Breve storia economica dell’Italia nell’ultimo trentennio

Resoconto presentazione Ars Chioggia 15.02.13

Sabrina Montresor

L’ incontro, organizzato dalla socia Eleonora Zanellato,  ha visto la partecipazione di una ventina di persone.
Stefano D’Andrea ha presentato la scopo dell’associazione Riconquistare la Sovranità nei suoi valori e principi fondanti.
Ha invitato i presenti alla necessità di “insorgere” e militare,  per essere veri cittadini,  degni di esser tali.
Militare nell’ARS significa creare una rete di persone con presenza capillare sul territorio, in cui per ogni ambito provinciale un gruppo anche piccolo di persone possa avvalersi della collaborazione e del sostegno ideologico di una trentina di altri cittadini,  impegnati innanzitutto nella conoscenza e studio  delle verità storiche che hanno portato all’attuale contingenza economica, politica e sociale e congiuntamente attive in un’ opera di divulgazione alla cittadinanza. La rete da costruire sarà poi il fondamento per candidare alle elezioni politiche nazionali uno schieramento o alleanza sovranista, che voglia ricollocare la Costituzione della Repubblica Italiana al vertice effettivo delle fonti del nostro ordinamento.
Non servono grandi numeri.
Servono  persone che decidano di essere cittadini e cioè di militare.
Non basta l’analisi,  che è e rimane comunque indispensabile, serve l’organizzarsi della miglior parte popolo italiano, serve “levarsi ad un insurrezione”.

Questa l’analisi presentata da Stefano D’Andrea di quel che è accaduto in Italia negli ultimi 25-30 anni.

***

Negli anni ’80 siamo cresciuti in un clima di “edonismo reaganiano”.
Apparentemente pressoché nessuno negli anni ’80 ha peggiorato la propria condizione economica, sebbene lo Stato (nella prospettiva di entrare nella futura Unione europea), abbandonando il dirigismo economico costituzionale, in specie nella forma di “amministrazione del credito”, avesse cominciato a pagare tassi di interesse reale  positivi sui titoli del debito pubblico e quindi avesse iniziato a trasferire ricchezza dal lavoro e dal profitto alla rendita, minando così le fondamenta della nostra Costituzione economica.

Dai primi anni ’90 in poi abbiamo aumentato piuttosto il livello dei consumi che il livello di benessere. Maggiori consumi sono stati possibili per diverse ragioni:

i)                    perché ormai si sceglieva di avere meno figli rispetto al passato e quindi si dovevano sostenere meno spese necessarie per alimentare, vestire, educare e far studiare i figli. Ma è evidente che i maggiori consumi che divenivano possibili non potevano, secondo logica, essere considerati come un aumento di ricchezza. Infatti, solo paradossalmente, più passava il tempo e più si poteva constatare che i genitori erano riusciti ad aiutare i figli (con caparre per l’acquisto della prima casa; con aiuti economici al momento del matrimonio; e pagando gli studi senza costringere lo studente a lavoretti) più nel periodo precedente che negli ultimi venti anni;

ii)                   perché diminuiva la propensione al risparmio. Ma è evidente che spendere di più per consumi, anziché risparmiare per futuri investimenti, comporta per le famiglie con redditi bassi e medio bassi un impoverimento e non un arricchimento. Diventerà più difficile riuscire ad iniziare a svolgere un’attività autonoma e svincolarsi dalla subordinazione lavorativa. Si dovranno contrarre mutui di importo maggiore per acquistare la casa e quindi pagare più interessi. Si vivrà con stress ogni rilevante spesa eccezionale e imprevista, proprio a causa della mancanza del minimo risparmio.

iii)                 perché il sistema bancario consentiva e anzi promuoveva  mutui trentennali per l’ acquisto di case, anche a tasso variabile e persino senza tetto massimo. Ciò comportava una maggiore domanda nel campo dell’edilizia che sarà scontata in futuro, perché i cittadini hanno già impegnato parte rilevante del  reddito familiare (l’attuale calo della domanda del settore privato è dovuto anche ai debiti eccessivi contratti da una parte delle famiglie italiane negli anni precedenti). Se poi il reddito viene meno a causa di un licenziamento o, per coloro che svolgono attività autonome, in ragione della diminuzione della domanda che durerà molti anni, all’impoverimento segue la vera e propria povertà.

iv)                 perché il sistema finanziario ha promosso il credito al consumo e il legislatore non ha posto limiti all’indebitamento privato ma anzi ha partecipato alla promozione dell’indebitamento delle famiglie. Ma è evidente che, salvo l’indebitamento strettamente necessario, negli altri casi, chi si indebita pagherà complessivamente interessi che non avrebbe pagato se avesse aspettato a consumare.

Uno sviluppo apparente . Tutti i fenomeni segnalati hanno a lungo celato la tendenziale diminuzione dei redditi da lavoro, autonomo e subordinato,  e dei profitti delle piccole attività commerciali e imprenditoriali (salvo settori nei quali sistema bancario e legislatore promuovevano le bolle, come, per esempio, il settore edilizio fino al 2006 e il settore delle gestioni delle scommesse che venivano autorizzate in numero continuamente crescente).

I realtà i redditi da lavoro subordinato venivano colpiti con la eliminazione della scala mobile e con il pacchetto Treu (l’Italia ha deflazionato prima della Germania, non per vincere la competizione nella zona euro, bensì per entrarvi) e poi con la legge Biagi.

I redditi dei piccoli professionisti diminuivano, perché, con l’affermarsi dei “valori” neoliberisti e in particolare del dogma della concorrenza e l’estensione del concetto di impresa alle attività un tempo protette,  aumentavano a dismisura i membri delle diverse categorie professionali, si lasciavano diffondere i grandi studi professionali, dove non si ha alcun rispetto per il principio del carattere professionale della prestazione, si introduceva la pubblicità e si abolivano i minimi tariffari (salvo poi reintrodurre tariffe che dimezzavano i compensi).

I redditi dei piccoli commercianti diminuivano in molti settori perché si abolivano le licenze di commercio, si instaurava un regime di concorrenza che moltiplicava le spese necessarie per svolgere l’attività commerciale (così aumentando e non diminuendo i prezzi, come racconta una teoria falsa che è pura ideologia), e si lasciava che si moltiplicassero i centri commerciali.

Dunque un paradossale aumento dei consumi – per le ragioni testé indicate –  anche dei ceti poveri e medio-bassi, pur in presenza di un calo dei redditi da lavoro e dei profitti di moltissimi piccoli commercianti, artigiani e imprenditori. E settori che invece vedevano crescere ingiustamente le rendite e i profitti (bolla del credito che generava superprofitti nel settore finanziario; bolla dell’edilizia – decine di migliaia di agenti finanziari, ristoratori e professionisti sotto falso nome divenivano costruttori -; esplosione delle attività di gestione dei giochi e delle scommesse).

Nel frattempo il diritto alla casa diveniva un sogno o spesso un incubo: abrogazione dell’equo canone; abbandono di ogni programma di edilizia economica popolare e cooperativa; svendita del patrimonio pubblico; mutui trentennali. Tutto concorreva a far lievitare la domanda e i prezzi degli immobili. Chi oggi dovesse vendere la casa acquistata otto anni fa, per trasferirsi in altra città, si accorgerebbe che avrebbe fatto meglio a non acquistare e a vivere in affitto.

Il colpo mortale al dirigismo economico imposto dalla Costituzione della Repubblica italiana (art. 41, 3° comma) è avvenuto con l’adesione al Trattato sull’Unione europea, detto trattato di Maastricht, e in realtà anche un po’ prima in vista dell’adesione al suddetto trattato.

Infatti, già alcuni anni prima (1989) era stata completamente liberalizzata la circolazione dei capitali (anche in questo caso in attuazione di atti normativi dell’allora Comunità economica europea), eliminando la disciplina vincolistica che era stata il presupposto logico, giuridico e funzionale del regime di “amministrazione del credito”, che fino al 1981 (divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro) aveva consentito il pagamento sistematico di tassi di interesse reale negativi sui titoli del debito pubblico.

In vista dell’entrata in vigore del Trattato di Maastricht viene modificata la legge bancaria del 1936, eliminando lo scoperto di conto corrente del Tesoro presso la banca d’Italia (fino al 14% delle spese iscritte al bilancio di competenza), e la competenza del CICR in materia di riserva obbligatoria (esercitando la quale da sempre lo Stato aveva convogliato il risparmio degli italiani verso l’acquisto di titoli del debito pubblico, abbassando così i tassi d’interesse).

Il Trattato di Maastricht ha vietato espressamente alla Banca d’Italia di acquistare titoli del debito pubblico (anche se da tempo, in vista della costituzione dell’Unione europea, la banca d’Italia non esercitava più la facoltà di acquistarli).

Lo Stato era ormai in balia dei mercati finanziari (dei grandi gestori del risparmio) e poteva ormai acquistare denaro soltanto al prezzo deciso dal mercato (ossia dai grandi gestori del risparmio).

Sempre in vista dell’entrata in vigore del Trattato di Maastricht e poi in attuazione del medesimo, l’Italia procedeva alla più grande privatizzazione e svendita di imprese pubbliche della storia, con i risultati disastrosi che sono sotto gli occhi di tutti.

L’euro è stata la ciliegina sulla torta ma anche l’errore tecnico, per gli squilibri che genera, che era necessario perché nella miglior parte del popolo italiano potesse nascere il sospetto che un’intera stagione della nostra storia non fosse stata altro che distruzione di ciò che in precedenza era stato costruito e pura attuazione di una ideologia falsa, irrazionale, nichilistica, mercatista e antiumanista.

***

Nel dibattito che è seguito alla trattazione di Stefano D’Andrea, si è manifestato l’alto interesse suscitato nel pubblico per i temi   evidenziati.
Il dibattito ha dato luogo all’approfondimento delle cause che vengono additate da parte del ‘pensiero unico’ come ragioni   che hanno determinato l’attuale situazione: la corruzione, i costi dei privilegi della classe politica, le mafie, un’eccessiva o mal direzionata spesa pubblica.
Non si nega l’esistenza di nessuno di questi problemi ( per la verità alcuni non sono del tutto reali; in alcuni settori, per esempio la sanità, la   spesa è stata del tutto in media con gli altri stati dell’ Unione e dell’occidente tutto, a fronte di  un servizio reso tra i primi per qualità secondo le classifiche dell’OMS).
Ma l’analisi approfondita porta a capire che il problema del debito pubblico e dell’attuale situazione di disoccupazione che colpisce oggi l’Italia, in cui le PMI sono costrette a chiudere ad un ritmo vertiginoso, non si origina in quei problemi, ma piuttosto dall’abbandono da parte dei nostri governi del compito e del potere di dirigere, organizzare e proteggere la propria economia, compito e potere ceduto all’Unione europea, alla Germania, ai mercati finanziari e al grande capitale in nome delle ideologie liberiste e del liberoscambismo unionista.

La conclusione quasi da tutti condivisa è che la soluzione dei nostri problemi si trova dietro le nostre spalle. Dobbiamo studiare il nostro passato, farci forti della nostra Carta Costituzionale, riconquistare la sovranità e ricollocare tutta la nostra Costituzione, compresa la disciplina dei “rapporti economici” (titolo III), al vertice del nostro ordinamento (di fatto oggi prevalgono i Trattati europei).

Se la miglior parte del popolo italiano, per quanto esigua, ricomincerà a militare e ad adempiere i fondamentali doveri di cittadinanza, trovando l’unità in un progetto di patriottismo costituzionale, conseguiremo il risultato, perché se l’euro si è rivelato un disastro, l’Unione europea non funziona e scricchiola. E i Trattati stipulati per salvare l’Unione europea (MES e Fiscal Compact), sono tanto assurdi da essere totalmente o parzialmente inapplicabili. Essi sono il sintomo della debolezza dell’Unione europea; rivelano che la gabbia d’acciaio è stata poggiata sulla sabbia.

Dal mercato unico (Unione europea) torneremo a un mercato comune (qualcosa di simile alla vecchia CEE, preferibilmente con un numero minore di stati). Non dunque dissolvimento degli stati nazionali ma integrazione economica di stati sovrani, che accettano, in ragione dell’integrazione, taluni limitati vincoli.

I presenti, alla fine, si sono detti convinti che l’ARS, la quale ha l’obiettivo di promuovere la costituzione di una frazione di una futura alleanza sovranista, ha il vento in poppa, perché è la storia che va nella direzione da noi desiderata.

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