare dettano una disciplina che non rispetta il vincolo del minor sacrificio possibile degli altri interessi e valori costituzionalmente protetti”, ponendosi in contrasto con specifiche norme costituzionali.

Qual è la disposizione costituzionale che attribuisce rilievo (costituzionale) alla “stabilità del governo“? Se la norma esistesse, sarebbe assurda e inopportuna ma in realtà non esiste. La Costituzione non prevede alcun Governo di legislatura. Tutta la nostra storia, sia anteriore alla Costituzione, sia successiva, è storia di governi brevi. Nove governi durante l’ordinamento provvisorio e la costituente; tre governi nella prima legislatura della Repubblica; sei nella seconda; cinque nella terza e quattro nella quarta; sei nella quinta e cinque nella sesta; tre nella settima e sei nell’ottava; tre nella nona e quattro nella decima. La media di durata dei governi è sempre stata inferiore ad un anno. E vale la pena di segnalare che la Repubblica italiana proseguiva sotto il profilo segnalato una lunga tradizione sorta fin dagli albori dell’unità d’Italia

L’unico governo stabile in Italia è stato quello di Mussolini!

Proprio per il tramite delle nuove leggi elettorali, che promuovevano il bipolarismo con i collegi uninominali o dichiaratamente  maggioritarie, si è voluta diffondere, difendere e realizzare l’ideologia falsa, mistificatoria, mortifera e acostituzionale (se non incostituzionale) del “governo di legislatura”, ferendo gravemente la Repubblica parlamentare. L’ideologia del governo di coalizione in una Costituzione che prevede la forma di governo parlamentare è un disastro logico morale e materiale. Dispiace che in una sentenza che per il resto va molto apprezzata, la Corte Costituzionale abbia difeso questo disvalore costituzionale.

 

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